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Prospettive ebraiche e israeliane per la prevenzione genocidi

di Yair Auron

Yair Auron durante la conferenza

Yair Auron durante la conferenza (Foto di Francesca Cassaro)

Pubblichiamo di seguito l'intervento di Yair Auron alla conferenza "La prevenzione dei genocidi", primo dei quattro incontri dedicati alla crisi dell'Europa e i Giusti del nostro tempo organizzati da Gariwo in collaborazione con il Teatro Franco Parenti, con il patrocinio dell'Università degli Studi di Milano e della Fondazione Corriere della Sera.

Prima di tutto, desidero ringraziare Gabriele Nissim e Gariwo per l’invito a questa importante conferenza.

A Neve Shalom - Wahat el Salam, l'unico villaggio ebraico-arabo esistente in Israele, stiamo collaborando con Gabriele e Gariwo per sviluppare il nostro Giardino dei Giusti del Mondo.

Dopo la Prima guerra mondiale, molti pensavano che non ci sarebbero più stati conflitti armati. Il genocidio armeno era avvenuto sotto forma di guerra, nella quale le battaglie venivano usate per nascondere le atrocità. In tempo di guerra molti non sapevano che cosa stava accadendo e c’erano altri avvenimenti che coprivano le uccisioni.

Dal punto di vista degli aguzzini, possiamo chiamare il genocidio contro gli armeni un “genocidio riuscito”. È “riuscito”, in quanto circa un milione e mezzo di armeni furono uccisi e molti, moltissimi finirono a ingrossare le schiere dei profughi. Poi in Turchia riuscirono a coprire la vicenda. Semplicemente non si parlò del genocidio armeno. Tuttavia, tra il 1918 e il 1920 la questione fu sollevata e alcuni leader turchi furono riconosciuti colpevoli di massacri (il “termine genocidio” a quei tempi non esisteva). Di conseguenza, i turchi fecero ricorso a una politica negazionista e quella politica ebbe “successo”.

Nel campo degli studi sui genocidi, diciamo che l’ultima fase del genocidio è la negazione. Se il negazionismo rispetto a un genocidio ha successo, e nel caso del genocidio armeno il più palese atto di genocidio è la sua negazione, allora il genocidio “ha successo”. Questo genocidio non è nemmeno riconosciuto dalla maggior parte degli Stati del mondo...

Durante un discorso pronunciato da Hitler nell’agosto 1939, prima dell’invasione della Polonia, egli non parlò dello sterminio degli ebrei, ma piuttosto di quello della leadership polacca. Il tema di quel discorso era che la Germania non avrebbe dovuto temere il giudizio dell'Occidente. Nel suo discorso Hitler chiedeva provocatoriamente: “Chi parla più dell’annientamento degli armeni?". Questa è una frase autentica. Abbiamo tutte le prove che sia stata pronunciata, anche se i turchi lo negano. 

La Seconda guerra mondiale fu un’utile occasione per uccidere gli ebrei, sterminarli insieme ad altre vittime. Come affermato prima, la confusione della guerra fornisce una copertura vantaggiosa per gli atti di genocidio. Questa è un'evidente somiglianza tra i genocidi ebraico e armeno.

La questione se lo sterminio degli ebrei fosse intenzionale, decisa a tavolino, è dibattuta, ma comunque la guerra costituiva un’opportunità per commettere questo atto. Nella discussione tra gli “internazionalisti” e i “funzionalisti”, questi ultimi affermano che all’inizio i nazisti volessero solamente liberarsi degli ebrei, quindi ci fu un piano, poi un altro. Ma funzionalmente parlando, i nazisti dovevano liberarsi degli ebrei, e quindi dovevano ucciderli.

