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La leadership e l'esempio

di Giuseppenicola Tota

Il Generale Tota, qualche giorno fa, aveva raccontato al presidente di Gariwo Gabriele Nissim la storia di un Giusto, Maurizio Lazzaro De’Castiglioni, che nel dipartimento di Isere in Francia, nel periodo dell’occupazione italiana, si prodigò per salvare centinaia di ebrei. Con grande piacere oggi pubblichiamo una sua riflessione sulla leadership e le sue caratteristiche. 

In particolare è interessante la riflessione sui comportamenti che un leader deve avere: il valore dell'esempio e la capacità di considerare tutti uguali.

Partiamo da una definizione: “la leadership è l’attributo o il complesso degli attributi che un individuo possiede e che fa si che gli altri guardino a lui per riceverne direttive e guida ai fini dello svolgimento di un compito comune”.

Detti attributi però non si possono classificare o descrivere in maniera completa ed esauriente, essendo i leaders mutevoli sia in metodi sia in carattere - come del resto è il genere umano.

Tuttavia possiamo ammettere che esistono uomini (e donne) che possiedono le qualità giuste per indurre i propri vicini o collaboratori ad accettare le loro decisioni e le loro direttive in modo da conseguire un obiettivo comune. Questo accade in ogni ambito in cui due o più persone sono costrette o decidono liberamente di lavorare insieme, non escludendo la famiglia, una classe di una scuola, un’associazione, una comitiva di amici, una squadra, un plotone, una compagnia.

Riconsiderando la definizione di leadership ci accorgiamo di un termine: guardare, guardare a lui …
L’atto di guardare, di riferirsi, è strettamente correlato a quello di riconoscere un comportamento.
Tanto migliore è questo comportamento, tanto migliore è il modello, l’esempio, tanto più ci sono possibilità che questo influenzi chi lo osservi.
Ecco in cosa la leadership è collegata al dare l’esempio.

Uno dei misuratori della statura morale di un individuo è riconoscibile dalla quantità di volte che esso può essere considerato un modello da imitare. Infatti, la forza di una organizzazione come la nostra deriva soprattutto dal numero di buoni esempi da imitare.
Un brillante generale, un abilissimo dirigente, non presenta necessariamente le qualità di un leader.

Molte volte non è il grado o la posizione che fa il leader.
Per essere leader è necessario registrare successi ben maggiori che come generale dirigente, in quanto è necessario sapere adeguatamente incentivare gli esseri umani con la mira finale di raggiungere i propri scopi.

Sempre dalla definizione si capisce quali sono i due elementi attivi della leadership: il leader e i suoi uomini.
È evidente che le speranze di successo dell’organizzazione sono direttamente proporzionali al senso di coesione fra queste due parti in causa, per cui, guardando la questione da un’altra prospettiva, possiamo affermare che quando la maggioranza degli uomini di una organizzazione si sente parte integrante di un'unica entità - entità composta da loro stessi e dall’uomo che li dirige - lì troviamo la leadership.
Quando invece l’individuo non prova quel senso di unità con i suoi compagni e con il suo dirigente, è ben difficile che possa esistere la leadership.

Ecco perchè in una organizzazione tanto più è forte lo spirito di coesione tra il dirigente e i suoi collaboratori, tanto più si stabilisce una forte leadership.
Lo Spirito di coesione è influenzato dal morale e dall’aggregazione.
Il morale potrebbe essere elevatissimo anche in una situazione in cui lo spirito di coesione sia inesistente.
L’aggregazione potrebbe essere alta anche quando non sia presente lo spirito di coesione.

Un esempio in tal senso è quello del dirigente che non incontri le simpatie e sia osteggiato dai suoi uomini. Spinti a sentirsi maggiormente uniti fra loro per il solo fatto che, insieme, essi affrontano un’esperienza misera, disgustosa o paurosa creata proprio dal loro capo vuoi per stupidità o arroganza, vuoi per capriccio o per uno scopo ben deliberato.

È evidente che all’interno di una organizzazione contraddistinta da notevole coesione l’aggregazione ed il morale saranno senza dubbio altissimi.
È il leader che costruisce la coesione. Ed è sempre il leader che deve fare il primo passo! Come?

