Riprendiamo la recensione di Auschwitz non finisce mai (Gabriele Nissim, Rizzoli 2022) scritta dalla storica Anna Foa per Pagine Ebraiche (n.5 - maggio 2022)
Scrivo di questo libro di Gabriele Nissim, Auschwitz non finisce mai (Rizzoli 2022), con negli occhi le terribili immagini di Bucha, il massacro compiuto dai russi in Ucraina. E mi tornano prepotenti alla mente le immagini di Srebrenica, le lunghe file di sarcofagi, tanto simili a quelli delle Fosse Ardeatine. E le fosse comuni in Ruanda, e la Siria, anch’essa vittima dell’alleanza tra Assad e la Russia di Putin. E i campi di sterminio e i ghetti nazisti. Mai come in questo momento penso che questo libro sia importante e che altrettanto importante sia scriverne e spingere quanti hanno a cuore queste tematiche, - la Memoria, la Shoah, i genocidi - a leggerlo e a riflettere su quello che vi si dice.
Il libro, l’ultimo frutto della riflessione di Gabriele Nissim - il fondatore di Gariwo, l’ideatore dei Giardini dei Giusti dell’Umanità e della giornata europea dei Giusti - si divide in due parti: la prima affronta il tema della memoria della Shoah, del suo uso politico, del modo come si è costruita a partire dal dopoguerra; la seconda parte rilegge e analizza il ruolo e il percorso di Raphael Lemkin, il giurista ebreo polacco rifugiato negli Stati Uniti, l’inventore del termine genocidio, colui che ha individuato le caratteristiche del fenomeno genocidario già mentre lo sterminio degli ebrei, la Shoah, era ancora in svolgimento, il collaboratore del processo di Norimberga. Una figura gigantesca e in realtà poco studiata e riconosciuta cui soprattutto dobbiamo la possibilità di perseguire a livello internazionale i crimini contro l’umanità, di riconoscere e nel migliore dei casi prevenire i genocidi.
Genocidi, riconosciuti o meno dall’Onu, che pure si sono succeduti nel corso di questi decenni dopo la Shoah e la fine della guerra: la Cambogia di Pol Pot, il Ruanda, la Bosnia con Srebrenica, più recentemente, anche se non riconosciuto dal momento che uno dei suoi autori, la Russia, ha il diritto di veto all’Onu, la Siria di Assad. Ma, si domanda Nissim, qual è il legame fra questi genocidi e la Shoah? E fra quelli precedenti, quello degli Herero nell’Africa del Sud, quello armeno, l’Holodomor, la carestia voluta da Stalin in Ucraina, con molti milioni di morti? Non stiamo parlando di violenze, sia pur terribili e di massa, e neppure di altri conflitti mediterranei, certo ben diversi da un genocidio. Stiamo parlando di genocidi riconosciuti a livello internazionale, sia pur tra mille contrasti come la tenace opposizione turca al riconoscimento di quello armeno. Quello siriano è ancora in atto e sarà difficile, grazie al ruolo che vi gioca la Russia, riconoscerlo come tale. E speriamo che non si debba arrivare, in un futuro più o meno distante, a dover riconoscere come genocidio i massacri di oggi in Ucraina.
E allora, l’unicità della Shoah? Da qui parte il discorso di Nissim, da quell’unicità di cui tanto si parla, che si è trasformata quasi in un dogma, e che il libro analizza tanto nella sua genesi, domandandosi quando si è cominciato a parlare di unicità della Shoah nel percorso complesso della sua memoria, quanto nelle sue conseguenze. Non rischia forse la tesi dell’unicità di trasformare la memoria della Shoah in una separazione tra gli ebrei e i non ebrei, in un abisso crescente che spinge verso un ruolo secondario, di minore importanza, gli altri genocidi, che li minimizza rispetto a quell’unicum detto Shoah, cioè lo sterminio degli ebrei? Di questa etichetta Nissim ripercorre l’origine, dal momento che non se ne è parlato subito e ci sono voluti due decenni prima che si affermasse, nel 1967. Da una parte, il clima che circonda la guerra del 1967, con il timore degli ebrei, in Israele e nel mondo, di dover affrontare un’altra Shoah; dall’altra le riflessioni a New York di quattro importanti intellettuali ebrei, dove due di loro, Elie Wiesel e Emile Fackenheim, gettano le basi per questa reinterpretazione in chiave di unicità della Shoah. Una reinterpretazione, ci dice Nissim, che ha soprattutto caratteristiche religiose. La memoria della Shoah, invece di diventare, come afferma George Steiner nello stesso dibattito, un paradigma per comprendere il mondo, battersi per i diritti umani, contrastare i genocidi, diventa il monito per riaffermare con più forza il proprio ebraismo, rinserrarsi nell’identità. Mai più per gli ebrei, certo, e per tutti gli esseri umani? Da questo punto di partenza si sviluppa il percorso del libro, in cui Nissim ci guida con maestria attraverso le riflessioni di personaggi quali Primo Levi, Hannah Arendt, Simone Veil, Vassilij Grossmann, lo storico israeliano Yehuda Bauer, e tanti altri. E le loro riflessioni sui genocidi, sulle loro somiglianze e diversità, sul senso della memoria della Shoah come su quello della memoria degli altri genocidi. A ben vedere non è l’“unicità” ad essere importante, anzi sarebbe forse meglio usare la categoria di “evento senza precedenti”.
Ogni genocidio è unico, ha delle caratteristiche sue proprie e un filo che lo lega agli altri genocidi, alla realizzazione dell’annientamento di intere collettività. E in questo la Shoah ha delle caratteristiche di specificità – i campi di sterminio, il gas, lo spostamento delle vittime, la volontà assoluta di annientamento di tutti gli ebrei, che l’ha trasformata nello spartiacque che ha diviso in due il nostro tempo, prima e dopo la Shoah. Ma uno spartiacque volto a cosa? A consolidare l’ebraismo dei superstiti, a edificare lo Stato di Israele, a onorare la memoria dei morti? Oppure a insegnare al mondo intero i disastri del razzismo, di ogni razzismo, a riconoscere i prodromi del baratro – con ogni genocidio, non solo quello che tocca noi ebrei - a evitarlo? È questo che importa davvero. È l’antico conflitto tra anima universalistica e anima particolaristica da sempre presente nel mondo ebraico e ora ancor più importante perché ciò che è in gioco è il nostro futuro, nostro di tutti, un futuro a cui la memoria della Shoah, se non si chiude all’esterno, molto, moltissimo, può insegnare. Come scrive in apertura Nissim, citando George Steiner: “La nostra differenza è che proclamiamo che non c’è differenza fra gli esseri umani”. “Affermare di essere ebrei, prosegue Nissim, non significa costruire un mondo a parte, ma gridare ad alta voce quando l’umanità viene oltraggiata”.

Analisi di Anna Foa, storica