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L’atomica che non fabbricai

di Francesco M. Cataluccio

Pubblichiamo di seguito la storia del grande scienziato Józef Rotblat raccontata su "Il Foglio" da Francesco M. Cataluccio.

Józef Rotblat, il grande fisico ebreo polacco che concepì la Bomba, sfuggì al nazismo ma abbandonò il Progetto Manhattan perché la guerra si sarebbe vinta anche senza Hiroshima.

Nel 1944 ci fu uno scienziato, un geniale ebreo polacco, che si rifiutò per ragioni morali, unico tra i suoi colleghi, di continuare a lavorare al progetto della bomba atomica. Si chiamava Józef Rotblat ed era nato nel 1908 a Varsavia, in via Mila 64, nel quartiere di Wilanów. Poco più in là, al numero 18, alla fine della rivolta del Ghetto di Varsavia, nel maggio del 1943, vi si nascosero, e poi trovarono la morte, numerosi combattenti della Organizzazione ebraica di combattimento (Zob), incluso il loro comandante Mordechaj Anielewicz. Prima di arrendersi e lasciare il bunker dove si erano rifugiati molti si tolsero la vita: tra questi un parente di Józef, Lutek Rotblat, che prima sparò alla madre Miriam (a questa drammatica vicenda lo scrittore Leon Uris ha dedicato, nel 1961, il romanzo “Mila 18”).

Figlio di un modesto impiegato, Józef frequentò la scuola religiosa ebraica (cheder) ma la abbandonò presto e si mise a fare l’elettricista. Nel 1928 però iniziò a studiare fisica nella “Libera Università Polacca” (Wolna Wszechnica Polska), considerata progressista e non antisemita, che non necessitava della maturità (che Rotblat prese soltanto nel 1931). Là ebbe la possibilità di studiare con il celebre fisico Ludwik Wertenstein che lo chiamò a collaborare con il suo Istituto di Radiologia dove si facevano pionieristici studi sulla radioattività (nella tradizione della scienziata premio Nobel Maria Salomea Sklodowska, meglio conosciuta come Marie Curie, scopritrice delle proprietà del Radio e di un nuovo elemento che, in omaggio alla sua madrepatria, chiamò Polonio).

Rotblat, nel 1938, si addottorò in Fisica all’Università di Varsavia con uno studio sui Neutrini che fu subito pubblicato nella prestigiosa rivista Nature. Per questo fu chiamato, nel 1939, a proseguire le sue ricerche all’Università di Liverpool, sotto la guida del fisico britannico James Chadwick (premio Nobel nel 1935 per aver scoperto il Neutrone). Ma rimase là poco. Temendo lo scoppio della guerra, Rotblat tornò a Varsavia per riportare con sé in Inghilterra la moglie Tola Grin. A causa di un’operazione di appendicite lei non potette mettersi in viaggio e Rotblat, il 31 agosto del 1939, tornò da solo a Liverpool. Nel 1940 Tola non riuscì a partire per l’Italia, da dove sarebbe voluta fuggire in Inghilterra: fu rinchiusa nel Ghetto di Lublino assieme ad altri sei membri della famiglia Rotblat. Tola venne uccisa, nell’aprile del 1942, nel campo di sterminio di Belzec o, secondo un’altra versione, per strada durante la liquidazione del Ghetto (gli altri membri della famiglia Rotblat, trasferiti nel Ghetto di Varsavia, nell’estate del 1942, corrompendo una guardia, riuscirono a fuggire e a nascondersi, vicino a Otwock, fino all’arrivo delle truppe sovietiche). Nel frattempo Józef tentò di arruolarsi nella Raf per poter volare a salvare la moglie, ma non lo accettarono. Seppe della sua morte soltanto a guerra finita.

Durante la Seconda guerra mondiale Chadwick diresse il programma atomico britannico denominato “Tube Alloys” (Leghe per tubi) e poi la delegazione inglese a Los Alamos, nel Nuovo Messico, dove gli Stati Uniti realizzarono le prime bombe atomiche. Si portò ovviamente dietro Rotblat che aveva già, seppur con parecchi scrupoli etici, le idee molto chiare su cosa e come andasse fatto: “L’idea della bomba mi venne agli inizi del ’39, in Polonia, la mia terra d’origine. Sapevo della scoperta della fissione e, poiché avevo pronto un mio esperimento, verificai ben presto che, quando l’atomo dell’Uranio si divide in due parti, nel processo di fissione, vengono emessi anche alcuni Neutroni. E questo apriva la possibilità di una reazione a catena, in cui hanno luogo molte fissioni e una grossa quantità di energia viene rilasciata in un brevissimo lasso di tempo, il che significa una potente esplosione. Decisi, però, di non pensare a questa possibilità: aborrivo l’idea. E anche quando andai a lavorare a Liverpool con Chadwick, il fisico che aveva scoperto il Neutrone, continuavo a rigettarla, sebbene fossi preoccupato perché le pubblicazioni tedesche menzionavano la possibilità di un’atomica. Ma quando la guerra scoppiò, dovetti accantonare i miei scrupoli morali: andai da Chadwick e gli suggerii di iniziare a lavorare alla bomba. Ragionai secondo il principio di deterrenza: se Hitler avesse ottenuto l’atomica, l’unico modo per impedirgli di usarla contro di noi era che anche noi l’avessimo e potessimo minacciare una rappresaglia. Cominciammo nel novembre del ’39 e quando nel ’43 gli americani dettero il via al Progetto venni arruolato. Dovevo stabilire l’energia dei Neutroni emessi dal nucleo dell’Uranio nel processo di fissione. Nei reattori nucleari per la produzione di energia, i Neutroni vengono rallentati proprio per controllare la reazione a catena ed evitare l’esplosione, per la bomba invece servono Neutroni veloci e bisogna conoscere, prima di tutto, la loro energia”.

