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La grande intuizione di Raphael Lemkin

di Gabriele Nissim

UN File photo

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Pubblichiamo di seguito l'intervento del presidente di Gariwo Gabriele Nissim alla cerimonia per la Giornata dei Giusti dell'umanità a Roma. Cinque nuovi Giusti sono stati onorati al Giardino di Roma Villa Pamphili: Raphael Lemkin, i ragazzi tedeschi della Rosa Bianca, don Giovanni Gregorini, Elena Di Porto, Le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo in Argentina.

Al funerale dell’ebreo polacco Raphael Lemkin morto a New York il 28 agosto del 1959 ci furono solo sette persone, come capita per la maggior parte degli uomini giusti che vengono dimenticati per l’ingratitudine umana.

Eppure Lemkin è stato uno dei grandi protagonisti della Storia, che ha allertato il mondo già nel 1933 contro le minacce di Hitler agli ebrei; che, fuggito dalla Polonia dove tutta la sua famiglia fu assassinata, cercò di convincere l’amministrazione americana a dare un nuovo indirizzo alla guerra per salvare gli ebrei; che dopo la guerra fu l’artefice della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio che venne approvata nel 1948 alle Nazioni Unite.

A Lemkin dobbiamo la stessa creazione della parola genocidio che non esisteva nel lessico politico e che rappresenta un ibrido tra la parola greca “genos”, stirpe, usata da Platone nella Settima lettera e dal latino “cidio”, uccidere. Voleva che questa parola fosse sulla bocca di tutti come un marchio di un prodotto di largo consumo che tutti ricordassero a memoria e che avesse il valore di un nuovo comandamento: non commettere un genocidio. E che in nome di questo comandamento si unissero tutti gli Stati del mondo affinché non si ripetesse una nuova Shoah.

Raccogliendo il suo insegnamento non solo vengo ad onorarlo qui al Giardino di Roma, ma ho chiesto al nostro parlamento di nominare un advisor sui genocidi come voleva Raphael Lemkin, che chiedeva ad ogni Paese di intervenire quando si minacciano delle minoranze. Spero che, con la dedica di questo albero, la Sindaca e il Comune di Roma ci sostengano in queste richieste.

Quando Lemkin parlò alla Duke University nel 1941 pronunciò delle parole che valgono sempre contro ogni forma di indifferenza:

“Se donne bambini, ed anziani fossero assassinati ad un centinaio di chilometri da qui non correreste forse in loro aiuto ? E allora perché dovreste reprimere il richiamo del vostro cuore, quando la distanza è di cinquemila chilometri invece di cento?”

E quando incontrò l’amministrazione americana, durate la guerra, spiegò un concetto sconvolgente: 

La guerra di Hitler non era contro gli Stati, ma contro i popoli. A lui non importava la vittoria militare, ma sconvolgere l’intera struttura demografica d’Europa. Se avesse annientato gli ebrei, anche se il suo esercito fosse stato sconfitto, avrebbe comunque vinto la guerra. 

Ecco perché gli Stati Uniti dovevano combattere per la salvezza degli ebrei e chiedere al mondo l’applicazione di un trattato internazionale che considerasse colpevole qualsiasi Paese che avvallasse la distruzione di una minoranza. Roosevelt invece rispose a Lemkin di avere pazienza e non lo prese sul serio, si rifiutò di lanciare un monito alla Germania sulla responsabilità morale di un genocidio. Lemkin osservò che “nessuna giustificazione per la cospirazione del silenzio è moralmente possibile. Era in corso un duplice omicidio. Perché gli alleati si rifiutavano di fare sapere che la distruzione delle nazioni e delle razze era già iniziata?”

Raphael Lemkin non si arrese però come Jan Karski, il messaggero della resistenza polacca che come lui aveva cercato di convincere inutilmente Roosvelt. Dopo la guerra, si dedicò anima e corpo per fare approvare dalle Nazioni Unite la convenzione contro i genocidi.

In quella convenzione c’erano due grandi intuizioni.

Il mondo non doveva unirsi solo per punire i carnefici, quando il male aveva fatto il suo corso, ma agire per prevenire i genocidi. Immaginava a suo modo una rete di uomini giusti tra gli Stati.

In secondo luogo, pensava che la memoria della Shoah che aveva annientato tutta la sua famiglia e gli ebrei polacchi dovesse unire il mondo intero in un nuovo comandamento morale: non commetter più nessun genocidio. Voleva che gli ebrei fossero alla testa di questo impegno per il futuro dell’umanità, perché è soltanto con l’alleanza di tutti i popoli che si può realizzare la prevenzione del Male. È un grande insegnamento anche per l’oggi nella lotta all’antisemitismo.

Per rivedere la cerimonia clicca qui

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

19 marzo 2021

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