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Noi siriani, morti di serie C

di Shady Hamadi

Anche oggi l’aviazione siriana sta bombardando le città del Paese. Aleppo soccombe lentamente, schiacciata dalla forza distruttrice dei barili bomba – riempiti anche di pezzi di metallo, così da colpire ancora più persone - sganciati dagli elicotteri dell’esercito. Come al solito, a far accendere i riflettori mediatici sulla più grande tragedia degli ultimi tre decenni, sono sempre e solo le notizie di jihadisti con passaporto occidentale andati in Siria a combattere, le lamentele di una giornalista per la paga troppo bassa o il turista di guerra giapponese che va a fotografare i corpi straziati dei siriani. Degli oltre cento morti giornalieri, da quattro anni a questa parte, a nessuno importa perché ci si è abituati.

Ben altra cosa è il conflitto israelo-palestinese, caricato all’inverosimile di simbolismo e ideologia e per questo capace di annientare qualsiasi dissenso interno in entrambe le parti. Da giorni Israele conduce raid aerei su Gaza e, in cambio, Hamas continua a lanciare una pioggia di missili sulle città israeliane vicine. Il dibattito si è acceso: si tifa uno o l’altro schieramento, si manifesta nelle piazze, anche italiane, scandendo i nomi delle vittime, si dà dei terroristi agli israeliani o ai palestinesi. Per la Siria nulla di tutto questo accade. Qualcuno vede Assad come un “dittatore buono”, antimperialista e estremo difensore dei palestinesi contro Israele. Pochi sanno, o non vogliono sapere, che centinaia di palestinesi sono morti di fame nel campo profughi di Yarmuk, a Damasco, assediato ancora oggi dalle forze fedeli ad Assad. Troppo pochi sanno, o non vogliono sapere, che migliaia di palestinesi si sono andati ad aggiungere all’esercito di profughi (6 milioni) che hanno lasciato la Siria. Suleyman, palestinese di Yarmuk, da me incontrato alla stazione centrale di Milano, è uno di loro. Rifugiato in Siria dal 48, Suleyman è sordomuto, ma nonostante questo mi ha mimato, mugugnando e gesticolando, la tragedia che si è lasciato alle spalle: una tragedia di serie C. Sì, di serie C. Se c’è qualcuno che ha ritenuto le vittime israeliane di serie A e quelle palestinesi di B, lasciatemi dire che quelle siriane sono di C!

La voce del mondo si alza indignata contro i raid aerei israeliani e i missili di Hamas ma lascia Assad libero di continuare il suo genocidio (non trovo espressione più appropriata) e si preoccupa solo dei terroristi dell’Isis che, guarda caso, combattono le forze dell’opposizione siriana e non il regime, quasi ci fosse una convergenza di interessi. Nel frattempo, il Papa piange solo i cristiani crocifissi (si è scoperto poi che erano musulmani) ma non Wissam Sara, figlio di uno scrittore rinchiuso per anni nelle carceri siriane, morto sotto torture indicibili. Ma, d’altra parte, la guerra in Siria è “difficile da comprendere, senza parti da poter sostenere: in un buio di tutti contro tutti” - come commentava Roberto Saviano qualche giorno fa. Se questo assunto fosse vero, allora i siriani meriterebbero di morire perché non sono stati capaci di indicare chi sostenere a Saviano e agli altri che la pensano come lui. Eppure Primo Levi, osannato dallo stesso Saviano, ci insegna che nel buio c’è sempre una luce di giustizia. Questa giustizia è ancora viva, ed è rappresenta dalla parte da sostenere. Questo gruppo è composto dagli ultimi superstiti di quel movimento che ha dato vita nel 2011 alla rivoluzione siriana. Sono scrittori, giovani, pacifisti, cristiani e musulmani che gridano solidarietà dall’angolo dove sono stati relegati. Purtroppo, forse ne sono consapevoli, non la otterranno perché l’Occidente non crede in loro. Forse ci crederebbe se Hamas o Israele fossero il responsabile di quello che avviene in Siria ma, poiché è un dittatore arabo a macellare il suo stesso popolo, va bene così. Siamo ipocriti, questa è la verità. Scegliamo di stare in silenzio, credendo di essere neutrali, ma è proprio questa scelta che aiuta il proseguimento del massacro.

Forse, quando tutto sarà finito, bisognerà portare chi ha scelto di non fare nulla, giustificandosi dicendo che è una guerra di tutti contro tutti o che Assad è un buono perché protegge le minoranze, a vedere le fosse comuni ad Aleppo. L’unica certezza che oggi abbiamo noi siriani è che non siamo né palestinesi, né israeliani, per questo i nostri morti possono essere dimenticati.

Shady Hamadi, scrittore e attivista siriano

Analisi di

14 luglio 2014

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