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Palatucci e la normalità del bene

di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo

A seguito di una ricerca storica condotta negli Stati Uniti la giornalista Alessandra Farkas sul Corriere della Sera del 23 maggio mette in discussione la mitologia creata attorno alla figura di Giovanni Palatucci. Non sarebbe credibile il salvataggio di cinque mila ebrei a Fiume, in una regione che ne ospitava meno della metà; il trasferimento di 800 ebrei sul battello che salpò nel 1939 diretto in Palestina non sarebbe opera sua, ma dell’Agenzia ebraica che dovette pagare fior di denari ai superiori di Palatucci per ottenere l’autorizzazione alla partenza; la percentuale degli ebrei deportati da Fiume, quando Palatucci operava come vicecommissario fu una delle più alte d’Italia; l’arresto che gli costò la vita non fu dovuto al salvataggio degli ebrei fiumani, ma al suo tentativo di trattare con gli inglesi l’indipendenza di Fiume.

Attorno a questo caso la discussione è aperta e aspettiamo la replica di alcuni studiosi, come Antonio De Simone e Michele Bianco, che hanno scritto una biografia, pubblicata di recente con la prefazione del Cardinale Camillo Ruini, in cui sostengono che migliaia di ebrei furono protetti da Giovanni e dallo zio, il Vescovo Giuseppe Maria Palatucci, nel campo di internamento di Campagna - cosa che invece gli storici americani contestano, poiché gli ebrei lì internati non erano più di quaranta.

Se guardiamo invece alle motivazioni che hanno portato Yad Vashem a onorare Palatucci con il titolo di Giusto tra le Nazioni, è assolutamente dimostrato che il vicecommissario aiutò numerose famiglie ebree, tra cui quella di Elena Aschenasy Dafner e di Salvatore e Olga Hamburger.

Non si tratta di migliaia di salvati, ma di una decina di persone.

È proprio questo il punto.

Moshe Bejski responsabile per più di trent’anni della Commissione dei Giusti di Gerusalemme si è battuto per un principio sacrosanto. Ricordare qualsiasi atto di soccorso, senza mai cercare degli eroi esagerati. Non esisteva per lui una bontà assoluta, ma era importante documentare l’ambiguità del bene nelle persone che avevano compiuto anche piccole, ma significative azioni. Era importante rendere noto anche il salvataggio di una sola vita, perché proprio questo faceva la differenza.

Spesso invece accade che attorno a certe figure di salvatori e di soccorritori si vogliano creare dei miti al di fuori della realtà, quasi che la società per celebrare il bene abbia bisogno di supereroi.

Un giusto diventa così degno di nota soltanto quando il numero dei salvati viene moltiplicato o quando si mettono in sordina tutte le sue contraddizioni. Forse questo è accaduto anche nel caso di Palatucci, ma il valore della sua azione non viene meno, anche se avesse salvato una sola famiglia. Anzi, è proprio il riconoscimento di una normalità senza retorica che offre ai contemporanei maggiore speranza. Vuol dire che ognuno può comunque fare una piccola cosa nei confronti del male. E non è poco.


Leggi anche Giovanni Palatucci: costruzione di un mito? conversazione con Liliana PIcciotto, storica e ricercatrice del CDEC

Il dibattito sulla vicenda è ancora aperto. Dopo l'articolo di Alessandra Farkas sul Corriere della Sera, Gabriele Nissim, Presidente di Gariwo, Matteo Luigi Napolitano, docente dell'Università Marconi di Roma, Natalia Indrimi del Centro Primo Levi di New York e altre voci autorevoli sono intervenuti nella discussione.

Nel box approfondimenti gli articoli relativi alla vicenda Palatucci

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

28 maggio 2013

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