Gariwo
QR-code
https://it.gariwo.net/magazine/editoriali/la-surreale-escalation-di-mosca-in-ucraina-24471.html
Gariwo Magazine

La surreale escalation di Mosca in Ucraina

Le minacce di Putin e le sue (potenziali) fatali conseguenze

di Anna Zafesova

Mentre il Dipartimento di Stato USA decide il rimpatrio di parte del personale della sua ambasciata a Kiev, per via di informazioni sulla “possibilità di significative operazioni belliche della Russia contro l’Ucraina”, la crisi sta raggiungendo una tensione talmente elevata da renderla quasi surreale. Esperti di politica e strategia militare discutono su riviste prestigiose come Foreign Affairs i possibili scenari di guerra – da incursioni di confine limitate per strappare all’Ucraina altri lembi di territorio, a un’invasione su larga scala, fino a una offensiva di missili e bombe che non punta tanto ad annettere terre ucraine, quanto a radere al suolo città, infrastrutture e centri di comando – mentre deputati della Duma propongono attacchi preventivi con armi nucleari al territorio americano. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky invita i suoi cittadini a non farsi prendere dal panico, e a non fuggire verso le regioni orientali del Paese per paura dell’invasione da Est, mentre a Kiev atterrano aerei americani e britannici carichi di aiuti militari. Joe Biden dichiara pubblicamente di credere che “Putin entrerà in azione” contro l’Ucraina e la borsa russa precipita in attesa delle sanzioni “senza precedenti” che la Casa Bianca promette in caso di sconfinamento del 140 mila soldati russi ammassati a pochi chilometri dalle frontiere ucraine.

La guerra appare imminente, quanto impossibile e impensabile. Non solo perché si tratterebbe del primo conflitto armato su larga scala in Europa dal 1945, non solo perché porterebbe decine di migliaia di morti e centinaia di milioni di profughi, che andrebbero ad aggiungersi a quelle 14 mila vittime e più di un milione di civili fuggiti dalle loro case a causa della “guerra a bassa intensità” in corso da otto anni nel Donbass. L’invasione russa dell’Ucraina non sarebbe un conflitto tra due Paesi, tra una ex colonia e un ex impero: sarebbe – e il Cremlino è il primo a metterla in questi termini – lo scontro tra Russia e Occidente, e non a caso Vladimir Putin ha lanciato la sua sfida a USA e NATO, scartando senza troppi complimenti dal tavolo negoziale gli europei. L’obiettivo dichiarato di Mosca è ridisegnare le sfere d’influenza in un tentativo di spartirsi il mondo in quella “nuova Yalta” che Putin invoca da anni, e in questo processo l’Europa non è un interlocutore, è il bottino. Come ha scritto l’ex presidente e premier russi Dmitry Medvedev in un recente articolo sul conflitto con l’Ucraina, “vogliamo negoziare con i padroni, non perdere tempo con i vassalli”.

Ancora prima che sia stato sparato un solo colpo, l’escalation militare e diplomatica lanciata da Mosca ha distrutto il sistema di relazioni internazionali emerso dalla fine della guerra fredda con la caduta del comunismo sovietico, ma ha anche rotto una serie di tabù che avevano trattenuto il mondo dalla catastrofe nei decenni precedenti. Per la prima volta dalla crisi di Cuba, nel 1962, esponenti altolocati del regime russo discutono apertamente della possibilità di un conflitto nucleare. Per la prima volta in quasi un secolo, Mosca minaccia una “rottura delle relazioni completa” con Washington, qualcosa che non era mai nemmeno apparso all’orizzonte perfino nei momenti in cui sovietici e americani si preparavano alla terza guerra mondiale. Per la prima volta dai tempi dell’invasione della Cecoslovacchia, nel 1968, viene ripristinata la dottrina brezneviana della “sovranità limitata”, secondo la quale un Paese satellite di Mosca che decide di allontanarsi dalla sua orbita va riportato all’ovile con I carri armati. Per la prima volta dai deliri di Milosevic – e per trovare un precedente bisogna tornare indietro agli anni 30 – un capo di Stato europeo disquisisce pubblicamente di “territori storici” da rivendicare a un altro Paese sovrano, e di quanto i suoi abitanti siano in realtà, secondo lui, etnicamente e culturalmente russi, e quindi suoi soggetti per nascita, perché in quella logica di sangue e terra che ormai domina nella leadership del Cremlino è impossibile che un russo possa voler condividere valori europei. E, per la prima volta nella sua storia, l’Europa unita aspetta lo scoppio di una guerra che appare incapace di prevenire, in un Paese che nel 2014 era sceso in piazza con le bandiere dell’Ue, per difendere la sua prospettiva europea.

È per questo che si prova una sensazione surreale a osservare gli ucraini che, come scrive la giornalista di Kiev Olga Tokariuk, vanno a cena fuori e si vedono con gli amici, come al solito, mentre discutono di cosa faranno durante la guerra: chi e dove scapperà per mettere in salvo i figli, chi resterà a combattere, quali sono i rischi maggiori per le donne e i bambini. Qualcosa che si era visto negli ultimi decenni soltanto al cinema, e anche dall’altra parte si scopre dai sondaggi che la seconda paura più diffusa tra i russi (dopo la perdita dei propri cari) è quella di una guerra mondiale, un incubo che sembrava dimenticato per sempre dopo il disarmo gorbacioviano. E forse è uno dei motivi per cui il negoziatore russo, viceministro degli Esteri Sergey Ryabkov ha negato risolutamente qualunque piano di invasione, e il suo principale Sergey Lavrov all’incontro con il suo collega americano Anthony Blinken si è lamentato che Washington e Bruxelles dedicano troppa attenzione al dossier ucraino, mentre Mosca vorrebbe negoziare con l’Occidente problemi di sicurezza globali. Forse è questa paura di una guerra insostenibile che spinge negli ultimi giorni diplomatici e militari russi a ipotizzare altri scenari di escalation – dai missili nucleari da piazzare in nuove basi russe in Venezuela e a Cuba al riconoscimento delle zone del Donbass ucraino già occupate dai russi come “Stati indipendenti” – che non comportino però un’invasione.

È evidente che un pezzo della stessa élite putiniana teme una guerra che ritiene correttamente fatale innanzitutto per il regime stesso. Se anche la tattica della diplomazia americana – minacciare sanzioni pesantissime e concedere aiuti militari a Kiev, aumentando il prezzo di un’escalation, e offrendo contemporaneamente ai russi un negoziato lungo e vasto sul contenimento reciproco – dovesse costringere Putin a battere in ritirata, rimarrebbe il problema di un regime in crisi, il cui leader alimenta una ideologia revanscista e ha bisogno di una piccola guerra vittoriosa per costringere i suoi stessi uomini a non chiedere nel 2024 un avvicendamento generazionale al Cremlino. E rimarrebbe il problema di un Occidente, e soprattutto di un’Europa, troppo abituati alla pace per risultare attrezzati di fronte a un sistema politico che non ha paura della guerra.

Anna Zafesova

Analisi di Anna Zafesova, giornalista, analista e USSR watcher

24 gennaio 2022

Non perderti le storie dei Giusti e della memoria del Bene

Una volta al mese riceverai una selezione a cura della redazione di Gariwo degli articoli ed iniziative più interessanti. Per iscriverti compila i campi sottostanti e clicca su iscrizione.




Grazie per aver dato la tua adesione!

Contenuti correlati

Scopri tra gli Editoriali

carica altri contenuti