Il Principio basilare: il capo deve rispettare gli uomini che dirige. Egli deve guardare ad essi come ad uomini in tutto simili a lui, con le stesse fisime, gli stessi desideri e le stesse esigenze che egli ha. Perché nessuno sarà mai disposto a seguire volontariamente un altro che lo guardi dall’alto in basso o che peggio lo disprezzi.
Al giorno d’oggi non c’è nessun predestinato! Infatti coesione e disprezzo sono antitetici.

Un leader che si appresta a dirigere uomini e donne da lui ritenuti inferiori per motivi di nascita, di provenienza, di istruzione o altro, è già in errore, è meglio che cambi attitudine o meglio mestiere perché sarà sempre destinato al fallimento in ogni incarico che gli imponga di guidare degli uomini.

Nessun adulto ama essere trattato in maniera inadeguata specialmente da un capo che per la posizione che occupa si sente tranquillamente al sicuro da qualsiasi contrattacco. Nessun dipendente darà fiducia a questo capo! Niente fiducia, niente leadership!

Per essere reso vicendevolmente, il rispetto deve essere sincero.
Il reciproco rispetto e la reciproca fiducia debbono essere presenti se si vuole generare l’indispensabile spirito di coesione.
Come si manifesta il rispetto per gli uomini alle dipendenze?
Come agisce un leader? 
Il rispetto può essere evidenziato in molti modi da un leader,  ma si può sinteticamente dire che è sincero quando è rivolto ad interessarsi della carriera e del benessere dei propri collaboratori.
In caso di crisi, dove il leader è preso da mille altri problemi, questo è ancora più necessario e significativo.

Il dirigente che sa regolarsi in questo modo è sempre più apprezzato dai suoi uomini.
Il dirigente o il comandante che riesce a trovare il tempo ed il cuore necessari per prendersi cura in questo modo dei propri uomini sarà sempre ricompensato alla stessa precisa maniera: i suoi uomini saranno sempre pronti ad andare ovunque ed a collaborare senza esitare a qualsiasi disposizione dovesse essere impartita loro - né potrebbe essere altrimenti, data la grande e reciproca fiducia e lo spirito di coesione che li unirà.

Un altro modo attraverso il quale il leader dimostra il rispetto per i propri uomini e donne è di mostrando di essere disposto a correre gli stessi rischi e a fare le stesse cose che chiede a loro. Un uomo o una donna saranno disposti ad affrontare qualsiasi grado di difficoltà e di miseria e saranno disposti a correre ogni tipo di rischio purché tutti quelli della sua organizzazione, primo fra tutti il dirigente, facciano altrettanto.
È così che si manifesta in pieno e si consolida lo spirito di coesione per cui tutti insieme i componenti di una determinata organizzazione si sentiranno pronti a svolgere i compiti loro assegnati.
Il più giovane dei collaboratori queste cose le capisce al volo!

Ed è proprio qui che troviamo la chiave di volta della questione: occorre che siano i collaboratori a comprendere che la vita o la figura del dirigente deve essere tutelata.
Se è il dirigente a decidere da solo dell’importanza della propria integrità, lo spirito di corpo sparirà.
Quando esiste questa magica simbiosi, non soltanto il dirigente fa le stesse esperienze dei suoi collaboratori, ma egli si accorgerà anche di dover dare sempre meno direttive.

A questo punto arriviamo al nostro tema, leadership ed esempio.
La leadership più efficace è quella assicurata dall’esempio!
Una volta che il dirigente si è reso conto che i suoi collaboratori hanno capito perfettamente ciò che egli si aspetta da loro non deve fare altro che rimboccarsi le maniche e mettersi subito al lavoro con loro.

L’esempio del capo pronto a dimostrare per primo la più grande volontà servirà ad unire maggiormente tutti gli uomini provocando in essi un maggior trasporto nel svolgere il proprio incarico facendo si che fa si che ognuno guardi con entusiasmo ai compiti assegnati.

Bisogna comunque porre la massima attenzione circa l’atteggiamento da avere nei confronti di errori di esecuzione. Se nella fretta di finire il proprio lavoro un collaboratore commette un errore il dirigente può persino giungere a lodarlo se la fretta è stata dettata da buona volontà e sempre che l’errore non sia un’abitudine. Questo atteggiamento deve essere mantenuto anche quando l’errore del subordinato scateni le ire di altri dirigenti.

