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La lezione della Bulgaria al mondo di oggi

di Gabriele Nissim

Il cippo per Dimitar Peshev al Giardino dei Giusti di Milano Monte Stella

Il cippo per Dimitar Peshev al Giardino dei Giusti di Milano Monte Stella

Di seguito l'intervento di Gabriele Nissim all'inaugurazione a Palazzo Moriggia (Milano) dell'esposizione "La forza della società civile: la sorte degli Ebrei in Bulgaria 1940 - 1944" - organizzata dal Consolato della Repubblica di Bulgaria in collaborazione con il Comune di Milano e Gariwo.
Il salvataggio degli ebrei bulgari è da anni al centro del lavoro di Gabriele Nissim, autore del libro "L'uomo che fermò Hitler" (Mondadori), sulla figura di Dimitar Peshev. Proprio a Peshev sarà dedicato un albero nel Giardino dei Giusti di Sofia il prossimo 21 giugno. 

Cosa insegnano la Bulgaria e il salvataggio degli ebrei bulgari?

Com’è stato possibile che sia stato l’unico Paese d’Europa dove un’élite politica, dopo avere abbracciato l’antisemitismo e l’alleanza con Hitler, abbia bloccato all’ultimo momento la deportazione degli ebrei? C’è qualcosa che riguarda anche il tempo di oggi in Europa e nel mondo. Quando il male è allo stato nascente nessuno lo riconosce e anzi, molti ne rimangono sedotti, perché il male si presenta con il fascino del Bene. Invece è proprio in quel momento che è possibile evitare il peggio e prevenire il deragliamento della storia, poiché quando il male vince è sempre troppo tardi. È per questo che la Bibbia parla dei 36 giusti che tengono in mano le sorti del mondo. Sono coloro che agiscono per prevenire il male. E come possono farlo? Spiegando alla gente la verità e cercando di convincere le persone che prendono una strada sbagliata a cambiare direzione. Non è sufficiente protestare o indignarsi, ma con grande perseveranza bisogna sforzarsi di educare e di convincere chi, in modo consapevole o inconsapevole, prende un treno sbagliato e corrompe tutta la società.

Oggi molta gente è convinta che il ritorno ai nazionalismi, ai sovranismi, a una cultura individualista possa portarci alla salvezza. Non si rende conto che la costruzione di barriere, di muri, crea i presupposti dell’odio e di guerre tra le nazioni. Il più lucido narratore di questa possibile deriva è un osservatore molto interessato. È Steve Bannon, l’ex consigliere di Trump che si augura che un’ondata populista possa travolgere le istituzioni europee e internazionali. Egli infatti, come ha scritto il New York Times parla di un’apocalisse benefica che possa scuotere il mondo per farlo rinascere. Si dimentica però di parlare delle possibili conseguenze, che già l’Umanità sperimentò drammaticamente negli anni trenta. Se vogliamo invertire questo percorso, che può portare a conflitti inimmaginabili, dobbiamo prima di tutto dialogare con chi sbaglia per fargli cambiare idea. Dobbiamo usare l’arma della ragione, come riuscì a fare Dimitar Peshev, il vicepresidente del Parlamento bulgaro. Se non lo facciamo con efficacia ora, andiamo verso la sconfitta, e alla fine tutti quanti raccoglieremo i cocci di ciò che andrà distrutto. La Bulgaria del salvataggio degli ebrei è un esempio di come è possibile comportarsi.

Questo Paese, come l’Italia fascista, aveva seguito lo spirito del tempo. Aveva seguito l’ondata nazionalista: Aveva applaudito all’alleanza con Hitler. Aveva votato le leggi razziali contro gli ebrei. Aveva riconquistato la Tracia e la Mecedonia. Era un Paese che era riuscito a tenere un rapporto con Hitler senza dichiarare guerra alla Russia. Aveva goduto dei vantaggi territoriali, senza però dovere partecipare con i suoi soldati alle imprese belliche dei nazisti. La Bulgaria doveva però pagare un prezzo per tutto questo: acconsentire allo sterminio degli ebrei bulgari. Era questo lo scambio politico che chiedeva la Germania nazista. I tedeschi avrebbero garantito alla Bulgaria la riconquista della Tracia e della Macedonia e la non partecipazione diretta alla guerra, in cambio degli ebrei. Per questo, il re Boris, il Primo Ministro Filov e il responsabile della questione ebraica Belev, organizzarono un piano segreto per la deportazione degli ebrei. Era il marzo del 1943. A questo punto, dopo tanto silenzio, alcuni uomini apparvero sulla scena. Furono prima di tutto capaci di spiegare la verità e si diedero da fare per convincere l’élite del Paese a cambiare strada. La dinamica è molto interessante. La potrei definire come un meccanismo di emulazione del Bene che, a partire da una scintilla, scosse le coscienze di un Paese intero.

