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La sfida di noi giornalisti russi: denunciare la guerra attraverso le testimonianze di chi non ha voce

di Ilya Krasilshchik, giornalista e fondatore di Helpdesk.media

L'intervento di Ilya Krasilshchik, giornalista russo fondatore di Helpdesk.media, al Giardino dei Giusti di Milano "La guerra oltre la propaganda - Il racconto indipendente dei fotoreporter ucraini e dei dissidenti russiin occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa.

Vorrei iniziare il mio intervento sottolineando - innanzitutto -  che se un arresto in Russia avesse sempre l’aspetto che ha oggi, sicuramente non potrei sperare di meglio. È per un grande onore essere qui con voi per parlare in questo posto meraviglioso, in questo parco meraviglioso, in questa città meravigliosa, in questo Paese meraviglioso. Mi chiamo Ilya Krasilshchik e sono il fondatore di Helpdesk.media (in Russo Служба поддержки) e l’obiettivo del nostro progetto è quello di dare la possibilità di aiutare le persone, facendo sì che esse possano aiutarne delle altre. Si tratta di persone che si trovano in pericolo a causa della guerra e noi le assistiamo gratuitamente, 24 ore su 24 e completamente in forma anonima. Noi non sappiamo chi siano queste persone, ma riceviamo i loro messaggi tutti i giorni.

Vi sono, ad esempio, delle storie recenti che vi potrei raccontare, come quella della madre di una bambina che ci ha da poco contattati, raccontandoci di come sua figlia a scuola abbia definito la guerra come brutta, divenendo vittima di bullismo e ponendo contestualmente sua madre dinanzi ad un grave pericolo con le autorità russe. Ci ha contattati anche un’altra persona, la quale cerca di fuggire dall’esercito russo e di nascondersi dalla polizia militare. Cerca di scappare dalla Russia, ma la stanno cercando. Ci ha scritto una persona che era stata convocata per un interrogatorio presso i servizi segreti, l’FSB - cioè l’ex KGB - perché sospettata di tradimento. Si tratta di un’accusa che comporta l’ergastolo, in ottemperanza ad una nuova Legge approvata di recente. Quando non riusciamo ad aiutare queste persone, noi le mettiamo in contatto con diverse associazioni e organizzazioni con le quali collaboriamo, che sono circa sessanta e si trovano in Russia, in Bielorussia e in Ucraina. Noi facciamo questo lavoro quotidianamente.

Cos’altro facciamo? Noi cerchiamo di dare voce alle persone; da un lato siamo ben consapevoli del fatto che la guerra è politica, la guerra sono gli eserciti, la guerra è un’economia distrutta, la guerra è la distruzione delle città, la distruzione delle filiere di produzione, la guerra sono le trattative. Nonostante ciò, la guerra comprende anche i destini delle persone, i quali vengono praticamente cancellati ogni giorno. Vi sono persone che perdono tutto, che perdono la loro vita e quelle delle loro famiglie. La guerra da un lato può assomigliare quasi ad un videogame, con le sue strategie, per chi la osserva da lontano; quando leggiamo notizie sulla guerra vediamo dei numeri, dei dati, ma la vera guerra - la guerra vera e propria - è rappresentata dalle persone che la vivono quotidianamente e che capiscono realmente quali orrori essa comporti.

Generalmente, siamo portati a pensare che la guerra non possa arrivare, che sia una cosa assai lontana da noi. Purtroppo così non è. La guerra è un qualcosa di spaventoso, di terribile, che in Ucraina, da più di un anno, è divenuto realtà e avviene quotidianamente su un territorio particolarmente esteso e popolato. Tutti i giorni noi raccontiamo storie e aiutiamo le persone che ce le raccontano e, per fortuna, in Russia sono in tanti ad essere desiderosi di aiutare chi soffre.

Posso portarvi altre testimonianze che raccontiamo: Anya, ad esempio, è una ragazza ucraina di 19 anni, la quale stava festeggiando il proprio compleanno nella città di Dnipro quando casa sua è stata colpita da un missile. Fortunatamente Anya è riuscita a sopravvivere, anche se ha perso un occhio ed è piena di cicatrici a causa del bombardamento. In questo momento Anya si trova in Austria, i dottori l’hanno salvata e non è in pericolo di vita, ma ha ancora tanti problemi. Fortunatamente Anya ha ancora tanta energia, tanta voglia di sopravvivere, tanta energia dentro di sé. 

