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​Paura, panico, comunicazioni affettive

di Nadia Neri

Desidero scrivere delle note emotive senza la presunzione di voler dare lezioni di saggezza, spiegazioni colte e così via.
Questo virus ha sconvolto la vita di tutti senza eccezioni. Ogni individuo si misura con le proprie condizioni di vita, ma l’isolamento è generale.

Io ho vissuto già due eventi “straordinari” nella mia vita. Sono napoletana, emigrata a Roma nel 1985, quindi ho vissuto la tragedia del colera nei primi anni Settanta e nel 1980 il terribile terremoto dell’Irpinia. Ho già vissuto il senso di precarietà, l’angoscia continua per il susseguirsi delle scosse e ricordo bene la notte della domenica passata in auto in un grande piazzale: la scossa era avvenuta alle 19,30, in un silenzio surreale per una città chiassosa come Napoli. Anche in quella circostanza si sviluppò una grande solidarietà, il bisogno reciproco di cercarsi, chiedere notizie, come sta avvenendo in questi giorni con miei ex pazienti di tanti anni fa o amici che non vedi da tempo. 
Conosco bene questo bisogno di solidarietà, quindi, ma nella situazione attuale vi è una differenza enorme. Tutto il Paese è fermo, tutti siamo chiusi in casa, tranne che nelle circostanze consentite, il nemico è invisibile, non si vede, si annida in qualcuno, ma non sappiamo chi, ci sono famiglie divise che non possono ricongiungersi... Io vivo sola e sono anziana, anche se lavoro ancora, ma sono colpita dal martellante tam tam quotidiano del "solo gli anziani muoiono, statisticamente dagli ottanta in su e con altre patologie"...

Secondo me questo modo di comunicare secco e solo con numeri e bollettini medici non aiuta. Basterebbe poco per accompagnare queste notizie quotidiane con brevissimi interventi psicologici che potrebbero veicolare meglio e rendere meno angoscianti i contenuti. Il virus ci costringe a comportamenti innaturali: non toccarsi, baciarsi, i figli per proteggere i genitori anziani non vanno a trovarli. Così il senso di isolamento peggiora. Tanti hanno scritto sulle scoperte o riscoperte di valori dimenticati, io mi soffermo perciò su altri aspetti: questo isolamento forzato e prolungato ci mette a confronto con la nostra essenza più profonda.  Molti non reggono o hanno paura di farlo, molti sono sopraffatti da un’angoscia insostenibile perché già in partenza ipocondriaci o un po’ ossessivi, molti non reggono questa atmosfera generale di pericolo, pensiamo quindi anche ai danni interni e purtroppo duraturi che il virus procurerà in tanti.

Alcuni consigli. Meglio riconoscere la paura e non negarla né vergognarsi di provarla: la paura aiuta se riconosciuta e ci preserva dal cadere nel panico, che è invece una paura senza controllo e quindi molto pericoloso. Un altro accorgimento è non vedere alla televisione troppi notiziari perché sentire tante volte le stesse notizie moltiplica l’angoscia e ci fa rivivere in modo inconscio più volte lo stesso trauma - così anche i social, che bombardano anche di fake news. La preghiera è una risorsa per molti, ma bisogna essere pronti ad aiutare anche i non credenti. La speranza non è automatica, va coltivata quotidianamente per diventare forte come un albero con radici profonde al quale appoggiarsi.
Un’ultima, ma fondamentale, osservazione: l’assenza in alcuni, non pochi, di un elementare senso di responsabilità individuale - non seguire le regole imposte a tutti, non riuscire a far capire ai propri figli che la movida è vietata... Sento genitori impotenti, incapaci di mettere dei limiti sia a se stessi che ai propri figli.

Sarebbero necessari interventi psicologici per aiutare i bambini ad esprimere domande, emozioni che provano su questa situazione così particolare e di emergenza, in modo da ricevere un sostegno emotivo di contenimento di eventuali angosce.

Sono state attivate tante attività di sostegno, musica, film, ma sarebbero fondamentali anche interventi psicologici mirati per fasce d’età. 
Ne gioverebbero in molti, anche se ora questi interventi non sembrano urgenti.

Nadia Neri, psicologa analista

Analisi di

16 marzo 2020

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