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La violenza si combatte anche a tavola

di Viviana Kasam

Adrian Raine, neuroscienziato e criminologo statunitense

Adrian Raine, neuroscienziato e criminologo statunitense

L'editoriale della presidente di BrainCircleItalia Viviana Kasam sull'appuntamento di lunedì 25 maggio alle ore 18.30 con il professor Adrian Raine nell’ambito degli incontri “Pillole per la mente: il rapporto tra cibo e cervello”, organizzati da Braincircle.

Esiste qualche tratto nella struttura, nelle connessioni, nella biologia del cervello che può spiegare la tendenza all’aggressività, alla mancanza di empatia che consente di uccidere a sangue freddo, o viceversa all’incapacità di controllare gli impulsi che porta ai delitti passionali? Non è facile parlare di questi argomenti, perché si rischia di cadere nelle trappole del determinismo lombrosiano e di voler riconoscere i criminali da segni distintivi. Ma secondo Adrian Raine, professore di criminologia e psichiatria presso l’Università della Pennsylvania, autore di 450 articoli pubblicati sulle riviste internazionali più prestigiose, e di 7 saggi, tra i quali “Anatomia della violenza” (uscito in Italia per i tipi di Mondadori Education), genetica, biologia, epigenetica e anche alimentazione danno un contributo significativo allo sviluppo della personalità violenta. Che poi questa si manifesti o no, dipende da fattori culturali e ambientali, dall’atmosfera familiare, dall’educazione. “Prendiamo per esempio la paura” - spiega il prof. Raine. “Quelli che non hanno paura potrebbero entrare in un negozio e uccidere qualcuno perché non temono le conseguenze, o al contrario diventare vigili del fuoco, militari o poliziotti, infermieri e medici che si prodigano in situazioni drammatiche mettendo a repentaglio la propria vita, come è successo in molti ospedali durante la recente pandemia”.

L’influenza della dieta nello sviluppo del cervello del feto, è stata documentata da molte ricerche. Un alto fattore di rischio è la malnutrizione. Uno studio condotto subito dopo la Seconda guerra mondiale su 150.000 donne olandesi evidenziò che quelle che avevano fatto la fame durante la ritirata tedesca avevano due volte e mezzo la probabilità di mettere al mondo bambini violenti rispetto a quelle che avevano avuto una dieta adeguata. E molte ricerche hanno dimostrato che un insufficiente apporto calorico nei primi mesi e anni di vita incide negativamente sullo sviluppo del cervello e in particolar modo della corteccia prefrontale, quella delegata a controllare gli impulsi e a esercitare la razionalità. Il consumo di alcol e droghe durante la gravidanza può compromettere lo sviluppo del cervello nel feto, e secondo il prof. Raine, non esiste un livello minimo di sicurezza. Anche una piccola quantità può essere nociva.

L’aggressività viene stimolata anche da un eccessivo consumo di zuccheri. Il meccanismo è noto: i carboidrati raffinati sono rapidamente assorbiti dall’intestino e scatenano un rilascio massiccio di insulina che va rapidamente a consumare lo zucchero nel sangue facendo scendere il livello della glicemia molto al di sotto di quello fisiologico. Uno dei primi sintomi dell’ipoglicemia reattiva è l’irritabilità, e l’irritabilità è il primo passo verso un comportamento sociale aggressivo. Lo confermano parecchie ricerche, da quella pionieristica sugli indiani Quol in Perù, agli studi sui carcerati in Finlandia (quelli con livelli di glicemia più bassi avevano maggiori probabilità di reiterare i comportamenti criminali). La più ampia è la ricerca condotta nel 2004 da Simon Moore dell’Università di Cardiff in Inghilterra che paragonò i comportamenti di 17.000 persone di 34 anni nate durante la prima settimana di aprile nel 1970, nell’ambito di una ricerca statistica sulla popolazione. Il 69% di quelli che avevano subito condanne per episodi di violenza ricordavano di aver mangiato dolciumi ogni giorno da ragazzini, rispetto al 42% dei coetanei non violenti. E infatti oggi si tende a togliere gli zuccheri ai bambini che soffrono di scarsa concentrazione e iperattività, manifestazioni spesse associate anche a comportamenti aggressivi.

La buona notizia è che esistono anche cibi che possono controbilanciare le tendenze violente. Ne parlerà il prof Raine lunedì 25 maggio alle 18:30, illustrando le sue ricerche e rispondendo in diretta alle domande del pubblico nell’ambito degli incontri “Pillole per la mente: il rapporto tra cibo e cervello” organizzati da Braincircle (in live streaming sulla pagina Brainforum su Facebook e Youtube, e anche in differita sul sito brainforum.it, dove è possibile consultare anche le puntate precedenti).

Da anni il professor Raine studia i bambini per intercettare e prevenire lo sviluppo ci comportamenti criminali. Ritiene infatti che attraverso test abbastanza semplici sia possibile identificare i soggetti a rischio già nei primissimi anni di vita . Per molti anni ha seguito nelle isole Mauritius 1300 bambini dall’età di tre anni. A otto anni i soggetti malnutriti presentavano una maggiore incidenza comportamenti aggressivi e di iperattività, che si accentuava a 11 e a 17 anni. Decise quindi di lanciare un progetto biennale di miglioramento ambientale e dietetico, con programmi di stimolazione cognitiva, regimi nutrizionali, esercizio fisico durante un periodo di due anni. In particolare somministrava un bicchiere di latte ogni giorno per bilanciare l’apporto calorico. I progressi furono immediati e duraturi. I bambini che avevano seguito il programma crescendo manifestavano una incidenza molto minore di condanne criminali rispetto al gruppo di controllo.

Un altro alimento che può aiutare a combattere l’aggressività è il pesce, per il suo alto contenuto di Omega 3, gli acidi grassi a catena lunga che provocano, secondo il prof. Raine, un potenziamento dei neuroni, dei neurotrasmettitori e della neurogenesi e possono quindi potenziare le funzioni cognitive e migliorare il comportamento. Ricerche sul tasso di omicidi in 26 Paesi del mondo rispetto al consumo di pesce hanno evidenziati che dove si mangia più pesce rispetto al peso corporeo, come in Giappone, il tasso di omicidi è basso, mentre è più alto nei Paesi dell’Europa dell’Est, dove il pesce non fa parte della dieta abituale. Incuriosito da questi dati, il prof. Raine ha condotto uno studio alle Mauritius, somministrando ogni giorno per sei mesi un succo di frutta arricchito con un grammo di Omega 3 a un gruppo di bambini fra i 2 e i 16 anni. Non solo quelli che assumevano l’Omega 3 risultavano più tranquilli ed equilibrati, ma gli effetti benefici proseguivano per lungo tempo dopo la fine della somministrazione.

Stessi risultati su un gruppo di delinquenti in carcere a Singapore, con età media di 19,2 anni. La significativa riduzione dei comportamenti antisociali e aggressivi era ancora riscontrabile 12 mesi dopo la fine del trattamento con Omega 3.

“Se ampliando la ricerca in altri Paesi del mondo e su campioni più ampi, i nostri dati risultassero confermati, potremmo avere una terapia semplice, economica e senza effetti collaterali per migliorare la condizione di vita nelle carceri e prevenire il ripetersi di comportamenti criminali, con importanti conseguenze sociali e individuali” sostiene il Prof. Raine, che cerca scienziati italiani disposti a collaborare con lui per portare avanti la ricerca nel nostro Paese.

Viviana Kasam

Analisi di Viviana Kasam, giornalista e presidente Brain Circle Italia

25 maggio 2020

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