C’erano anche differenze tra i due casi in questione. Il genocidio armeno fu perpetrato con mezzi “primitivi”: pistole e oggetti dello stesso genere. Il genocidio ebraico fu più “efficace” con l’uso - per la prima volta, e si spera anche per l’ultima - delle camere a gas. Si tratta di una questione molto significativa e importante, perché quelle erano “fabbriche della morte”. I nazisti svilupparono tale progetto perché era “così difficile” uccidere così tanta gente solo con le pistole. Era terribile anche per gli aguzzini. In un discorso molto importante, Himmler disse che assistere alle fucilazioni degli ebrei gli provocava uno shock. Egli parlava a ufficiali di rango e osservava che qualche volta, mentre si sparava, partivano schizzi di sangue verso i soldati e le loro uniformi. Himmler disse che dovevano continuare quelle azioni e superare i loro stati emotivi perché il loro dovere era salvare la Germania dalla tirannia degli ebrei. Himmler tessé le lodi dei soldati, ma iniziò a cercare mezzi più efficaci per uccidere. All’inizio furono utilizzati i gas di scarico, ma non era un sistema abbastanza efficiente. In seguito si sarebbero escogitati modi persino più efficienti, come ad esempio il fatto di mandare sempre più gente nelle camere a gas.

La cosa terribile, secondo me, è che, per risparmiare, i nazisti calcolarono la concentrazione minima di Zyklon-B (un pesticida a base di cianuro) sufficiente per provocare la morte. Per esempio, se 10 grammi erano troppi, forse con 9 grammi si sarebbero potuti uccidere quelli che erano dentro la camera a gas “con lo stesso grado di efficienza”. In quel caso, 9 grammi venivano usati come modo efficiente ed economico per uccidere “rapidamente ed efficacemente”. Inoltre, c’era la questione del tenere “le mani pulite”. Infine gli ufficiali nazisti gettavano le pastiglie di Zylon B attraverso aperture nel tetto o fori nel lato delle camera a gas e le persone che rimuovevano i corpi dei morti erano ebrei, non tedeschi. In tal modo il processo divenne asettico per i perpetratori.

Nel caso del genocidio del Ruanda, ci furono molte più persone che parteciparono all’assassinio. Nel 1995, più di 15.000 persone furono arrestate e accusate di partecipare attivamente all’uccisione (si stima che “solamente” 40.000 tedeschi avessero preso parte attivamente all’assassinio degli ebrei).

"La Shoah: unica o no"

In Israele, purtroppo, non studiamo i genocidi da un punto di vista comparativo, ma insegniamo soltanto il genocidio ebraico, la Shoah. Non insegniamo gli altri genocidi, né nei licei, né nelle università. Si tratta di una situazione inaccettabile, e dal punto di vista morale e da quello accademico. Per molti anni abbiamo sviluppato la filosofia dell'unicità ed esclusività della Shoah. Io non lo accetto. La Shoah non è una categoria unica, come se ci fosse un concetto chiamato Olocausto, e un altro concetto chiamato “genocidio”. Io penso invece che la Shoah, il genocidio ebraico, debba essere studiata nel quadro degli studi comparati sui genocidi. In questo quadro dobbiamo esaminare gli elementi comuni tra gli atti di genocidio e comprendere che cosa distingue l’Olocausto dagli altri.

Riguardo al genocidio ebraico, ci sono caratteristiche uniche come le camere a gas; tuttavia, le teorie razziste non sono uniche, perché in ogni atto di genocidio si sono sviluppate teorie razziste in vari gradi di sofisticazione. Le teorie razziste contro gli ebrei erano molto ben sviluppate e scientifiche. Inoltre, un’altra caratteristica unica dell’Olocausto è il fatto che i tedeschi volevano uccidere gli ebrei ovunque ne avessero potuti trovare. La loro missione era uccidere tutti gli ebrei in Europa. Non pensavano agli USA, ma erano nel mirino anche gli ebrei del Nord Africa e del Medio Oriente. Perfino piccole comunità erano incluse nel numero complessivo di 12 milioni.

"Dopo il genocidio "...

In Israele, ci sono discendenti dei sopravvissuti al genocidio di seconda e di terza generazione e molti studi su di loro. Sappiamo che non soffrirono solo le vittime. I genitori continuano a soffrire, come i loro figli e nipoti. Continuano ad avere disturbi da stress per la sofferenza dei loro genitori e nonni. Ed è lo stesso per gli armeni. I sopravvissuti armeni hanno dato vita alla loro quarta generazione. Noi dobbiamo effettuare studi comparativi che permettano alla scienza di condurci ad approfondire ulteriormente queste situazioni. Gli studiosi devono utilizzare metodi comparativi, ma purtroppo in Israele si evitano i paragoni con la Shoah. Spero che nel prossimo futuro comprenderemo la necessità di insegnare e studiare altri atti di genocidio. Una comparazione non sminuirà l’importanza della Shoah, anzi la sottolineerà ulteriormente.