Dal febbraio del 1944 Rotblat lavorò al Progetto Manhattan, a Los Alamos, dove si cercava di battere sul tempo gli scienziati tedeschi. Quando fu chiaro che i nazisti non avrebbero avuto la bomba atomica e che sarebbero stati sconfitti comunque Rotblat iniziò a sostenere che non ci fosse più la necessità di costruire un ordigno così micidiale. Ma, in fondo, lo pensava sin da quando la bomba cominciò a concretizzarsi. Il 2 dicembre del 1942, il suo amico, il fisico e scrittore di fantascienza ungherese Leó Szilárd (1898-1964), con Fermi responsabile di un segmento del progetto, aveva ottenuto all’Università di Chicago la prima reazione a catena controllata. Szilárd aveva avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo iniziale del Progetto Manhattan, proponendo a Einstein di inviare, nell’agosto del 1939, al presidente statunitense Franklin D. Roosevelt una lettera confidenziale (la cosiddetta Lettera Einstein-Szilárd) che spiegasse la possibilità di sviluppo di un’arma nucleare a fissione e che incoraggiasse la creazione di un programma per lo sviluppo di tale arma, prima che lo facessero i nazisti in Germania (che erano in vantaggio, perché nel 1938 il chimico Otto Hahn, seppur fermo oppositore di Hitler sin dal 1934 quando si era dimesso dal corpo insegnante dell’Università di Berlino per protesta contro il licenziamento di colleghi ebrei, aveva scoperto la fissione dell’Uranio). Szilárd disse a Rotblat che la sua scoperta era “un giorno che sarebbe passato alla storia dell’umanità come una giornata nera”.

Durante una conversazione privata con il generale americano Leslie Richard Groves (1896-1970), responsabile del Progetto Manhattan, Rotblat si sentì dire: “Voi vi rendete conto, ovviamente, che il principale scopo del Progetto è quello di soggiogare i russi”. Questo gli sembrò un tradimento di un alleato: “Era il marzo del 1944: i russi erano nostri alleati e lavoravamo contro Hitler. Immagini il mio shock! E quando lo dissi ai miei colleghi, loro non mi credettero!”. Rotblat cessò immediatamente di lavorare alla bomba che si stava preparando, esplicitando ancora più chiaramente la propria contrarietà.

Da alcuni mesi, nonostante che Rotblat non avesse mai avuto rapporti con comunisti, l’Fbi lo aveva messo sotto sorveglianza come possibile spia dell’Unione sovietica. Lo accusarono quindi di aver trasmesso delle informazioni ai sovietici, senza accorgersi, allora, che un suo collega, il fisico tedesco naturalizzato britannico Klaus Emil Jules Fuchs (1911-1988), considerato la più grande mente teorica dopo Albert Einstein, stava passando all’Unione sovietica fondamentali informazioni: disegni della bomba atomica e i progetti relativi alla bomba all'idrogeno. Fuchs venne scoperto e arrestato da Scotland Yard soltanto nel 1950: processato e condannato a 14 anni, 5 dei quali condonati, nel 1959 si stabilì a Lipsia.

Unico scienziato ad abbandonare il Progetto Manhattan prima della sua devastante conclusione, Rotblat tornò subito in Inghilterra dove, nel 1946, fu uno dei fondatori dell’Atomic Scientists Association e, nel 1947, organizzò l’Atom Train: la prima grande mostra sugli usi pacifici e contro le applicazioni militari dell’energia nucleare. Rotblat, dal 1945 al 1949, fu direttore della ricerca in fisica nucleare dell’Università di Liverpool, dove, nel 1950, conseguì il Ph.D. e fu nominato professore di fisica dell’Università di Londra presso il Medical College dell’ospedale St. Bartholomew, e Chief physicist dell’ospedale stesso (carica che mantenne fino al 1976).