Abbiamo raccontato anche la storia di Artyom, un militare, così come suo padre. I due hanno combattuto su due fronti diversi, uno al fianco degli ucraini e l’altro al fianco dei russi. È una storia che abbiamo raccontato a settembre. Poco tempo fa Artyom è morto. Vi faccio qualche altro esempio delle storie che siamo soliti raccontare: abbiamo parlato delle testimonianze di quelle persone che hanno perso tutta la famiglia a causa dei bombardamenti, la storia di un uomo morto ad un posto di blocco russo, la storia di un ragazzo che si trovava su un campo per lavorare la terra nell’area di Mykolaiv, città ucraina, ed è finito con il proprio trattore su una mina. Raccontiamo anche le storie di genitori i cui figli sono stati rapiti e deportati in Russia. Queste sono tutte storie che raccontiamo quotidianamente. Potrei andare avanti all’infinito a raccontarvele, in quanto si tratta di testimonianze con le quali abbiamo a che fare tutti i giorni.

Contestualmente, mi pongo delle domande. È abbastanza quanto facciamo? Perché lo facciamo? Cosa stiamo cercando di cambiare e cosa cambieremo? Quando cerco di rispondere a queste domande mi dico: noi lo facciamo per la vittoria, la vittoria della libertà sull’assenza di libertà, la vittoria del bene sul male, la vittoria della pace contro l’oscurità, la vittoria della pace contro le tenebre che avvolgono la Russia. Alla domanda riguardante cosa sia successo, per quale motivo questa nube oscura ci abbia inghiottiti, risponderemo dopo. 

Oggi la cosa più importante è la vittoria dell’Ucraina. Come giornalista cerco di capire anche come possa fare il mio lavoro senza prendere le parti di qualcuno. Non si tratta di un compito facile perché noi non siamo solo giornalisti, ma anche cittadini. Come posso assolvere a questo compito? Sicuramente scegliendo che storie raccontare e come raccontarle. Si tratta, come già detto, di storie di persone, storie che ci raccontano la realtà così com’è e che, pertanto, non ci ingannano. Quello che possiamo fare noi, in quanto giornalisti, è scegliere quali storie raccontare e a quali persone dar voce.

Ci stiamo avvicinando alla vittoria? Noi possiamo salvare, forse, 100 persone dalla coscrizione militare, anche se l’esercito russo ne troverà altre 100. Magari saranno in grado di reclutare persone provenienti da aree più remote e meno popolate della Russia; sono persone alle quali l’esercito russo metterà poi in mano un fucile, sono persone che poi andranno ad uccidere. Uccidere le persone di cui scriviamo noi. Noi raccontiamo le vicende di un numero limitato di persone, anche se poi l’esercito russo ne ucciderà molte di più. Purtroppo, noi non abbiamo la possibilità di scrivere di tutti questi esseri umani.  La guerra mostra, sicuramente, i limiti dell'uomo, ma ci mostra anche delle possibilità: noi abbiamo una possibilità perché siamo uniti nella volontà di poter far qualcosa, di poter cambiare le cose.

Abbiamo un obiettivo comune: siamo giornalisti e attivisti che vengono da diversi Paesi - Russia e Ucraina nella maggior parte dei casi - ma poco importa la nostra provenienza, così come il nostro passaporto. Abbiamo colleghi che risiedono a Kiev, a Odessa, che provengono dall’Europa: quando sussiste un obiettivo comune, la provenienza non conta. Mi rincuora sapere che ci siano persone come noi, siano esse 10, 100 o 1000 o di più. Sono persone che hanno il nostro stesso obiettivo, siano essi politici, giornalisti o attivisti. Mi rincuora sapere che queste persone esistano e che condividano le nostre aspirazioni, perché il passaporto non è importante quando si ha un obiettivo condiviso e quando si uniscono gli sforzi per raggiungerlo.

In ogni caso, credo che sia impossibile non agire in queste situazioni. Qualche tempo fa ho avuto la possibilità di parlare con un ex dissidente sovietico, Alexander Daniel. Quando l’ho incontrato, ho potuto chiedergli quale fosse il suo obiettivo e per quale motivo si fosse comportato in quel determinato modo. Egli mi ha risposto che ad animare le sue proteste, così come quelle dei suoi collaboratori, non fosse tanto la possibilità della vittoria, ma la giustezza della loro causa. Questa è forse la differenza più sostanziosa tra i dissidenti sovietici e noi. Noi vogliamo e ricerchiamo la vittoria, perché abbiamo vissuto la libertà e sappiamo, pertanto, che forma abbia e cosa essa significhi.

Vi vorrei lasciare con un’ultima riflessione: fai quello che va fatto e sii quello che devi essere, a prescindere che tu sia un giornalista o meno. Vittoria all’Ucraina, libertà alla Russia e Tribunale per i criminali.

Ilya Krasilshchik

Analisi di Ilya Krasilshchik, giornalista e fondatore di Helpdesk.media

16 maggio 2023

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