Pubblichiamo di seguito l'intervento del presidente di Gariwo Gabriele Nissim alla conferenza di apertura della Gariwo Netweek 2022, che ha avuto come tema L’etica ai tempi dell’odio. L'intervento è uscito su Mosaico il 22 novembre 2022.
Liliana Segre ha posto un problema drammatico con queste parole: “Sono una delle ultimissime testimoni al mondo e con pessimismo e realismo dico che la Shoah sarà trattata in un rigo nei libri di Storia, poi non ci sarà più neanche quello”. Non si ricorderà, dunque, tra qualche tempo, la Shoah. Non si parlerà più di quanto è successo agli ebrei.
È lo stesso problema del negazionismo di ritorno che sentono gli armeni, ma anche i cambogiani e i ruandesi.
La domanda che si pone Liliana Segre mi ricorda le angosce di Levi dopo la sua liberazione dal campo, quando immaginava che al suo ritorno nessuno avrebbe creduto ai suoi racconti. Oggi c’è un incubo diverso: con la scomparsa dei testimoni si creerà un nuovo tipo di indifferenza e di rimozione.
Come risolvere questo problema?
Sono convinto che ci troviamo a una svolta nel discorso della memoria. La memoria degli ebrei, come degli armeni e di altri popoli, potrà durare nel tempo se saremo capaci di trasformarla in un punto di riferimento morale per la prevenzione dei genocidi.
È stata questa la grande intuizione dell’ebreo polacco Raphael Lemkin, quasi sconosciuto in Italia, che nel 1948 riuscì a fare approvare dalle Nazioni Unite la Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.
Il ricordo delle vittime e delle loro sofferenze sarebbe continuato se l’umanità si fosse presa l’impegno morale di impedire nuovi genocidi. Fu questo il suo patto personale con le vittime polacche e con la sua famiglia, morta ad Auschwitz.
Ricordare la Shoah significa dunque insegnare un'etica alle persone, affinché siano sempre capaci di reagire all’odio e a tutte quelle forze che possono portare al male estremo. Direi che Liliana Segre ha colto l’urgenza di questa prospettiva quando ha creato la Commissione contro l’odio al Parlamento. Senza lotta all’odio non c’è memoria.
Per questo motivo quello che accade in Ucraina ci dovrebbe fare pensare in un modo completamente diverso rispetto a quanto si scrive sui media e spesso si ascolta nel dibattito pubblico italiano. Lo ha detto in modo chiaro Timothy Snyder, il più grande studioso americano dei genocidi e del totalitarismo sovietico. Non è una guerra che nasce dall’industria delle armi e dal cuore cattivo degli uomini. Ma è un tentativo di genocidio culturale e Putin lo ha dichiarato apertamente. Ha manifestato la sua intenzionalità in tutti i discorsi che hanno preceduto l’invasione: l’Ucraina non può esistere perché è Russia e non può esistere perché lui non vuole un paese democratico. Attacca persino le biblioteche perché, dal suo punto di vista, dovrebbero esistere solo i libri russi.
E così, con questa impostazione, ha dichiarato una guerra. Non agli eserciti, ma alla popolazione, colpendo obbiettivi civili. È la stessa modalità usata in Siria, Cecenia, Georgia. Si massacrano e si uccidono le persone che, si afferma, non dovrebbero esistere come popolo libero. E anche minacciare l’uso di armi nucleari, come ha dichiarato spesso l’ex presidente Mevdevev, che ieri di nuovo ha dichiarato che Kiev è una città russa, significa che se l’Ucraina non si arrende sarà colpita da bombe nucleari tattiche.
E quando un popolo è minacciato nella sua esistenza cosa succede?
Si chiede aiuto per la sopravvivenza, come fecero i dirigenti del Bund del ghetto di Varsavia a Jan Karski, quando chiesero armi per combattere e che ci fosse un intervento militare per bloccare il genocidio degli ebrei. Allora, chiesero che gli alleati bombardassero le città tedesche fino all’arresto del genocidio e persino che gli emissari ebrei si suicidassero davanti alle ambasciate del mondo fino al momento in cui sarebbero state fermate le deportazioni.
Se non c’è un aiuto, un popolo disarmato perde e si ricorderanno solo le macerie.
