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​Ricordare combattendo l’ideologia genocida

di Françoise Kankindi

La 22° Giornata della Memoria del Genocidio dei Tutsi, Kwibuka 22, ha come tema la lotta contro l’ideologia genocida che ha permeato profondamente la società ruandese sin dal 1959 per arrivare al suo culmine nel ’94 con la "soluzione finale" di un milione di morti in soltanto 100 giorni.

A molti oppositori, che hanno formato partiti politici su base etnica, non dispiacerebbe tornare all’ancien régime, al Ruanda di prima del 1994. Non nascondiamoci dietro un dito: basta vedere i tanti siti internet o sentire la propaganda che fanno durante le conferenze organizzate ovunque in occidente. Questa gente vive l’unità come un sopruso. Semplicemente, non la capisce. Non riesce a concepire un Ruanda dove ci sono soltanto ruandesi, dove sulla carta d’identità non c’è menzione dell’etnia. Considera l’uguaglianza come un’ingiustizia. Per loro il Ruanda è composto da tre etnie, gli Hutu, i Tutsi e i Twa, e deve comandare la più numerosa, vale a dire quella degli Hutu. La loro idea di “comandare” l’abbiamo vista durante i 33 anni della loro dittatura. Discriminazione, umiliazione, odio, un massacro dopo l’altro, fino al genocidio.

Con queste premesse, in quale futuro democratico il nostro paese può sperare? E’ ora che apriamo una vera discussione su questo tema fino ad arrivare al cuore del problema. Da una parte, una maggioranza è convinta di avere tutti i diritti di comandare sulla minoranza senza dover garantirle nessun diritto, a partire da quelli inalienabili come la cittadinanza, la vita, il lavoro e lo studio. Tutto ciò è la prova che l’idea della democrazia è stata completamente travisata per tanto tempo dalle nostre parti.

In Ruanda il primo presidente Grégoire Kayibanda aveva organizzato sistematicamente i massacri della minoranza Tutsi senza alcuna remora di incorrere in qualsivoglia guaio giudiziario. Qualsiasi tentativo di denunciarlo è caduto nel vuoto. Il suo successore, Juvenal Habyarimana, che l’ha destituito tramite un golpe di stato, non è stato da meno. Sotto la dittatura di quest’ultimo, oltre a insistere sulle carte d’identità etniche (eredità della colonizzazione belga) per negare il lavoro e diritto ai tutsi, ha introdotto un ulteriore elemento di discriminazione con il regionalismo. Quelli che provenivano dal nord, la sua regione di origine, avevano la precedenza per accedere ai migliori posti di lavoro.

Oggi, finalmente, il Ruanda si è buttato alle spalle la logica genocida grazie all’attuale presidente Paul Kagame, il quale non solo ha bandito le etnie, ma ha capito che il “mai più” passa necessariamente non solo dallo sviluppo ma soprattutto dalla promozione di una società libera dalle identità etniche omicide. Ha intuito che la vigilanza non potrebbe essere sinonimo di vendetta, ma non può fare a meno della lotta e dello sradicamento di quell’ideologia genocida che portò al tragico eccidio dei Tutsi. L’impunità di fronte ai crimini contro l’umanità è stata sconfessata dalla creazione dei tribunali Gacaca, unica esperienza al mondo salutata all’unanimità come giustizia partecipativa che ha permesso di giudicare con equità più di un milione di fascicoli di presunti colpevoli di genocidio.

Non bisogna però abbassare la guardia, come dice lo scrittore senegalese Boubacar Boris Diop , “la memoria di un genocidio è una memoria paradossale: più il tempo passa e meno lo si dimentica”. Per fortuna la maggioranza dei giovani ruandesi sono nati dopo il genocidio; a loro non possono essere imputate le colpe dei padri, ma devono sapere ciò che è successo, in modo che si possano sviluppare gli anticorpi contro qualsiasi ideologia genocida

Françoise Kankindi

Analisi di Françoise Kankindi, Bene Rwanda

6 aprile 2016

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