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Riflettere sull’orrore della Shoah per riconoscere i segnali di pericolo

recensione di Antonella Sbuelz

Pubblichiamo di seguito la recensione a del libro del presidente di Gariwo Gabriele Nissim "Auschwitz non finisce mai. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi" uscita il 26 giugno sul Messaggero Veneto a firma di Antonella Sbuelz

Riflettere sui genocidi significa, oggi, riflettere su orrori rilevati solo in minima parte dai radar mediatici che scandagliano e mappano la nostra coscienza civile.

Quanti sono, infatti, i genocidi ignorati o non riconosciuti perpetrati negli ultimi decenni, su istigazione di odi religiosi, etnici, nazionalistici? E qual è la genesi di un genocidio, quale l’humus in cui fermenta e matura, quali i tragici percorsi che può imboccare e gli imperativi etici a cui veniamo chiamati nel momento in cui assumiamo consapevolezza di fronte al buio dell’umanità? Quali i segni premonitori delle derive? Quali le scelte individuali in controtendenza rispetto all’indifferenza?

Sono domande complesse. Ma è la ricerca di senso dettata da simili quesiti a generare le riflessioni contenute in “Auschwitz non finisce mai. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi” (Rizzoli, 2022), l’ultimo libro di Gabriele Nissim, scrittore, saggista e ideatore della Fondazione Gariwo, nata per riconoscere i Giusti che si sono opposti a ogni orrore genocidario.

Si tratta di un testo coerente con la precedente produzione letteraria dell’autore, cui si deve anche la campagna che ha condotto alla proclamazione della Giornata europea dei Giusti, istituita dal Parlamento europeo nel 2012, approvata dal Parlamento italiano nel 2017 e confluita infine in una legge che prevede la celebrazione della Giornata dei Giusti dell’umanità: non una semplice tappa giuridico-istituzionale, ma un tentativo di antidoto alla banalità del male.

Il libro di Nissim è articolato in due ampie sezioni: la prima affronta la memoria della Shoah e il paradigma di unicità che l’accompagna; la seconda è invece incentrata sulla figura di Raphael Lemkin, il giurista ebreo polacco che, esule negli Stati Uniti, coniò per primo il termine “Genocidio”.

Per approfondire nella sua complessità la memoria della Shoah, Nissim rievoca e ripercorre le riflessioni di protagonisti fondamentali del pensiero novecentesco, da Simone Veil a George Steiner, da Hannah Arendt e Vasilij Grossman a Primo Levi, la cui accorata denuncia di un’ampia zona grigia dell’umanità ci obbliga a fare i conti con un offuscamento delle coscienze che sembra prendere le mosse dalla banale disponibilità a collaborare, in vario modo, al “funzionamento della macchina di potere”.

Nissim invita tuttavia anche a una riflessione ulteriore. La memoria dell’Olocausto è diventata uno degli elementi fondanti della nostra appartenenza identitaria: si accompagna infatti alla consapevolezza di un orrore che si auspica irripetibile e che si ritiene decisivo per il nostro sistema immunitario collettivo. Come dire che la semplice memoria del male può preservarci da nuove irruzioni o nuovi contagi del male stesso.

Ma invocare l’unicità della Shoah, quale emblema del baratro in cui è precipitata l’umanità del passato, rischia di trasformarsi in una sorta di alibi per l’assoluzione dei baratri in cui può nuovamente precipitare l’umanità del presente.

La natura «specifica e universale» - dunque incomparabile- riconosciuta da Simone Veil all’Olocausto non deve dunque trasformarsi in potenziale alibi assolutorio nei confronti dei tanti genocidi che si sono susseguiti anche dopo il secondo conflitto mondiale. Come dimenticare infatti l’indicibilità dei massacri che negli ultimi decenni disegnano una mappa dell’orrore attraverso i continenti?

L’invito di Nissim esorta dunque a trasformare l’orrore della Shoah in una lente di ingrandimento universale per ogni altra deriva, individuandola e riconoscendola fin dai suoi esordi. Che sono talvolta banalissimi e vicini a noi. A doverci allarmare sono spesso, infatti, i segnali deboli ma premonitori.

Mentre noi tutti, come ci ricorda Vasilij Grossman nel suo vibrante racconto “La Madonna Sistina”, vorremmo continuare a credere che «non ci sia nulla di più sublime dell’umano nell’uomo».


Antonella Sbuelz

Analisi di Antonella Sbuelz, scrittrice e poetessa

27 giugno 2022

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