Tutto partì da un ebreo di Kjustendil, Jako Baruch, che venuto a conoscenza dei preparativi della deportazione degli ebrei nella sua città, non accettò di diventare una vittima passiva e decise di incontrare il suo vecchio amico, il vicepresidente del Parlamento Dimiter Peshev. Fu un colloquio drammatico, perché in un primo momento Peshev negò decisamente le informazioni che gli forniva il suo amico. Faceva praticamente finta di non comprendere il pericolo. Poi, scosso nella sua coscienza, decise di agire. Insieme ad un gruppo di parlamentari si recò alle sei di sera dal Ministro degli Interni Gabronski e, minacciando uno scandalo politico, lo forzò a telefonare in tutte le prefetture per bloccare la deportazione, prevista attorno a mezzanotte. Peshev stesso, non fidandosi del Ministro degli Interni, assieme agli altri deputati volle parlare con i prefetti per sincerarsi della revoca degli ordini. Quel gesto non era però sufficiente. Peshev era consapevole che la situazione degli ebrei rimaneva comunque in bilico, poiché l’ordine della deportazione era soltanto sospeso. Intuì che ci voleva un segnale politico dal Parlamento bulgaro, affinché il governo non cedesse nuovamente alle pressioni della Germania. “Mi chiedevo che cosa fare. Non potevo più tacere[1] e restare inattivo quando erano in gioco questioni così importanti… così decisi di agire, ma come? Avevo capito che i gesti personali, sia pur praticabili, potevano dimostrarsi, alla lunga, di scarsa efficacia. Non erano sufficienti per garantire un esito positivo. Il governo li poteva ribaltare con le stesse motivazioni con cui aveva giustificato l’approvazione dei provvedimenti antiebraici… Per evitare l’irreparabile bisognava porre la questione in parlamento.” Il vicepresidente del Parlamento scrisse allora, il 17 marzo, un documento con l’obiettivo di raccogliere il massimo numero di firme da parte dei deputati della maggioranza filonazista da inoltrare al Primo Ministro Bogdan Filov, responsabile con il re Boris dell’ordine della deportazione. Volutamente rifiutò di raccogliere il sostegno dell’opposizione, perché se il suo appello fosse stato interpretato come una sfida a tutta la linea politica del governo non sarebbe stato preso in considerazione.

Il testo era un vero capolavoro, poiché si proponeva di far capire come il male fatto agli ebrei si sarebbe ripercosso prima o poi sulla stessa nazione bulgara. Peshev non chiese ai parlamentari di difendere gli ebrei per compassione, in nome di un amore universale verso gli altri - un argomento che certamente non può convincere chi ha abbracciato la spirito nazionalista del tempo - ma li invitò ad immaginare il peso insopportabile della colpa che si sarebbe abbattuto sull’intero Paese.