In quegli anni, contribuì alla scoperta del Mesone pi-greco con la messa a punto di speciali emulsioni fotosensibili. Si dedicò con sempre maggiore impegno alle applicazioni biologiche e mediche della fisica nucleare. Rotblat continuò la propria battaglia contro la guerra nucleare e le sue conseguenze: aiutò la commissione d’inchiesta internazionale a stabilire che i marinai del peschereccio giapponese Daigo Fukury Maru (“Barca del drago fortunato numero cinque”) erano morti per avvelenamento radioattivo causato dal test termonucleare denominato “Castle Bravo”, compiuto dagli Stati Uniti nell’atollo di Bikini il 1° marzo del 1954 (cfr. Mark D. Merlin, Ricardo M. Ginzales, “Environmental Impacts of Nuclear Testing in Remote Oceania”, 1946–1996, in The Historical Journal, Cambridge, 3-V-2010).

Nel 1955 Rotblat firmò, insieme ad altri dieci scienziati e filosofi (Max Born, Perry W. Bridgman, Albert Einstein, Leopold Infeld, Frédéric Joliot-Curie, Herman J. Muller, Linus Pauling, Cecil F. Powell, Bertrand Russell, Hideki Yukawa), il Manifesto contro la proliferazione degli armamenti atomici: un accorato appello alla comunità scientifica nel quale si evocava il rischio ormai concreto della distruzione del mondo intero in caso di guerra. Due anni dopo, lo stesso Rotblat fu il principale animatore di una grande conferenza del mondo scientifico sui temi affrontati dal Manifesto, che si tenne a Pugwash, nella Nuova Scozia, Canada (da allora, ogni anno, scienziati di ogni parte del mondo hanno partecipato alle “Pugwash Conferences on Science and World Affairs”). Rotblat è stato il direttore di queste conferenze dal 1957 al 1995, quando ottenne il Premio Nobel per la pace.

Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, Rotblat scrisse che esisteva una concreta possibilità che i terroristi acquisissero armi nucleari: “Il metodo di detonazione Gun, usato nella bomba di Hiroshima, è molto semplice. Per un gruppo di terroristi che abbiano risorse, che probabilmente includono scienziati, la tecnologia non è un problema. Né lo è il materiale: per il Gun, serve uranio 235. Se si hanno i soldi, è veramente semplice procurarselo: ne bastano 40 chili, e in Russia ce ne sono mille tonnellate. Si può trasportare in un altro Stato, metterlo in un garage e detonarlo a distanza” (J. Rotblat, “Militarism and Arms Races: Terrorist Attacks and Nuclear politicies”, The Times, 1° gennaio 2002).

Pochi mesi dopo, in un’intervista a un giornale italiano, aggiungeva: “Le armi nucleari non servono a nulla contro il terrorismo e i Paesi individuati dal governo americano come complici del terrorismo non potranno certo esser vinti con le bombe atomiche. Piuttosto esiste il rischio concreto di vedere gruppi estremisti utilizzare armi atomiche. L’uso da parte di organizzazioni terroristiche di sistemi d’arma del genere va eliminato. Esiste una strada certa per farlo: dar seguito ai trattati di denuclearizzazione e procedere al disarmo, in modo da far sparire dalla circolazione anche i materiali necessari per la loro costruzione (…) Ma non mi faccio illusioni. Do il benvenuto a ogni taglio, ma questo non è reale. Non distruggono le armi, le mettono semplicemente nei magazzini e, se servono, le ritirano fuori.” (Cfr. Il mio no all’atomica”. Intervista a Joseph Rotblat di Stefania Maurizi, La Stampa, 2 ottobre 2002).

Gli scienziati, anche quelli bravi e preparati, hanno inevitabilmente una visione parziale dei problemi, come ha mostrato il grottesco dramma “I fisici” (1961) di Friedrich Dürrenmatt. Del resto, non sono i fisici nucleari che decidono se e quando, e dove, sganciare le bombe. Neppure i militari. Sono i politici a prendersi la responsabilità. Rotblat, sul quale è uscita recentemente in Polonia un’accurata biografia (Marek Górlikowski, “Noblista z Nowolipek”, Wyd. Znak, Kraków), è stato un grande scienziato, con la vita segnata dall’uccisione della moglie, sinceramente pacifista, dotato di profonda umanità e lucidi dubbi. Nel 1985 confessò: “Una domanda continua a tormentarmi: abbiamo imparato abbastanza per non ripetere gli errori che commettemmo allora? Io non sono sicuro nemmeno di me stesso. Non essendo un pacifista perfetto, io non posso garantire che in una situazione analoga non mi comporterei nello stesso modo. I nostri concetti di moralità sembra vengano abbandonati una volta che un’iniziativa militare è stata avviata. È, quindi, della massima importanza non permettere che si creino tali situazioni".

Francesco M. Cataluccio

Analisi di Francesco M. Cataluccio, Responsabile editoriale della Fondazione Gariwo

9 settembre 2020

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