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Nascerà uno Stato curdo?

di Dario Rivolta

Recenti dichiarazioni del Presidente della Regione Autonoma curda Massoud Barzani possono far pensare che il secolare sogno dei curdi per la loro indipendenza sia vicino al realizzarsi. D’altronde, la conquista dei pozzi petroliferi di Kirkuk sembra anche poter garantire l’autosufficienza economica per i circa sei milioni di abitanti del Kurdistan iracheno.

Purtroppo le cose non sono così ovvie, e non solo per motivi politici. Da quest’ultimo punto di vista, è risaputo come sia l’Iran sia, naturalmente, Baghdad, abbiano più volte manifestato la loro assoluta ostilità. La prima teme che la nascita di una zona curda indipendente vicino ai propri confini possa costituire un potente fattore di attrazione per i dieci milioni di curdi che vivono all’interno delle frontiere di ciò che fu la Persia. Nella capitale irachena, poi, è scontato che non si possa accettare lo smembramento di una regione che, dai tempi coloniali ad oggi, è sempre stata parte integrante dello Stato. Anche gli Stati Uniti e tutti i Paesi arabi della zona non gradirebbero la nascita di un nuovo Stato curdo perché, oltre a divenire un primo gradino per ulteriori rivendicazioni etnico-religiose foriere di altre secessioni, la sua creazione contribuirebbe a legittimare chi, già da molto tempo, pensa ad un Iraq diviso in almeno tre realtà distinte: la zona sciita, la curda e la sunnita. In questo caso, considerato il pseudo “Califfato” creato tra Siria e Iraq ci si troverebbe di fronte ad un nuovo Stato Islamico fanatico, pericoloso per la stabilità dell’area medio - orientale come fu l’Afghanistan prima della caduta dei Talebani.

Solamente Israele (soprattutto per confermare l’amicizia già in essere con i politici curdi) e la Turchia sembrano non ostili a che Erbil dichiari l’indipendenza. Tuttavia nessuno può garantire che i turchi siano sinceri quando, a fasi alterne, dichiarano il loro nulla-osta: Ankara sa bene che essere possibilisti è utile a garantirsi il supporto di Barzani ma, in particolare, che tale supporto sarà molto utile nelle elezioni presidenziali di agosto dove i curdi di Turchia potrebbero diventare indispensabili ad Erdogan per vincere la sua sfida per la carica di Presidente. Nello stesso tempo la Turchia, che ben conosce l’ostilità degli alleati USA e dei vicini, non ha alcuna intenzione di rovinare dei rapporti strategici o vedersi aumentare la conflittualità delle milizie del PKK, finanziate dagli iraniani che mal digerirebbero non solo un Kurdistan indipendente ma anche un vicino-rivale che, grazie al gas e al petrolio curdo, diventerebbe più forte e meno sensibile alle forniture in arrivo da Teheran.
Fin qui gli ostacoli politici. 

Anche dal punto di vista economico, però, la situazione non è meno complicata.
Il contenzioso con Baghdad sui diritti di sfruttamento e di vendita del petrolio estratto dai nuovi pozzi nella regione curdo irachena ha creato la condizione che, oramai da parecchi mesi, Erbil non riceva più quella quota (il 17 percento) che gli spetterebbe sui ricavi dell’intero stato iracheno e anche l’estrazione in proprio, dal proprio territorio, ha dovuto essere arrestata. Infatti, dopo la costruzione realizzata con i turchi di un oleodotto che dai pozzi curdi arriva fino a Ceyhan e la spedizione ai serbatoi del porto di un certo quantitativo di barili, non c’è più spazio ove stoccare il petrolio in arrivo e si è dovuto fermare (o quasi) la produzione.
Dopo un lungo braccio di ferro a tre, Baghdad, Ankara ed Erbil, con la prima che minacciava azioni legali e politiche internazionali se Ankara ne avesse consentito la vendita, ben tre navi petroliere con quel greggio hanno lasciato il porto per tentarne comunque la commercializzazione. Una sembra essere andata a buon fine grazie ad un intermediario israeliano, ma le altre due sono ancora vaganti per il Mediterraneo a causa della diffida lanciata da Baghdad a chiunque avesse accettato di comprarlo.

La conseguenza è che nella capitale curda la mancanza di liquidità e la difficoltà a trovare banche disposte a finanziare una Regione, sì autonoma ma dallo status piuttosto incerto, stanno causando gravi problemi finanziari tanto da far dilazionare perfino i pagamenti degli stipendi ai numerosi funzionari pubblici.

Questa crisi aumenta notevolmente le conflittualità interne tra le varie fazioni curde e riduce di molto la passata compattezza di cui godeva la politica locale. Naturalmente queste frizioni sono pure alimentate da forze e Paesi che hanno tutto l’interesse ad indebolire la forza di un Governo che potrebbe veramente incamminare il suo popolo verso l’indipendenza.

I due Barzani, Presidente e Primo Ministro, sono però politici di grande intelligenza e affatto degli avventurieri. Sono perfettamente consci dei problemi e delle difficoltà sopra esposte e, in realtà, sanno che una possibile indipendenza potrebbe avverarsi solamente se conseguenza di fattori esterni, quasi indipendenti dalla loro volontà.
Perché allora quelle dichiarazioni?

La vera partita, almeno per ora, è ancora centrata su Baghdad. Nella scorsa legislatura il Presidente Barzani, seppur controvoglia ma su pressioni americane e iraniane, fu determinante per consentire la nomina di Al Maliki a Primo ministro, e ciò fu fatto in cambio di accordi che garantivano un impegno del ministro sciita verso l’implementazione, come da Costituzione, di una vera autonomia. Al Maliki non solo non ha rispettato i patti, ma si è addirittura lanciato in una politica settaria sia contro i sunniti sia contro i curdi. A questo punto e dopo le recenti elezioni del 30 aprile, Barzani non è più disposto ad accettare ancora quella situazione e pretende, assieme ai sunniti ancora disponibili a uno Stato unitario, che il Primo ministro sia un’altra persona. Magari ancora sciita, ma solo se gli impegni sottoscritti allora fossero riconfermati e con le dovute garanzie. Finalmente, sembra oggi che anche americani e iraniani la pensino alla stessa maniera e lo stesso Al Maliki ha capito che il suo tempo è finito.

Se così sarà e se i poteri della (o delle future) Regione Autonoma saranno ben precisati, è possibile che, per un po’, di indipendenza non se ne parlerà ulteriormente. Fatto salvo che la zona di Kirkuk, da lungo tempo rivendicata dai curdi e occupata ora dai peshmerga a loro resterà definitivamente.

Dario Rivolta, politico, saggista, esperto di politica internazionale

Analisi di

24 luglio 2014

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