Credo che questo sia importante prima di tutto perché sono un essere umano e un ebreo; e inoltre perché la Shoah ha una rilevanza per l’umanità e non solo per il popolo ebraico. Noi siamo portati a sminuire l’importanza della Shoah guardando a essa in maniera particolaristica. In secondo luogo, per me è importante dire che noi in quanto vittime, ebrei, armeni, tutsi e purtroppo molti altri, abbiamo molto in comune. A mio avviso gli atti di genocidio ai quali siamo sopravvissuti ci rendono fratelli, nel senso più profondo del termine.

Ci sono tre esempi “classici” di genocidio: quello ebraico, quello armeno e quello ruandese. Senz’altro ci sono stati altri genocidi nel Ventesimo secolo, ma nel campo dei Genocide Studies gli studiosi considerano questi casi come modelli. Le società vittime sono affratellate, perché hanno patito le stesse atrocità. Io credo che dobbiamo creare una fratellanza tra le vittime e non cadere nella concorrenza e nelle divisioni tra esse, poiché questo è inaccettabile da un punto di vista morale e scientifico. Noi, gli ebrei, ne siamo responsabili perché parliamo sempre di esclusività. I giovani studenti nelle università israeliane spesso mi dicono: “Il nostro [genocidio] è quello più grande, noi abbiamo sofferto di più…”. Quando chiedo loro che cosa intendono per “di più”, mi rispondono: “Le camere a gas”. Certamente questa è una caratteristica unica, ma non possiamo misurare la sofferenza degli esseri umani. Dobbiamo accettarla, non misurarla e non trincerarci nel “Noi abbiamo sofferto di più!”. Dobbiamo cercare di identificarci con la sofferenza degli altri.

A questo punto sorge una domanda importante: posso, io, Yair, prendere parte a un genocidio? Certo che sì! L’aspetto più terribile dei genocidi è che sono commessi da esseri umani, non da Dio. A me non piace il termine “Olocausto”, perché perfino come parola greca, sembra un tipo di atto divino o legato a Dio, mentre è un atto degli esseri umani. Sono stati gli esseri umani a commettere i genocidi, e continuano a commetterne e ne commetteranno ancora in futuro. Noi dobbiamo affrontare questa realtà, e possiamo contenerla soltanto mediante l’educazione.

Inoltre, le persone che commettono i genocidi sono “gente comune”. Che cosa significa questa espressione? Significa che erano quello che chiamiamo “persone normali”. Non erano psicopatici, né persone affette da patologie mentali.

Ho una storia da condividere con voi, riguardo una persona che è diventata una mia cara amica, Yolande Mukagasana, una donna tutsi, che ha perso tutta la sua famiglia, i tre figli e il marito. Era molto conosciuta perché era un’infermiera. Lavorava come ostetrica, aiutava nei parti, molto spesso gratis. Gli hutu cercavano obiettivi tutsi da colpire, in particolare figure leader. Annunciavano i loro nomi attraverso i mezzi di comunicazione di massa e la radio. Lei fu salvata da una donna religiosa che la nascose in un piccolo interstizio della sua casa. L’infermiera usciva di notte dal nascondiglio per sgranchirsi e lavarsi. Una volta sentì la vicina che litigava con il marito, che aveva trascorso tutta la giornata in un checkpoint a uccidere i tutsi. Lei gli chiedeva quante persone aveva ucciso quel giorno e aggiungeva che non sarebbe dovuto andare il giorno dopo, ma lui sosteneva che doveva salvare il Ruanda. Episodi come questi sono la norma durante tutti gli atti di genocidio, e un soldato può sostenere che sta uccidendo quello che considera essere il suo nemico per salvare quello che definisce il suo Paese.

"È possibile che io partecipi a un genocidio?"

È possibile che io partecipi a un genocidio? Dovrei rischiare la vita per salvare le persone? La gente rischia la propria vita per salvare gli altri? Sono uno spettatore passivo, come la maggior parte dell’Umanità? Queste per me sono le domande cruciali riguardo al fenomeno del genocidio.

Le persone che rischiano la propria vita per cercare di salvare altre persone sono “giuste”. Sono l’altra faccia dell’umanità; ce ne sono molto poche, ma la loro esistenza conta molto per tutti noi e tutti noi possiamo trarre insegnamento da essa.

