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Passato e presente

di Pietro Kuciukian

Un velivolo Ilyushin 76 viene caricato con gli aiuti per l'Italia

Un velivolo Ilyushin 76 viene caricato con gli aiuti per l'Italia

Qualche giorno fa ho sentito per puro caso una frase del ministro Italiano delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli che a proposito dei trasporti di generi di prima necessità, più precisamente gli alimentari, si è lasciata sfuggire un’osservazione che forse pochi hanno recepito: “…e degli imballaggi di plastica?” È bastata quella frase per ributtarmi indietro di circa trent’anni.

Il 21 settembre del 1991 mi trovavo in Armenia, il giorno che il presidente Levon Ter Petrossian ne ha decretato l’indipendenza, tre mesi prima della completa dissoluzione dell’URSS[1]. Ero in visita ad una fabbrica di alta tecnologia che produceva plasma cutter, un sofisticato sistema per tagliare grandi spessori di acciai speciali. Un magazzino enorme conteneva centinaia di apparecchi nuovi, lucidi, pronti per essere venduti a 10.000 dollari l’uno. Il prezzo in occidente era di 100.000 dollari. Volevo aiutare i miei compatrioti a portare a termine la vendita, ma è sorto un problema: mancavano gli imballaggi di legno. Il direttore mi ha dichiarato che voleva acquistarli da una segheria in Siberia, ma loro non accettavano rubli, l’Impero stava per implodere. Poteva fornire legname in cambio di camion, ma in Armenia non c’erano automezzi. Così nulla si è concluso e i plasma cutter non so quale fine abbiano fatto. Gli operai sono stati tutti licenziati. Subentrò l’epoca del baratto, dei Kommissionye[2], e delle bancarelle fuori dalla porta di casa con in vendita i “tesori” di famiglia, medaglie militari comprese.

Era il periodo più oscuro dell’Armenia, il suo coronavirus. Niente gas che proveniva dall’Azerbaigian in guerra per il contenzioso del Karabagh, niente petrolio che passava da Grozny in Cecenia dove le tubature erano state forate per vendere il liquido al mercato nero, niente elettricità, perché era stata chiusa la centrale nucleare dopo il devastante terremoto del 7 dicembre del 1988. Quasi cinquecentomila profughi armeni fuggiti dall’Azerbaigian in seguito ai pogrom di Sumgait, Baku, Kirovabad. Il freddo glaciale, la fame, la sete mietevano vittime su vittime. Circa cinquantamila anziani, sempre la fascia più debole della società, morivano ogni anno. Le foreste desertificate per procurarsi legname per il riscaldamento. Infissi e parquet divelti e bruciati nei camini. Il fuoco causava spesso altre vittime per asfissia. Una città, Yerevan, grande come Milano al buio più totale. La gente di notte camminava rasente ai muri. L’oscurità iniziava alle cinque di pomeriggio, quando tutta la famiglia si riuniva stretta sui letti ravvicinati coperta da tutto ciò che si poteva reperire; si attendeva l’alba raggomitolati. Si lasciavano i rubinetti delle vasche aperti nella speranza che nella notte arrivasse un po’ di acqua dagli acquedotti devastati dal terremoto.

Una notte una sparatoria improvvisa mi ha svegliato, sono andato sul balcone dell’ultimo piano dell’albergo Ani dove mi avevano confinato per prudenza e ho assistito alla “mattanza” dei cani che, non più nutriti, attaccavano qualsiasi cosa si muovesse, anche uomini e donne.

Ma l’Armenia, dopo pochi anni, si è ripresa dal suo devastante coronavirus grazie all’aiuto di “uomini giusti” che da tutto il mondo occidentale hanno riversato persone e mezzi sul suo territorio: dall’Italia che ha costruito il villaggio Italia a Spitak, dalla Francia, dagli Usa, perfino dall’Iran, dal mondo “libero” intero. E sono tante le persone che all’epoca hanno superato i confini del proprio ruolo, con comportamenti che rientrano nel novero delle “azioni dei giusti”.

Oggi in Italia, Paese che appartiene alla sfera del “capitalismo” occidentale, assistiamo all’arrivo di aiuti dai  Paesi dell’est, ex socialisti, comunisti e cripto comunisti che, forse memori del passato, ricambiano: Russia, Cina, Cuba. Sta forse emergendo da questi tempi oscuri la crisi della globalizzazione economico-finanziaria e l’inizio di una globalizzazione del “bene”, capace di considerare il valore primario della comune umanità?

[1] Il 25 dicembre 1991 Mikhail Gorbačëv si dimise da presidente dell'Unione Sovietica e conferì tutti i poteri e l'archivio presidenziale sovietico al presidente della Russia Boris El'cin.

[2] Negozi particolari dove le persone portavano le loro cose da vendere.

Pietro Kuciukian

Analisi di Pietro Kuciukian, Console onorario d'Armenia in Italia e cofondatore di Gariwo

24 marzo 2020

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