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"Ricordare fa male"

Un Giorno della Memoria in Germania?

(L'espressione "Ricordare fa male" è stata usata da R. Süssmuth, ex presidente del parlamento tedesco)

Un’inchiesta recente della prima rete televisiva tedesca, Das Erste, ricorda che un ragazzo su cinque, tra i 14 e i 17 anni, non ha sentito parlare di Auschwitz. A giudicare dall’inchiesta l’età di questi ahnungslose Deutsche, tedeschi inconsapevoli, è assai varia: un anziano abitante di Hersbruck, cittadina francone presso cui era stato costruito un Lager, risponde così all’intervistatore che gli chiedeva se sapesse quante persone erano state uccise nel campo: “Ne sono state uccise anche altrove, mica solo qui! Chieda un po’ a chi è stato in Russia e le dirà dove sono stati uccisi. Mica solo qui!”.

Generalizzare è però inutile, oltre che sciocco. Cominciamo a vedere un po’ la storia di questo “Giorno della Memoria” e ricordiamo che in Germania il 27 gennaio non è una ricorrenza fissa e immobile, ma è appunto un Gedenktag, giorno che diventa occasione per riflettere oltre che ricordare.

Dal 1996 il 27 gennaio è il Tag des Gedenkens an die Opfer des Nationalsozialismus, il giorno del ricordo delle vittime del nazionalsocialismo, in cui si ricorda la liberazione dei sopravvissuti nel Lager di Auschwitz-Birkenau a opera dei soldati dell’Armata Rossa.

L’istituzione di questa giornata fu fortemente voluta da Ignaz Bubis, allora presidente delle comunità ebraiche tedesche, che già dal 1994 aveva cominciato a battersi per l’introduzione di una giornata che ricordasse le vittime del nazismo. Grazie al crescente favore che quest’iniziativa trovò presso tutte le forze politiche, si arrivò appunto nel 1996 alla proclamazione di una giornata nazionale del ricordo. Straordinario e forte fu il discorso che fece l’allora Presidente della Repubblica federale Roman Herzog, di cui vale la pena riportare uno stralcio: “Il ricordo non deve finire: le generazioni future devono stare in guardia, è importante trovare un modo in cui poter ricordare, il ricordo deve portare afflizione oltre che perdita e dolore, […] e deve far sì che ciò che è accaduto non si ripeta.” Questo giorno, così Herzog disse, doveva portare “un momento di riflessione nella quotidianità”.

È questo il motivo per cui, pur essendoci in ogni città tedesca una miriade di manifestazioni, incontri, mostre, film, non si sente però la necessità di racchiudere, per esempio nelle scuole, tutto il ricordo in un giorno.

A nessun docente tedesco, e certamente a nessuno dei miei colleghi di storia dello “Albert Einstein Gymnasium” di Berlino verrebbe mai in mente di commemorare, in un giorno particolare dell’anno, tutto l’orrore vissuto da ebrei, rom, sinti, oppositori politici e omosessuali, col rischio di creare una ritualità inutile e un senso di saturazione che è l’opposto di una sana “prassi” del ricordo. Non c’è classe, nel mio liceo, in cui non ci siano cartelloni, fatti dai ragazzi, che ricordano i Naziverbrechen, i delitti compiuti dai nazisti. E i cartelloni non vengono tolti per far spazio ad altri, restano.

Naturalmente un rischio c’è – e mi ricollego all’inchiesta di Das Erste – soprattutto all’interno delle scuole, poiché i docenti non si sentono obbligati a dedicare una giornata ai Lager, può capitare che i ragazzi ne sentano parlare durante le lezioni di storia o di dottrine politiche e nulla più. Vivo e lavoro a Berlino, che è una città particolare, in cui c’è una grande attenzione verso questo tema e non so come può essere invece l’atteggiamento nella profonda Franconia o in Sassonia–Anhalt, anche se mi viene in mente un distico corrosivo del cantautore Wol Biermann, “La mia patria, la DDR, sarà sempre pulita, i nazi non torneranno”: come sappiamo è proprio nei Länder della ex Germania orientale che la rielaborazione del passato è stata soffocata e misconosciuta. Voglio però citare un episodio: tempo fa, un mese circa, in una delle porte della biblioteca del mio liceo, è stato modificato un avviso su cui era scritto “Duden hier links”, i vocabolari della Duden si trovano a sinistra. Qualcuno aveva sostituito la “D” con una “J”, dunque “Juden”. Una marea di ragazzi ha fotografato e mostrato al preside l’avviso, prima ancora che lo facessimo noi insegnanti e si sono sguinzagliati alla ricerca del colpevole, uno sciocco, neppure in grado di capire il significato del suo gesto.

Ma, ripeto, questa è Berlino, sarebbe come pensare che New York rappresenta l’America e così non è. La domanda è: c’è rischio che i ragazzi sempre più lontani psicologicamente e cronologicamente dal periodo nazista possano dimenticare e non rielaborare quella “forma del ricordo” di cui accennava Herzog? Non credo. Sinceramente gli anticorpi sono forti e c’è una classe politica salda, che non dimentica e non fa dimenticare. In un passo del suo discorso in occasione del Gedenktag del 2015 Merkel ricorda con onestà: “Quello che è accaduto riempie di vergogna noi tedeschi. Ci sono stati tedeschi responsabili delle sofferenze e del dolore di milioni di persone, responsabili o esecutori, persone che non hanno voluto vedere o che sono rimaste in silenzio.”

Analisi di

25 gennaio 2016

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