Alcuni mesi fa, durante un viaggio in Ruanda, Yolande mi ha presentato un funzionario del governo hutu che era andato oltre il suo stesso dovere per salvare una famiglia dall’assassinio, frapponendosi fisicamente tra gli assassini e la famiglia, loro potenziale vittima. Questi mi ha detto che suo padre l’ha educato al rispetto delle leggi del Corano. Cito questi avvenimenti per via dell’impressione che hanno in molti attualmente, che tutti i musulmani siano fanatici. Naturalmente ci sono fanatici in ogni gruppo. Il padre di quell’uomo gli avrebbe insegnato che secondo l’Islam i musulmani devono salvare le altre persone; che lui deve stare dalla parte dei perseguitati. Quella persona insisteva nel leggermi una breve frase del Corano, che io conoscevo: "Chi salva una vita umana salva il mondo intero", un versetto che esiste anche nella tradizione ebraica. L’uomo di etnia hutu mi ha detto che anche lui ha educato il figlio, che è diventato un ufficiale nell’esercito hutu, nel solco della stessa tradizione. Il compito di suo figlio durante il genocidio era di uccidere. Suo figlio aveva una pistola personale con la quale ha ucciso molti tutsi, sia quando era in servizio che quando era fuori servizio. A un certo punto, suo figlio ha deciso di salvare i tutsi. Per questo, è stato ucciso da un uomo appartenente alla sua stessa unità militare. A quel punto ho posto all’uomo di etnia hutu una domanda molto difficile: “Non ti penti di avere educato tuo figlio secondo questa tradizione, dal momento che se non l’avessi fatto egli sarebbe ancora con noi?". Dopo aver riflettuto a lungo, ha risposto: "No, non me ne pento; ciò che mio padre ha insegnato a me, io l’ho insegnato a mio figlio ". Ero così commosso. Lui mi ha detto. "Questa è l’educazione che dobbiamo impartire ai nostri figli". Ciò ha avuto una grande importanza per me.

Forse, in alcuni luoghi, i musulmani che salvarono gli ebrei superano anche il numero dei cristiani che salvarono gli ebrei durante la Shoah; in Bosnia, Albania e Nord Africa, per esempio. Durante la Shoah, gli ebrei trovarono la salvezza anche nella grande moschea di Parigi.

Purtroppo, ogni gruppo di vittime lavora per se stesso. Ciò di cui c’è bisogno è che i gruppi di vittime compiano uno sforzo comune. Siamo fratelli nel vero senso della parola e dobbiamo creare una stretta relazione tra le nostre comunità e, a mio avviso, anche tra i nostri governi. Purtroppo, Israele non riconosce il genocidio armeno, così non possiamo lavorare insieme come affermano i principi della prevenzione dei genocidi. Non riconoscere il genocidio armeno è un fallimento morale dello Stato di Israele. Prendendo questa posizione, noi, Israele, abbiamo tradito il lascito della Shoah e delle sue vittime e Israele non ha alcun diritto di farlo. In questa maniera Israele sta tradendo la santità degli esseri umani e l’eguale valore delle loro vite. Noi siamo uguali, armeni, ebrei, palestinesi, tutsi o hutu. Questa per me è l’eredità della Shoah e degli altri genocidi. Ho sottolineato questo nell’introduzione di tutti i dodici libri sul genocidio che sono stati pubblicati dalla mia università in Israele.

Purtroppo, non penso che Israele riconoscerà il genocidio armeno nel prossimo futuro. L’Armenia dovrebbe capire questa realtà, ma non accettarla.

Le leggi contro il negazionismo della Shoah esistono. Per quanto ne so, solo un numero molto esiguo di Paesi ha leggi simili per quanto riguarda gli altri genocidi. Questa legge deve penalizzare la negazione di tutte le espressioni del genocidio, non solo di alcune. Oggi, in alcuni Paesi, se si nega l’Olocausto si commette un reato. Purtroppo, se si nega il genocidio armeno non importa a nessuno, ma secondo me le vie legali non sono il modo principale di cercare di prevenire i genocidi.