Dovremmo poi guardare alla guerra che Putin ha dichiarato al popolo russo. Molti pacifisti dichiarano la necessità di una conciliazione tra la Russia e l’Ucraina. Principio nobile, ma questo sarà possibile solo quando ci sarà il riconoscimento russo dell’autodeterminazione degli ucraini come popolo libero. Tuttavia, qualcosa è possibile nella direzione della pace tra i due popoli: creare un ponte tra gli oppositori russi e i resistenti ucraini. È quanto Gariwo ha fatto al Giardino dei Giusti di Milano dando valore a Zoya Svetova di Novaya Gazeta e alla redazione di Meduza in esilio in Lettonia.
Bisogna, inoltre, guardare in modo completamente diverso anche quanto sta accadendo oggi in Iran.
Non abbiamo capito il significato dello slogan che si grida nelle piazze di Teheran e in tante altre città. Cosa significa il grido “donna, vita, libertà”, dopo l’assassinio di Masha Amini e il bacio di due ragazzi in pubblico a Shiraz, dove un giovane bacia e abbraccia in pubblico una ragazza che non porta più il velo per manifestare il suo amore per una giovane che vuole essere libera del potere religioso e maschilista?
È in gioco la libertà delle donne in tutto il mondo islamico, dopo la sconfitta in Afghanistan.
Per questo anelito alla libertà 348 donne e uomini hanno perso la vita, 16mila sono stati messi in carcere, e ci sono cinque condanne a morte. Non abbiamo capito che un genocidio, un crimine contro l’umanità, può colpire non solo una minoranza, ma anche il genere femminile che non vuole vivere in una condizione di sottomissione.
Ma, a differenza dell’Ucraina, non vediamo una mobilitazione internazionale, un intervento pubblico del Papa e degli esponenti di altre religioni, perché le donne umiliate contano sempre meno.
Così, queste donne, se non trovano il nostro aiuto rischiano di finire sconfitte come è accaduto con l’onda verde nata dopo l’assassinio di Neda Agha Soltan, come Masha Amini.
Un bacio ha portato alla morte di Saman Abbas, una giovane pachistana che voleva amare liberamente Saqib Ayub, che è stata uccisa dai genitori che erano seguaci di un Islam integralista. Il bacio di Shiraz deve portare alla vita e alla liberazione delle donne umiliate nel mondo islamico.
La prevenzione dei genocidi e gli strumenti per bloccare le stazioni dell'odio
Come si realizza il mai più che dovrebbe significare una protezione per qualsiasi gruppo minacciato in ogni parte del mondo, un mai più che significa la preservazione della pluralità umana in qualsiasi dimensione, maschile e femminile?
Come si crea una terapia contro l’odio, il disprezzo della persona, la gogna dell’altro nei social, il rifiuto del diverso come è accaduto nei porti italiani, o là dove il male viene inculcato con le bugie? Come è accaduto con Trump negli Stati Uniti che ha fomentato un attacco a Capitol Hill e alla democrazia americana, sostenendo la falsificazione di un risultato elettorale.
Cito tutte queste cose assieme non per fare confusione, ma perché, come ha scritto Agnes Heller, il male radicale non arriva da un giorno all’altro, ma passa attraverso diverse tappe intermedie che nella maggior parte casi non siamo in grado comprendere. All’abisso ci si arriva come un treno che prima della tappa finale si ferma in differenti stazioni, dove, ogni volta, noi possiamo decidere di scendere o di continuare.
Si comincia con la stazione dell’uomo buono che è altruista verso gli esseri umani, poi c’è la stazione dell’uomo indifferente che pensa solo al suo tornaconto, poi c’è l’uomo che ha il gusto sadico di fare del male agli altri.
Come ci ha insegnato Lemkin, prima si manifesta l’odio attraverso il linguaggio. Poi si crea la cultura politica del nemico, si creano delle leggi ingiuste che portano alla discriminazione (c’erano le leggi antisemite, ma quante leggi ingiuste esistono oggi che discriminano le donne, la comunità Lgbt, le minoranze etniche) e poi c’è la persecuzione che può portare all’annientamento come è accaduto in Ruanda.
Per questo motivo abbiamo voluto sostenere, in questa occasione, il lavoro della Commissione contro l’odio. Ci auguriamo prima di tutto che possa continuare, con Liliana Segre e il senatore Verducci, il suo lavoro fondamentale in questa legislatura. Noi ci impegneremo a fare vivere questa Commissione dal basso, nelle scuole e nei Giardini dei Giusti, perché questo lavoro straordinario deve vivere nella società e non avere una dimensione solo istituzionale.