Capovolse così il discorso patriottico. Per le ambizioni territoriali non si poteva diventare complici di un genocidio. L’amputazione “morale” era ben più grave dell’amputazione “territoriale”. “Tali misure sono inammissibili[2], dichiarava, non solo perché queste persone – cittadini bulgari – non possono essere espulse dalla Bulgaria, ma anche perché ciò avrebbe serie conseguenze per il Paese. Sarebbe un’indegna macchia d’infamia sull’onore della Bulgaria, che costituirebbe un grave peso morale, ma anche politico, privandola in futuro di ogni valido argomento nei rapporti internazionali. Le piccole nazioni non possono permettersi di trascurare questi argomenti che, qualsiasi cosa accada in futuro, costituiranno sempre un’arma potente, forse la più potente di tutte. Quale governo bulgaro potrebbe assumersi una simile responsabilità riguardo al nostro futuro? Una cosa del genere si ritorcerebbe soprattutto contro il governo, ma colpirebbe anche la Bulgaria. È facile prevedere le conseguenze che una simile situazione potrebbe avere, ed è per questo che ciò non deve succedere. L’onore della Bulgaria e del popolo bulgaro non è solo una questione di sentimento, è soprattutto un elemento della sua politica. È un capitale politico del massimo valore ed è per questo che nessuno ha il diritto di usarlo indiscriminatamente se il popolo intero non è d’accordo”. Il contenuto dell’appello ricordava il testo della lettera che dieci anni prima Armin Wegner aveva mandato invano a Hitler, presso la cancelleria di Monaco nell’aprile del 1933, mettendolo in guardia dalla vergogna che sarebbe ricaduta sulla Germania con le persecuzione antiebraica. “La vergogna cui va incontro la Germania[3] a causa di ciò non sarà dimenticata per lungo tempo! Infatti, su chi cadrà un giorno lo stesso colpo che ora si vuole assestare agli Ebrei, se non su noi stessi?”. Ma nel caso della Bulgaria le parole di Peshev furono convincenti: 43 deputati della maggioranza filotedesca firmarono l’appello, non perché avessero cambiato idea politica, o desiderano una nuova collocazione internazionale del loro Paese, ma perché per la prima volta qualcuno li fece ragionare sulle conseguenze morali delle loro azioni.

Il vicepresidente del Parlamento pagò però un prezzo pesante per il suo gesto. Il re Boris ed il Primo Ministro Bogdan Filov lo accusarono di avere infranto, con quella lettera, la disciplina di partito e di avere agito contro il governo. Il 26 marzo del 1943 veniva così rimosso dalla carica di vicepresidente del parlamento. Re Boris era furioso: Peshev aveva reso pubblico l’accordo stilato dal governo con i nazisti per la deportazione degli ebrei. A questo punto, l’operazione segreta non poteva più avere luogo. Peshev aveva accesso nel Parlamento e nelle istituzioni del Paese una miccia che non poteva più essere spenta: tutti diventarono consapevoli delle terribili responsabilità che la monarchia si sarebbe assunta con la consegna degli ebrei.

Il 31 marzo re Boris, nel corso di un viaggio in Germania, informò Hitler e Ribbentrop di avere cambiato idea e di non potere deportare gli ebrei dell’interno, con la scusa che il Paese aveva bisogno di manodopera per la costruzione strade. Karl Hoffman, l’agente segreto tedesco accreditato a Sofia, in un rapporto del 5 aprile del 1943 a Berlino scrisse che Belev, il capo del commissariato per le questioni ebraiche, era stato scavalcato dal re, preoccupato della propria immagine di fronte all’opinione pubblica. “La deportazione si presenta in Bulgaria[4] molto più difficile che in Germania e in altri Paesi perché il governo non può muoversi senza tenere conto delle conseguenze interne e internazionali.”

La lezione di Peshev e dei parlamentari bulgari ha molti significati. Prima di tutto ha mostrato che se un Paese alleato della Germania si rifiutava di consegnare gli ebrei aveva tutti i margini per farlo. I tedeschi dovevano tenere conto dell’opinione dei loro alleati. La Bulgaria ha avuto il coraggio di farlo. Ma si tratta di un insegnamento che vale soprattutto per l’oggi. Perché quando si ha il coraggio di dire pubblicamente la verità sulle possibili conseguenze dei nazionalismi si possono convincere anche le persone che la pensano diversamente. Il problema di oggi è che tutto viene accettato senza una resistenza culturale. È anche per questo che oggi, ricordando Peshev, il mio plauso va al Presidente della Repubblica italiana che ci invita a ragionare sui pericoli dello sfaldamento dell’Europa e sul nostro comune destino.

[1]Peshev, Sulla questione ebraica, Fondo n.1335, u.a.156, Sofia, Archivio Storico nazionale.

[2] Peshev, Lettera di protesta al Primo ministro Bogdan Filov,Fondo 1335,u.a.85, Sofia, Archivio Storico nazionale.

[3] Armin Wegner, Lettera aperta al cancelliere del Reich Adolf Hitler,1933.

[4] Karl Hoffman, “Report by the German Legation in Sofia to the R.S.H.A. in Berlin on the difficulties to deport the Jews in Germania, in Social cultural…,cit.,vol.XVIII,1983,p.98.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

1 giugno 2018

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