Siamo in lotta contro il mondo. Il mondo non si cura dell’uccisione delle persone. Non sto dicendo che il mondo vuole uccidere la gente, ma quando succede si comporta come se non fossero affari suoi. Le persone negli USA, in Europa e nel mio Paese, Israele, continuavano a lavorare e a spendere nel 1994, quando, quotidianamente, venivano assassinate 10.000 persone in Ruanda in un solo centinaio di giorni! Questo era nei giornali, e non si poteva dire che la gente non lo sapesse. Semplicemente non se ne curava. Continuava a vivere la propria vita come se ciò stesse avvenendo su un altro pianeta. Era indifferente e anche noi lo eravamo, e continuiamo a esserlo, davanti alle uccisioni in Siria negli ultimi sei anni e in Darfur a partire dal 2002 – quasi 15 anni!

Non riconoscendo i genocidi, si prepara la strada a futuri genocidi

100 anni sono passati da quando i turchi commisero il genocidio armeno e la Turchia lo nega ancora. Tra le grandi potenze, la Francia, la Russia e il Parlamento Tedesco hanno riconosciuto il genocidio armeno, ma né gli USA, né il Regno Unito l’hanno fatto. Di circa 196 Paesi che fanno parte dell’ONU, circa 26, il 10%, hanno riconosciuto il genocidio. Non riconoscendo gli atti di genocidio adesso, si prepara la strada per futuri genocidi.

L’educazione

Di solito si conosce meglio la Shoah degli altri genocidi; il genocidio armeno è meno conosciuto, e ancora meno quello del Ruanda. Il genocidio dei rom e dei sinti è quasi sconosciuto; dov'è accaduto, quando e il numero dei morti sono un mistero per quasi tutti.

In Israele, quando insegno il genocidio armeno e molti studenti sono scioccati dal fatto che il governo non l’abbia riconosciuto, la loro sorpresa aumenta ancora di più quando apprendono che il loro Paese, in maniera tanto vergognosa, nega il genocidio armeno. Molti studenti sono diventati attivisti per il riconoscimento del genocidio armeno da parte di Israele. L’educazione è un elemento imprescindibile nel limitare la probabilità che si verifichino nuovi genocidi in futuro. Da soli non si può cambiare la situazione, perché la decisione di commettere un genocidio viene presa dai politici, non dagli educatori, ma nella maggior parte dei Paesi democratici sono i politici a decidere in materia di educazione. E per quanto sorprendente ciò possa essere, il livello di educazione sui genocidi è molto basso. Mentre i Genocide Studies sono stati sviluppati negli ultimi 40 anni, il livello dell’educazione sui genocidi rimane molto ma molto indietro.

Mi sia permesso di riassumere la questione: il mio Paese, Israele, tradisce il lascito della Shoah e i valori morali che dovremmo trarne. Israele vergognosamente nega il genocidio armeno. Israele è uno dei più importanti Paesi venditori di armi nel mondo. Inoltre i governi di Israele hanno venduto armi al governo del Ruanda e a quello della Serbia quando quelli stavano commettendo genocidio. Tutti i nostri sforzi, compresi quelli legali, di costringere lo stato di Israele ad aprire i suoi archivi e scusarsi pubblicamente sono falliti. Mi si lasci dire una cosa: vendere armi a quei governi criminali è molto simile, moralmente parlando, a vendere armi alla Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale e la Shoah.

Onestamente, sono abbastanza pessimista; il mondo, inclusi l’Europa e gli USA, è diventato sempre più egoriferito, egoista e pieno di ipocrisia. Il livello di razzismo, xenofobia, "odio degli altri” e indifferenza alla loro sofferenza, raggiungono livelli che non conoscevamo dagli anni Trenta dell’ultimo secolo. Nei miei corsi parlavo sempre di tre categorie che si registrano durante gli atti di genocidio: gli aguzzini, le vittime, e le cosiddette “terze parti”. Sono arrivato alla conclusione che non c’è una terza parte. Se non si è con le vittime, o se si è indifferenti, si è moralmente e praticamente con gli aguzzini. Si è altrettanto responsabili, e probabilmente anche colpevoli.

Che cosa possiamo fare? Dobbiamo continuare la nostra lotta sistematica e cercare di lavorare sull’educazione ancora più di quanto facciamo oggi.

Yair Auron

Analisi di Yair Auron, già docente alla Open University di Israele ed esperto di studi sull'Olocausto

17 gennaio 2017

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