Lo stesso impianto e la stessa motivazione che hanno spinto a creare questa Commissione unica in una democrazia dovrebbero valere anche per il quadro internazionale. Per questo, come Gariwo, abbiamo proposto in audizione alla Commissione Esteri della Camera dei deputati la creazione di un advisor sui genocidi che informi il Parlamento sulle minacce di genocidi che attraversano il mondo e sulle forme di odio e discriminazioni che riguardano i diritti umani ovunque.
Si potrebbe pensare a una sinergia in Parlamento su questi due tipi di informazioni, raccontando così quanto accade, per esempio, agli uiguri in Cina, agli armeni in Karabakh, alla popolazione siriana o a quella yemenita. Informare, dunque, l’opinione pubblica sugli odi internazionali che possono provocare atrocità di massa e genocidi.
Come si crea una personalità morale, una persona che reagisce all’indifferenza?
Penso che dobbiamo reagire alla rassegnazione che attraversa il nostro mondo e considero quanto mai attuale l’orazione sulla dignità dell’uomo del 1486 di Pico della Mirandola, che sosteneva che l’uomo non è determinato ma che con il proprio libero arbitrio può scegliere la direzione. Dovremmo richiamarci alla grande potenzialità dell’uomo su questa terra, come scriveva Pico della Mirandola, che raccontava il dono di Dio agli uomini.
“Tu, non costretto da alcuna limitazione, forgerai la tua natura secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai”.
“Ti ho posto in mezzo al mondo, perché di qui potessi più facilmente guardare attorno tutto ciò che vi è nel mondo”.
“Non ti abbiamo fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché come libero, straordinario plasmatore e scultore di te stesso, tu ti possa foggiare da te stesso nella forma che preferirai”.
“Potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti; potrai rigenerarti, secondo la tua decisione, nelle cose superiori, che sono divine".
“Nell'essere umano nascente il Padre infuse semi di ogni specie e germi d'ogni vita. I quali cresceranno in colui che li avrà coltivati e in lui daranno i loro frutti. Se saranno vegetali, diventerà pianta; se sensuali abbrutirà, se razionali, diventerà creatura celeste, se intellettuali sarà angelo e figlio di Dio. E se, non contento della sorte di nessuna creatura, si raccoglierà nel centro della sua unità, fattosi spirito in unione con Dio, nella solitaria caligine del Padre, colui che è collocato sopra tutte le cose su tutte primeggerà”.
L’uomo può cambiare il mondo e lottare per l’ingiustizia e la salvezza del pianeta sempre e ovunque.
Vivere la verità contro le paura e le menzogne
Ma come farlo quando sembra che le forze peggiori abbiano il sopravvento? C’è un metodo per non farsi condizionare e ritrovare il coraggio, quando sembra che il potere delle autocrazie e dei fanatici sia più forte di noi e si ha la sensazione che l’odio che si respira attorno sia una malattia inguaribile?
Come osservava Istvan Bibo durante l’invasione del '56 a Budapest, le dittature e chi istiga all'odio hanno un obbiettivo: condizionare il nostro pensiero con le minacce e il terrore. Vogliono che noi ci rassegniamo e accettiamo le ingiustizie. Vogliono creare un meccanismo di servitù volontaria e farci diventare un anello delle loro menzogne. In questo modo, c’è qualcuno che giustifica la Russia, come la Cina, o si arrende a chi pensa che i migranti in Italia rovineranno la nostra esistenza e ci costringono ad abbandonare la nostra pietas.
C’è però una strada diversa per resistere ad ogni forma di odio, che ci vorrebbe condizionare, e per mantenere la fiducia per un mondo di umanità: vivere e pensare la verità nella propria esistenza quotidiana, suggeriva con un insegnamento di straordinaria attualità Vaclav Havel a Praga ai tempi del comunismo, quando proponeva di resistere attraverso la realizzazione personale di una autenticità umana.
Quando si preserva dentro di noi e nelle nostre relazioni un mondo plurale e dialogico, non solo si trova la via della non rassegnazione ma si diventa un punto di resistenza all’odio e anello di una catena di solidarietà umana più grande di noi. È la social catena della Ginestra di cui scriveva Giacomo Leopardi e il conatus collettivo di Baruch Spinoza.
