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Piero Martinetti (1872-1943): un "Giusto" dimenticato?

di Amedeo Vigorelli

Piero Marinetti

Piero Marinetti

Più di un decennio orsono, in occasione delle celebrazioni per il XXX anniversario del Centro Studi Dolciniani di Cossato (Bi), il filosofo milanese Piero Martinetti venne annoverato tra gli “eretici” della nostra tradizione religiosa cristiana laica e a-cattolica (Eretici dimenticati. Dal medioevo alla modernità, a cura di C. Mornese e G. Buratti, DeriveApprodi, Roma 2004), non senza qualche sorpresa, nel vedere accostato il suo nome di filosofo razionalista e idealista kantiano a quello di “fraticelli” spirituali come Dolcino o di “femmine ribelli” delle nostre valli alpine, perseguitate come eretiche.

La recente pubblicazione dell’edizione critica del suo Gesù Cristo e il cristianesimo (a cura di L. Natali, Morcelliana, Brescia 2014) mostra quanta strada si sia fatta nella consapevolezza del rilievo storico della personalità intellettuale e morale di Piero Martinetti, che oggi collocheremmo piuttosto nel novero dei Giusti. La sua vita non è fatta di gesti eclatanti, ma è totalmente consacrata agli studi e all’insegnamento. Egli è ritenuto il fondatore della Scuola di Milano, avendo insegnato Filosofia (teoretica e morale) dal 1907 al 1930, dapprima nella Accademia scientifico-letteraria e (dopo la trasformazione della Accademia in R. Università degli studi, nel 1924) nell’ateneo statale della nostra città. Una recente mostra documentaria e un convegno, che si sono tenuti presso questa Università degli studi nella prima settimana di maggio 2015, hanno fornito l’occasione per un confronto tra gli studiosi e per un ripensamento dell’eredità culturale da lui lasciata.

La vicenda più nota, nella scarna biografia martinettiana, è legata al rifiuto di prestare il giuramento al Regime fascista nel 1931. Tra oltre 1200 professori, soltanto una dozzina scelse di lasciare la cattedra universitaria, per protestare contro l’imposizione di una ideologia politica al libero esercizio della ricerca scientifica e della cultura. Tra essi spicca il nome di Martinetti, perché fu l’unico tra i filosofi a compiere questo passo gravoso. Nella lettera che scrisse all’allora Ministro dell’Istruzione Balbino Giuliano, egli motiva la sua scelta come un imperativo categorico della coscienza, che gli impone (socraticamente) il sacrificio dell’interesse personale, per testimoniare la verità e la dignità della persona e (dunque) il significato profondamente umano della cultura e in particolare della filosofia.

Questo non fu un atto isolato, ma il suggello di una condotta morale ispirata alla intransigenza civile. Ne aveva già dato testimonianza nel 1926, in occasione del Congresso di filosofia tenutosi a Milano e sciolto per ordine del Governo in quanto ritenuto manifestazione di antifascismo. In realtà Martinetti, che lo aveva organizzato e presieduto, si era limitato a difendere la partecipazione al Congresso di Ernesto Buonaiuti, Modernista e docente di Storia del cristianesimo a Roma, che proprio quell’anno era stato dichiarato dal Santo Uffizio “eretico vitando”. Padre Gemelli, in polemica con la scelta liberale di Martinetti, aveva ritirato dalla partecipazione al Congresso l’intera delegazione di professori dell’Università Cattolica, da lui fondata e diretta. Lo stesso Gemelli, stavolta appoggiato dall’Arcivescovo di Milano Alfredo Ildefonso Schuster, si adopererà nel 1934 affinché l’autorità politica (concepita evidentemente come “braccio secolare” della chiesa cattolica post-concordataria) facesse sequestrare l’opera pubblicata da Martinetti (ormai ritiratosi nel suo “eremo” domestico canavesano), Gesù Cristo e il cristianesimo. Il che avvenne puntualmente, anche se Martinetti riuscì a salvare gran parte della tiratura del volume, e a diffonderlo segretamente. Ma il furore inquisitoriale di Gemelli non si arrestò e Martinetti dovette subire nel 1937 l’umiliazione della inserzione nell’Index librorum prohibitorum di santa romana chiesa del suo Gesù Cristo e del successivo Vangelo (pubblicato da Guanda nel 1936). Non si tollerava evidentemente che un laico, e per di più un filosofo, scrivesse di materie che erano ritenute monopolio della teologia cattolica. Anche in questa circostanza, Martinetti protestò vivacemente contro quella che riteneva una ingiusta inquisizione, in una lettera indirizzata al Santo Uffizio romano. In quegli anni subì anche un arresto e un breve soggiorno nelle patrie galere, per sospetto antifascismo, a motivo di una lettera indirizzata a Norberto Bobbio e di una sospetta relazione con gli eredi del martire antifascista Piero Gobetti. Il coraggio morale mostrato in tutte queste circostanze, unito alla serenità di una intransigente fede laica nella sacralità dei valori di Giustizia e Libertà, fanno di lui un maestro di morale e un uomo giusto, che meriterebbe di essere maggiormente conosciuto e più degnamente ricordato.

Amedeo Vigorelli

Analisi di Amedeo Vigorelli, docente di Filosofia morale Unimi

11 maggio 2015

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