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La terapia del bene

di Gabriele Nissim

Ancora una volta, dopo il sanguinoso attentato terroristico nella Holey Artisan Bakery di Dacca, si respira un clima di paura e incertezza, perché sembra mancare un progetto politico che possa finalmente segnare la sconfitta di un fenomeno che appare sempre più globalizzato - da Parigi a Orlando, da Bruxelles ad Istanbul.

Sono ancora pochi coloro che ragionano sull’importanza di una battaglia culturale che crei un fronte comune tra europei, arabi, cristiani, ebrei e musulmani, per affrontare alla radice una sfida così complessa. Due i motivi di un ritardo che impedisce la sconfitta dei terroristi, non solo sul piano “militare”, ma anche su quello delle idee.

In primo luogo si sottovaluta la forza di attrazione “ideale” che l’integralismo omicida continua ad esercitare tra tanti giovani, come del resto è già accaduto nella storia per molte ideologie totalitarie che hanno affascinato intere generazioni in Europa. Così viene a mancare non solo una risposta morale che metta in crisi le loro idee, ma non si fanno i conti con un pensiero che è più sofisticato e articolato di quanto si possa immaginare. Anche se noi non lo accettiamo, bisogna riconoscere che ci vuole una forte convinzione per decidere il suicidio e non provare nessuna pietas quando si compiono omicidi di massa che colpiscono a caso le persone.

In secondo luogo spesso si dimentica che chi paga le conseguenze di questa deriva ideologica sono innanzitutto gli arabi e i musulmani, sia nei loro Paesi dove la crisi economica si aggrava per la caduta verticale del turismo, sia in Europa, in cui la paura del terrorismo alimenta l’indifferenza e il rigetto nei confronti dei migranti e diventa più facile il discorso di quanti propongono muri e barriere.

Ecco perché ha un grande valore morale e politico per tutto il Medio Oriente l’iniziativa che Gariwo, insieme al Ministero degli Esteri, si appresta a realizzare il 15 luglio a Tunisi, all’interno dell’Ambasciata italiana diretta da Raimondo de Cardona. Per la prima volta verrà inaugurato, con il concorso delle autorità tunisine e il premio Nobel per la pace Ben Moussa, il primo Giardino dei Giusti in un Paese arabo.

Il segnale è molto forte. Prima di tutto perché il Giardino dei Giusti è un luogo di pace e di meditazione che premia e valorizza quanti hanno avuto e hanno il coraggio di difendere il Bene e la dignità umana, e poi per la scelta di un Paese in prima fila nella resistenza al fondamentalismo. La Tunisia, infatti, è oggi minacciata perché, dopo le primavere arabe, non solo ha scelto la democrazia come argine al terrorismo, ma è stata capace di costruire delle istituzioni laiche, separando la politica dalla religione. Lo stesso partito Ennahda, di ispirazione islamica, nel suo ultimo congresso ha deciso di intraprendere un percorso aperto alla modernità e ha chiesto ai suoi membri di separare la loro funzione pubblica dalla predicazione della religione.

Di grande significato è la scelta delle persone da onorare al Giardino, che avrà sede nel cortile dell’Ambasciata italiana per suggellare i valori comuni della nostra diplomazia con le aspirazioni della società tunisina.

Un riconoscimento di grande valore simbolico, a poche ore dalla strage degli italiani nel ristorante di Dacca, verrà dato a Faraaz Hussein, lo studente musulmano di venti anni, che si è rifiutato di accettare la via di uscita offertagli dai terroristi, pur di non abbandonare le sue amiche Abinta e Tarishi che cenavano con lui. Hussein non ha accettato quel terribile credo, già caro ai nazisti, secondo cui solo una parte dell’umanità avrebbe diritto alla vita. Faraaz ha preferito affrontare la morte, per il principio opposto a quello che guida i terroristi suicidi: l’amore per la pluralità umana. L’ambasciatore De Cardona si è attivato per rendere possibile la partecipazione della famiglia dello studente alla piantumazione dell’albero, affinché il mondo sappia che l’Italia, pur piangendo le sue vittime, è il primo Paese che si muove per valorizzare i Giusti musulmani. Il dolore non ci deve fare dimenticare che ci sono giovani che già oggi rappresentano “l’altra possibilità” rispetto al progetto dei fanatici dell’islamismo totalitario e omicida.

Due ulivi saranno poi piantati per gli eroi della resistenza all’Isis. Hamadi ben Abdesslem è la guida tunisina che durante l’attacco terroristico al Bardo ha salvato una quarantina di turisti italiani da una morte certa, trovando loro una via d’uscita attraverso i sotterranei. È un riconoscimento importante - anche perché questa figura è stata troppo presto dimenticata in Italia – e sarebbe significativo che le persone salvate dal suo gesto coraggioso cogliessero questa occasione per esprimere pubblicamente la loro gratitudine.

Khaled al-Assad è invece l’archeologo di Palmira che si è immolato nel tentativo di salvare il sito archeologico dalla barbarie dei terroristi. Quando ne ho parlato con Ben Moussa, il premio Nobel è rimasto piacevolmente sorpreso, perché mi ha confessato che questa storia, di cui si è parlato tanto in Italia, non aveva avuto riscontro nella società tunisina. Poche informazioni circolano nel mondo arabo sulle figure che osano resistere al terrorismo.

Per la prima volta sarà poi ricordato con un albero in un Paese arabo un musulmano che ha salvato degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. È il tunisino Khaled Abdul Wahab, che durante l’occupazione nazista nascose nella sua fattoria a Madhia un quarantina di ebrei, condannati alla deportazione. È un tema fino a ieri considerato tabù, perché la propaganda antisionista ha rimosso ogni manifestazione di altruismo degli arabi nei confronti degli ebrei. Ricordarlo oggi è una risposta importante agli integralisti che presentano gli ebrei come i più pericolosi nemici dell’Islam. Infine sarà onorato Mohamed Bouazizi, il giovane ambulante che, come Jan Palach a Praga durante l’occupazione sovietica, si sacrificò con un gesto clamoroso per affermare il diritto alla dignità umana, dando così inizio alla Primavera tunisina che portò alla caduta del regime di Ben Ali.

Proporre oggi queste storie di uomini giusti in un Paese arabo significa contrapporre ai fanatici dell’Isis delle figure morali che si sono comportate in un certo modo per il gusto della bellezza, della vita, della amicizia. Sono esempi morali che dimostrano concretamente, a chi si fa sedurre dal fascino dell’odio, che si vive molto meglio quando si accoglie l’altro e si gioisce per la pluralità umana. La memoria dei Giusti arabi ha il valore di una terapia morale anche per quegli europei che sono demagogicamente portati a credere che dietro ad ogni musulmano si nasconda un potenziale terrorista. Il riconoscimento della comune umanità è oggi la forza più grande per sconfiggere il terrorismo e tutti i pregiudizi che sono alimentati da chi vuole dividere il mondo tra amici e nemici.

Questo articolo è comparso sulle pagine di Avvenire il 5 luglio 2016

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