Comunità di Memoria è un progetto nato per dotare, studenti e studentesse e i loro insegnanti, di strumenti per orientarsi nella storia e per comprendere la contemporaneità anche attraverso l’esperienza diretta dei luoghi che sono stati teatro degli eventi drammatici del Novecento e delle storie di chi li ha vissuti. Al rientro dal seminario di formazione dedicato ai docenti del ciclo secondario, abbiamo raccolto alcune voci dei partecipanti.
Splende Cracovia nel sole di questo tiepido ottobre, appare meno austera senza la morsa della neve e del ghiaccio, delle giornate brevi che, solitamente, accompagnano i nostri viaggi nel mezzo dell’inverno.
Nel nostro cammino continuiamo ad interrogarci su quale tipo di memoria conservare, come farlo, in nome di chi e a quale scopo, chiamando in causa direttamente il luogo divenuto simbolo dell’orrore, del punto più basso dove, troppo facilmente, cadde l’umanità, la vicina cittadina di Oświęcim, in tedesco, Auschwitz.
L’intento di questo viaggio tende ad individuare strategie efficaci per permettere il passaggio dalla memoria dei testimoni alla “memoria culturale” che dovrà continuare a essere conservata e trasmessa. Questo riguarda sopratutto l’immaginario dei più giovani che non hanno vissuto l’evento in prima persona e che, pertanto, ne possiedono un ricordo interamente mediato e dei docenti, chiamati ad accompagnarli in tale percorso.
Per questo abbiamo pensato di arricchire il progetto Comunità di Memoria - che anche quest’anno accompagnerà in viaggio tantissimi ragazzi e ragazze - con un seminario e viaggio di formazione sui luoghi della memoria, che dia strumenti all’insegnamento della Shoah e alla diffusione della memoria del bene, dedicato agli insegnanti.
Continuiamo a fare memoria senza cadere nella trappola del male irripetibile e incomparabile, che rischia di non farci comprendere che il male si può ripetere, sia pure in modo diverso, in ogni epoca, compresa la nostra. Il presidente Gabriele Nissim, che ha aperto il seminario con una lezione intitolata “Come e perché fare memoria nella scuola” ci ricorda, ancora una volta, che lo studio e la memoria della Shoah dovrebbero essere una lente di ingrandimento che ci permette di cogliere la genesi del male in ogni situazione e può quindi essere strumento attuale di prevenzione dell’odio e dei nuovi genocidi: “La memoria della Shoah è spesso diventata una memoria degli eventi e non è stata letta come una memoria legata alle scelte degli uomini (…) una memoria che dia poi strumenti per capire il mondo e la condizione umana, senza chiudersi in se stessa”.
Comunità di Memoria non è un nome casuale, contiene due parole che guidano il nostro cammino. Un gruppo di persone che, condividendo un’esperienza intensa come questo viaggio, si riconosce in valori ed intenti e muove verso una communitas, derivato di communis "che compie il suo incarico (munus) insieme con (cum) altri”.
Come recita il nostro progetto: “Il senso di appartenenza a una comunità si costruisce a partire dall’infanzia, nella famiglia e nella scuola. Per questo, oggi più che mai, in una realtà sempre più articolata e complessa, c’è bisogno di creare fondamenta comuni che costituiscano la base per una nuova società in cui la conoscenza sia lo strumento per raggiungere una convivenza civile che non sia solo una coesistenza. Il terreno migliore su cui realizzarla è senza dubbio la scuola, che ha il compito fondamentale di formare individui capaci, responsabili, cittadini”.
Quindi questa volta siamo partiti con un gruppo di insegnanti, persone motivate ed entusiaste con cui abbiamo condiviso il cammino per qualche giorno e, se avremo ben seminato, anche in futuro: “La mattina dell’11 ottobre eravamo un gruppo di docenti messi insieme sicuramente dall’interesse, ma anche dal caso, l’11 pomeriggio turisti con il naso all’insù, il 12 mattina eravamo già un gruppo di cercatori di senso” ci scrive una delle partecipanti, Giovanna, al ritorno dall’esperienza e prosegue con “la visita al Museo Fabbrica di Schindler, splendidamente accompagnati da Diego, la nostra guida: leggere la storia dal punto di vista di un Giusto ti dà l’impressione che l’umanità tenga in qualche modo ancora saldamente in mano il bandolo del senso, seppure sempre più spesso sembri averlo perso definitivamente. È un tuffo rigenerante nella speranza”. Speranza che va tenuta ben stretta il giorno successivo, in cui la nostra meta è il Museo Statale di Auschwitz-Birkenau quando, cito ancora Giovanna, “il gruppo, che dal primo giorno si è scambiato pensieri, progetti e racconti è una zattera collettiva. Eravamo dunque pronti il 13, se mai si possa essere pronti ad attraversare l’inferno, accompagnati dal nostro Virgilio, la nostra guida, Michele, che ci ha tenuto a sottolineare che Auschwitz si attraversa, non si visita”.