Nulla infatti contribuisce maggiormente a cementare la lealtà di un collaboratore della consapevolezza che il suo capo diretto è pronto a difenderlo a spada tratta contro tutto e tutti nel caso, naturalmente, di un errore commesso in buona fede. Per contro, nulla potrà essere più deleterio di un dirigente che non si faccia scrupolo di usare un collaboratore come capro espiatorio per placare qualche autorità superiore.

Infine, il bravo leader accrescerà lo spirito di coesione all’interno della sua organizzazione tenendo informati i propri uomini sui loro compiti, sui problemi e le responsabilità personali, tutto, come al solito, per guadagnare la loro fiducia.

Due sono le ragioni: i collaboratori non potranno aiutarlo e proteggerlo se non sono a conoscenza della situazione; saranno pronti a sopportare ogni tipo di difficoltà solo se saranno in condizione di sapere perché inconvenienti e difficoltà si presentano. Nella nostra società non c’è più spazio al vecchio adagio “muto e pedala, silenzio ed esegui l’ordine”, soprattutto quando non c’è necessità di tenere non informati gli uomini e le donne della tua organizzazione.

Detto questo aggiungo qualcosa su quello che la leadership non fa.
Il leader non assegna con regolarità compiti che per la loro stessa natura siano ridicoli o manifestatamente di scarso valore.
Nulla potrà maggiormente rovinare il morale di compiti o doveri superflui. Anche il collaboratore più giovane si risentirebbe.

La posizione di leader inoltre non costituisce un attributo per fare “la guerra contro i collaboratori”.

C’è una certa tradizione secondo la quale il vero leader è quello che non si lascia attraversare la strada da alcuno e non accetta le scuse di nessun collaboratore: secondo questa tradizione il dirigente tutto di un pezzo è il leader più capace. Un simile dirigente si affida alla paura per invogliare i suoi uomini a collaborare e coltiva l’immagine di se stesso quale uomo rude, senza pietà, scuro in volto, a cui massima aspirazione è quella di fare a pezzi il proprio collaboratore indipendentemente dalla posizione occupata. Qualcuno giunge agli estremi limiti pur di affermare questa immagine terrificante.

È questo un falso modello di leadership: la leadership d’assalto (la faccia feroce), assolutamente negativa perché distrugge ogni coesione. Il collaboratore deve cercare di assolvere il compito e contemporaneamente cercare di difendersi dal mostro.

Infatti, la leadership d’assalto non è mai una vera leadership, perché il leader vero sta sempre di fronte ai suoi uomini ed alle sue donne.
Mentre per frustare o tirare pedate bisogna stare dietro ad essi.
La leadership d’assalto aumenta l’inefficienza dell’organizzazione perché uno solo pensa mentre gli altri eseguono.
Uno urla e tira calci, gli altri fanno solo quello che gli viene ordinato perché ogni iniziativa può portare ad un errore da punire.
Così invece di avere a disposizione un gruppo di uomini pensanti, desiderosi di fare bene e meglio, il dirigente si ritroverà da solo a pensare ed ordinare e in un sol colpo tutte le attività cerebrali del gruppo saranno annullate.

Questo poi è particolarmente deleterio in situazioni critiche, dove ogni problema è unico e dove l’iniziativa, la capacità e la voglia di pensare da parte degli uomini rappresentano tutta la differenza che corre fra il successo ed il fallimento.
Attenzione, questo non significa che un leader non deve intervenire in maniera coercitiva nei confronti di chi se lo merita o usare in particolari situazioni energia. Solo non deve essere la regola.
Né bisogna cadere nel populismo!

Termino facendo riferimento alla mia esperienza di militare riportando quello che uno storico ha testimoniato parlando di operazioni militari, di guerra, parole che ritengo valide non solo in caso di operazioni militari ma anche in caso di una crisi generica, momento nel quale le qualità del leader emergono e sono risolutive: “in guerra la solidarietà che si creava all’interno di un reparto, condizione di ogni successo operativo e di sopravvivenza in situazioni estreme, dipendeva da un insieme di fattori, il più importante dei quali era, senz’altro lo spirito di gruppo che, da quello più informale arriva sino ad una vera e propria identificazione nel battaglione, nel reggimento o nel corpo di appartenenza: con un certo grado di provocazione si può dire che un esercito per funzionare ha bisogno di amore, non come sesso, ma come capacità di rapporti umani intensi ed affettivi tra eguali, ma anche tra superiori ed inferiori”.

Giuseppenicola Tota, Generale di Corpo d'Armata

Analisi di

6 aprile 2020

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