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La scorta di Liliana Segre dovremmo essere noi

di Martina Landi

Liliana Segre al Giardino dei Giusti di Milano

Liliana Segre al Giardino dei Giusti di Milano

Quando ho appreso, questa mattina, la notizia della scorta data a Liliana Segre, ho avuto due reazioni immediate.

Innanzitutto, ho pensato a Liliana e alla forza che trasmette in ogni sua testimonianza, davanti ai ragazzi delle scuole o tra i banchi del Parlamento. Lei, che con la deportazione ha sofferto in modo indimenticabile per se stessa e per lo stupore per il male altrui, oggi si trova ad essere oggetto di più di 200 messaggi di odio al giorno. Duecento.

Poi, il pensiero è andato a un’immagine di Liliana Segre durante l’inaugurazione del Giardino dei Giusti di Milano, circondata da amici, istituzioni, giovani e cittadini. Una vera “scorta morale”. Perché siamo, o dovremmo essere noi, in fondo, la scorta di Liliana.

Non era facile, allora, stare con i perdenti, i discriminati, i perseguitati. Non lo è oggi parlare di antifascismo, lotta al razzismo, accoglienza, indifferenza.
E lo è ancora meno farlo in quell’arena digitale che sono i social network, sempre più simili a perenni talk show che azzerano le differenze e le ragioni, le conoscenze e le verità.

Spesso Liliana Segre dice di trovare la forza di raccontare l’orrore della Shoah non solo per ricordare e per dare voce a chi non è tornato dai campi - “coloro che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento” -, ma anche per aiutare i giovani di oggi a identificare i germi del male e a respingere la tentazione dell’indifferenza. La notizia della scorta alla Senatrice fotografa una nazione in crisi profonda, a cui abbiamo il dovere morale di rispondere.
E forse dovremmo iniziare proprio dai social network, per innescare una rivoluzione positiva nel linguaggio e nell’immaginario. Forse dovremmo iniziare a pensare a una strategia nazionale che risponda al linguaggio di odio contrapponendovi esperienze, storie, esempi di bene, per generare un meccanismo di empatia capace di diventare “virale”. Se è vero infatti che le tragedie della Storia mostrano come il male si ripeta e si diffonda sempre attraverso meccanismi ben precisi, le storie dei Giusti sono l’esempio di come sia sempre possibile costruire delle piccole isole di umanità, capaci di tenere accesa una scintilla di speranza tra gli uomini.

Affinché “il bene sia contagioso” non basta quindi evitare sui social network un certo tipo di linguaggio. Per rompere i muri di odio occorre farsi ambasciatori di queste storie, raccontarle, diffonderle, renderle esempi da seguire. Al Monte Stella Liliana Segre ricordava che “i Giusti non sono e non sono stati mai indifferenti, e quindi bisogna pensare a loro come a un dono che ha ricevuto l’umanità intera. Così, con tutto lo stupore per il male altrui, dobbiamo ammirarli, non essere stupiti, ma accettare la felicità che ci siano stati e che continuino ad esserci, i Giusti”. Se riusciremo a creare questo meccanismo di diffusione del bene, se cominceremo ad ammirare e a far ammirare gli esempi dei Giusti, allora saremo riusciti a costruire un argine morale all’odio, e saremo noi la prima scorta di Liliana. 

Martina Landi

Analisi di Martina Landi, Responsabile del coordinamento Gariwo

7 novembre 2019

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