Le dinamiche che si innescano in un gruppo che condivide questo tipo di esperienza le osserviamo da anni in studenti e studentesse che intraprendono questo viaggio: la fatica ridimensiona la percezione dei nostri guai, la rabbia può trasformarsi in intenzione e impegno se accolta e gestita, la comunità ci fa riconoscere noi stessi nell’altro, ci fa piangere e sorridere insieme. La stessa attivazione, diversa ma uguale, accade anche questa volta e anche in un gruppo di persone adulte e prima estranee tra loro. Paola e Paolo, docenti e anche coppia nella vita - che nei momenti più dolorosi si sfiorano appena le mani - ci scrivono che “è stato un viaggio emotivamente e intellettualmente coinvolgente, un'immersione profonda nella storia che ha lasciato un'impronta indelebile nei cuori e nelle menti. (…) La sfida che ci portiamo a casa è quella di trasformare l'orrore in insegnamento, affinché le nuove generazioni possano comprendere appieno le conseguenze dell'indifferenza e dell'odio. La storia di Auschwitz è diventata un richiamo per la necessità di un'educazione che vada oltre i confini dei libri di testo, che attinga all'empatia e incoraggi il pensiero critico che sprona noi insegnanti a diventare custodi attivi della memoria”.
La comunità si articola anche nella rete di soggetti che permettono la realizzazione di questo percorso: Gariwo e Spostiamo mari e monti come ideatori e organizzatori, ma anche le guide storiche che ci accompagnano, su tutti Diego e Michele che da anni, con pazienza, competenza e intelligenza provano a raccontare Auschwitz e la storia e la cultura del popolo ebraico; Inni, la giovane associazione di Cracovia che ci supporta dal punto di vista logistico e ci aiuta a fare rete in città, che coinvolge giovani che studiano alla facoltà di italianistica, preziosi per l’accompagnamento dei nostri gruppi.
Questa rete di collaborazioni ci porta quindi all’Università di Cracovia per la lectio magistralis di Francesco M. Cataluccio “Che cos'è Auschwitz oggi. Considerazioni sui viaggi della memoria nel campo di sterminio” che parte dal processo di Norimberga, che con i suoi principi fondamentali introduce proprio il concetto di responsabilità personale, centrale nel messaggio di Gariwo: “Il fatto che un soggetto abbia agito in esecuzione di un ordine non lo esime dalla propria personale responsabilità penale internazionale. Parallelamente il subordinato ha il dovere di sottrarsi dall'eseguire ordini riguardanti atti criminali”. Prosegue citando l’atto di riflessione collettiva che sarà il processo ad Eichmann, SS-Obersturmbannführer tedesco, uno dei maggiori responsabili dell'orrore del Terzo Reich, l'uomo che aveva fatto funzionare l'imponente macchina di morte dello sterminio - fuggito in Argentina dal giudizio della storia e degli uomini - che mai si sentirà colpevole dei suoi crimini, perché aveva “solo obbedito agli ordini”, incarnando appieno la "banalità del Male" - definizione che Hannah Arendt, all’epoca inviata speciale del “New Yorker”, utilizzò per sintetizzare i tratti del gerarca e del corso del processo. Racconta le storie di Giusti e Giuste, quella paradigmatica di Schindler e quella meno nota di Julia Ilisinska che, insieme al marito, scelse di non restare indifferente e salvò, a rischio della propria vita, moltissime persone vittime dell’inferno di Auschwitz, offrendo cibo e medicine a chi lavorava fuori dal campo e supporto nell’organizzazione dei tentativi di fuga. Infine, in dialogo con la guida storica Diego Audero, che nella sua esperienza ha accompagnato migliaia di giovani studenti ad Auschwitz, seguono alcune considerazioni sull'uso che viene fatto di un luogo simbolo come Auschwitz-Birkenau e il museo ad esso legato, da parte dei visitatori e soprattutto dei giovani studenti, che fanno un’esperienza senza dubbio intensa, spiazzante e dolorosa, ma che va necessariamente contestualizzata in un percorso di formazione e restituzione strutturato e continuo o non serve a nulla: non diventiamo persone migliori solo perché abbiamo visto Auschwitz e attraversato i luoghi testimoni della barbarie nazista. Ancora Giovanna definisce questo intervento di Francesco Cataluccio fondamentale nel nostro percorso: “i suoi riferimenti teorici sono stati in grado di mettere un po’ di ordine a pensieri e emozioni e il dibattito finale ha catalizzato il tutto. Avremmo potuto continuare tutto il giorno”.
E invece è tempo di tornare a casa, con la consapevolezza che anche questo percorso dedicato ai docenti è stato importante e arricchente e che altri ne seguiranno. Mi resta negli occhi il cielo alto e blu che ha accompagnato queste giornate, a cui non sono abituata a queste latitudini; il vento che passa tra le betulle che osservano la vastità di Birkenau - di cui non si vede la fine nemmeno salendo sulla torretta all’ingresso.
Sostiene lo storico dell’arte francese Georges Didi – Huberman - il cui lavoro, “Scorze”, è stato anch’esso citato da Cataluccio - che il terribile peso dell’assenza di tutti gli esseri umani che hanno trovato la morte ad Auschwitz-Birkenau non è rintracciabile tanto nelle baracche, negli edifici, negli oggetti conservati nel museo, quanto piuttosto nel luogo in sé: “nei fiori di campo, nella linfa delle betulle, in questo piccolo lago dove riposano le ceneri di migliaia di morti”.

Analisi di Sabrina Di Carlo