Il limite alla responsabilità si supera con l'universale
Naturalmente c’è un limite alla nostra resistenza e alla nostra capacità di resistere a tutte le ingiustizie. Spesso, quando si reagisce e si prende posizione nei confronti di un male o di una tragedia, per effetto anche dell'azione dei media ci si dimentica di tutto il resto e si rischia di diventare indifferenti agli altri mali.
Quando si reagisce con empatia nei confronti di un'ingiustizia, non si rischia di mettere in secondo piano altre ingiustizie? Per esempio ora si parla dell’Ucraina, e ci si dimentica del Libano, dell’Afghanistan, dell’Iran, dello Yemen...
Non ci potrà mai essere una soluzione definitiva al problema, perché qualsiasi uomo è sempre parziale, ha sempre un rapporto con la prossimità che gli compete e non potrà mai essere un Dio che si assume su di sé la totalità delle ingiustizie.
Ma una chiave c’è che ci permette di risolvere questo cortocircuito e che ci avvicina all’insieme. È la nostra capacità di leggere sempre l’universale in ogni tragedia e di cogliere in ogni fenomeno particolare lo spirito del nostro tempo.
Il metodo Gariwo
Gariwo in questi anni ha ideato un metodo per sconfiggere l’odio e prevenire i genocidi. Sono i Giardini dei Giusti, che proponiamo come strumento culturale internazionale per l’applicazione della Convenzione delle Nazione Unite di Lemkin e come una modalità del nostro paese di presentarsi nel mondo. Diciamo, infatti, che l’Italia, come sta accadendo, può essere seminatore dei Giardini dei Giusti nel mondo attraverso le sue ambasciate e il nostro lavoro.
Si parla molto di made in Italy e di modello italiano da preservare. Vorremmo che questo messaggio attraversasse il mondo come patrimonio del nostro paese. Ecco la nostra anima italiana, direi alla presidente Meloni.
Qual è la modalità dei Giardini e il metodo Gariwo che vorremmo diventasse un patrimonio delle forze migliori del paese?
Abbiamo proposto un nuovo metodo pedagogico sull’etica e l’educazione alla responsabilità. Attraverso i Giardini, insegniamo ai cittadini a diventare consapevoli del tempo scardinato in cui ci è capitato di vivere. Se non si conoscono le dinamiche globali del mondo, non solo si è succubi delle bugie dei dittatori e degli artefici del disprezzo, ma non si comprende quello che accadde attorno a noi e la direzione che si dovrebbe prendere per rettificare il mondo. Non c’è utopia senza conoscenza. Senza uno sguardo dall’alto, spiegava Pierre Hadot, non siamo in grado di uscire dal nostro ego e andiamo a scontrarci contro forze che ci sovrastano. Per questo Gariwo si sforza di trasmettere l’informazione attraverso le storie degli uomini giusti che difendono la libertà e la dignità nelle situazioni di emergenza e che con il loro esempio ci invitano a conoscere, prima, e a scegliere poi. Un Giardino dei Giusti, come lo abbiamo concepito, può essere un microcosmo dove si racchiude l’intera umanità del nostro tempo.
Educhiamo alla conoscenza globale e alla scelta attraverso il metodo della comunicazione indiretta. Mostriamo il male che si annida e il bene possibile. Ma c’è, infine, un altro punto: non ci può essere conoscenza senza virtù, come scriveva Dante.
Il compito dei Giardini è quello, attraverso l’arte della maieutica socratica, di accendere l’umano nell’uomo.
Come insegna Vito Mancuso, a cui devo molto per i suoi ultimi libri, si tratta di educare per accendere l’umano nell’uomo.
Non si fanno prediche astratte, ma si insegna alle persone che uscendo dal proprio ego e vivendo con responsabilità si può essere più felici. È meglio subire un torto, piuttosto che commetterlo, diceva Socrate, perché si sta male altrimenti. È un percorso che richiede una costante educazione etica, come ci si allena nello sport. Assieme alla forza fisica, si allena quella morale, e si sta molto meglio.
I Giardini dei Giusti possono accendere la terza intelligenza che c’è in ogni persona e la spinge a fare del bene e a rettificare il mondo.

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo