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Razan, Ghayath e la Siria che non vogliamo vedere

di Shady Hamadi

Oggi, pare che in Siria ci sia una battaglia che vede due fronti contrapposti: da una parte il regime siriano di Assad e dall’altro i fondamentalisti dell’Isis. In mezzo non ci sarebbe nulla. Di quello che è accaduto dal 2011 in poi nessuno ha memoria. Si dimenticano le proteste pacifiche scoppiate nel marzo 2011 contro il regime, si scorda la bieca e brutale repressione messa in campo dalla dittatura siriana e non si ha memoria dei giovani che hanno pagato, e pagano, un prezzo altissimo per la libertà. Questa naturale propensione, in particolare italiana, a dipingere il medioriente in una maniera dicotomica – fondamentalismo/regimi – ha una sua genesi in una mancanza di volontà di dialogo con l’altra sponda e di conoscenza dell’altro.

Quando si è presentata la possibilità con Gariwo di candidare due Giusti per la Siria ho subito pensato a Razan Zaitouneh e Ghayath Matar. Queste due figure simboleggiano la terza Siria, ma anche il terzo mondo arabo, quello che si oppone al fondamentalismo religioso e al totalitarismo. Inoltre, le storie di Ghayath e Razan sembrano legate indissolubilmente in una testimonianza viva, dura e tenace di quello che è la Storia siriana di questi ultimi cinque anni. Infatti, Ghayath Matar è stato l’animatore del movimento pacifista siriano a Damasco. È lui che aveva inventato l’idea di dare ai soldati, mandati a reprimere le proteste, acqua e fiori per stimolare le coscienze e indurre i militari a identificarsi con i manifestanti. La pericolosità di questo gesto, e del dilagare del movimento pacifista (colpevolmente mai raccontato dai media italiani), era stata intuita dal regime, che nel settembre del 2011 fece arrestare e uccidere il giovane Ghayath. 

Durante quei mesi concitati, che vanno dal marzo 2011 al gennaio-febbraio del 2012, venne chiesto a gran voce alla comunità internazionale, da molti siriani espatriati o presenti in Siria, di sostenere il movimento pacifista prima che la guerra, la necessità di armarsi per difendersi dalla repressione, prendesse il sopravvento. Nessuno ci ascoltò e la guerra totale, con le sue conseguenze, dilagò in Siria. Nonostante questo, nonostante i bombardamenti aerei, le decine di migliaia di vittime del 2011 - 2012, Razan Zaitouneh, avvocatessa e attivista, continuò clandestinamente a gestire, insieme ad altre personalità, la rete dei Comitati di Coordinamento Locali e il Centro per la Documentazione delle Violazioni in Siria. Era Razan, insieme alla sua rete di attivisti, a contare giornalmente e dare un volto ai morti siriani. È grazie alla sua attività, instancabile e mai sostenuta dalla comunità internazionale, a fornire le generalità delle vittime e degli arrestati.

L’isolamento nel quale è stata costretta la società civile, a causa del vuoto generato dalla repressione, ha creato gli spazi per l’avvento del fondamentalismo. C’è però da ricordare che nel 2011, il “laico” Assad fece un’amnistia i cui beneficiari furono solo i fondamentalisti richiusi nelle carceri siriane. Scrittori, intellettuali e avvocati non ne beneficiarono. Questo servì per mettere in crisi il movimento pacifista e delegittimare la rivoluzione. Assad diceva e dice all’Occidente «Vedete, sono tutti terroristi, vi avevo avvisato. Non esiste nessuna richiesta di libertà. I siriani stanno bene sotto la mia dittatura».

Razan è stata sequestrata proprio dai fondamentalisti nei dintorni di Damasco, a Ghouta, dove si era recata per documentare le atrocità che stavano avvenendo.
Celebrare Ghayath e Razan significa ridare legittimità a un movimento, quello della società civile, che sta cercando una via per liberarsi dall’oppressione del totalitarismo e del fanatismo religioso. Sta a noi scegliere di sostenerli o accettare la guerra.

Shady Hamadi, scrittore e attivista siriano

Analisi di

18 febbraio 2015

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