8 maggio 2023. La partecipazione della scrittrice russa Linor Goralik al festival letterario Prima Vista, in Estonia, viene annullata dopo le proteste delle poetesse ucraine Anna Gruver e Olena Huseynova, anch’esse ospiti della rassegna. La direttrice del festival, Krista Aru, spiega che l’esclusione di Goralik è stata decisa per ridurre “tensioni tra ospiti stranieri” pur “continuando a credere che la libertà d’espressione e l’opportunità di dibattere sono molto importanti”.
Linor Goralik, nata in Ucraina, cresciuta a Mosca e da anni cittadina israeliana (leggi qui l’intervista di Gariwo), è la responsabile di ROAR, una pubblicazione online che dà voce, anche in maniera anonima, ad autrici e autori di lingua russa che si identificano nell’opposizione al regime putiniano. Secondo Olena Huseynova “non è possibile discutere i problemi della Russa, in questo momento”. Huseynova ha anche criticato gli autori di ROAR, identificabili “nella cosiddetta intelligentsia liberal che ha lasciato la Russia”, “che non ha combattuto per l’Ucraina” né “è rimasta per combattere il regime”.
Poco più di una settimana dopo, l* giornalista statunitense di origine russa Masha Gessen1 annuncia le sue dimissioni dalla branca americana di PEN, un’organizzazione internazionale che si occupa di libertà di espressione. La polemica in questo caso inizia quando due scrittori ucraini, Artem Chapeye e Artem Chekh, che oltre a scrivere combattono in Ucraina con l’esercito, arrivano a New York per partecipare a un panel all’interno del World Voices Festival. Una volta sbarcati negli Stati Uniti, scoprono che il festival ospiterà anche un incontro sugli scrittori in esilio a cui parteciperanno due autori russi moderati proprio da Gessen.
A questo punto gli scrittori ucraini pongono la cancellazione del panel dei russi come condizione imprescindibile per garantire la loro presenza. Suzanne Nossel, presidentessa di PEN America, decide di assecondare questa richiesta, per poi ammettere che "avremmo dovuto trovare un approccio migliore”.
Masha Gessen, che da anni si occupa di denunciare le ingiustizie compiute dall’autocrazia putiniana, soprattutto per quanto riguarda la comunità LGBTQ+, ha spiegato attraverso una lunga intervista concessa al New Yorker che ha deciso di dimettersi, fondamentalmente, per due ragioni. La prima ha a che fare con la libertà di espressione, che Gessen definisce un campo complicato, vasto e sfumato. Gessen chiarisce che non è per una libertà di espressione assoluta. Sebbene reputi legittimo il dibattito sull’invitare o meno scrittori russi e ucraini insieme, il fatto che, una volta invitati, si decida di cancellare l’incontro con i russi è come dire: “Pensiamo che la vostra parola sia legittima e desiderabile fino a quando qualcun altro dice che non lo è più”. Insomma, per Gessen, una organizzazione come PEN non può dire: “Non vogliamo che parliate perché qualcun altro non vuole”. L’altro motivo è personale, legato al fatto che quei giornalisti russi sono, prima di tutto, suoi amici.
Questi due episodi, avvenuti in due contesti diversi, non sono isolati. Il 19 maggio l’University College of London ha cancellato senza preavviso una performance dello scrittore dissidente Viktor Shenderovych e, stando a voci raccolte da chi scrive, pare che negli ultimi mesi alcuni agenti di scrittori russi abbiano iniziato a evitare di proporre i loro assistiti nelle rassegne europee, limitando le partecipazioni a pochi incontri blindati. Infine, è notizia di due giorni fa che Elizabeth Gilbert, autrice del best seller “Mangia, prega, ama” abbia deciso di ritardare l’uscita del suo nuovo lavoro, “The snow forest”, dopo che i lettori ucraini hanno espresso rabbia e delusione per aver appreso che il libro è ambientato in Siberia.
A questo punto alcune domande emergono in maniera netta. Abbiamo un problema di libertà di espressione? Gli intellettuali russi vanno “silenziati” fino alla fine della guerra?
Le risposte a queste domande sono molto più complesse di quanto si possa immaginare in prima battuta. Prima di affrettarci a rispondere, dobbiamo ammettere di conoscere solo superficialmente il punto di vista ucraino (che tendiamo a relegare tout court nell'insieme dei comportamenti nazionalisti tipici dei paesi in guerra). Senza avere i giusti riferimenti culturali non possiamo capire il loro punto di vista e, quindi, anche una sacrosanta battaglia come quella per la libertà di espressione perde ogni efficacia.
Innanzi tutto c’è il contesto (post) coloniale. Non può essere ignorato per capire l’atteggiamento degli scrittori ucraini in Estonia e negli Stati Uniti. Ne parla proprio Gessen nell’intervista al New Yorker, in maniera estremamente lucida: “Gli ucraini si confrontano costantemente con il dominio russo nelle sfere culturali e nel mondo accademico. Le persone che pretendono di sapere qualcosa sull'Ucraina nel mondo accademico sono - nella loro pluralità, anche se ci sono certamente eccezioni - persone che passano la maggior parte della loro vita a studiare la Russia o l'Unione Sovietica”. Di conseguenza per gli intellettuali ucraini i russi hanno occupato “così tanto spazio culturale, così tanto spazio vocale” che, vista la contingenza, adesso si dovrebbero ascoltare “le altre voci in questo vasto spazio, perché l'Impero le ha sistematicamente messe a tacere”.
Poi c’è la questione dei “russi buoni”, un'espressione sarcastica utilizzata, soprattutto dagli ucraini ma non solo, per criticare quei russi che solo adesso denunciano i crimini russi. Si tratta di un rimando ai Good Germans, quei tedeschi che dopo la guerra negavano ogni coinvolgimento personale con i nazisti. Scrive Tetyana Bezruchenko su Gariwo.net che questa definizione fa emergere due questioni. In primis c'è la problematicità della parola "russi". In italiano e in inglese “russo” vuol dire sia cittadino della Federazione russa (chi ha il passaporto interno) sia lo specifico gruppo etnico, che compone circa il 70% della popolazione della Federazione. Nella lingua russa esistono invece due parole diverse: rossijanin/rossijanka e russki/russkaia. La non perfetta sovrapposizione fa emergere la questione coloniale: sono russi i ceceni, i ciuvasci, i baschiri che da sempre subiscono l’imperialismo del Cremlino? In secondo luogo, Bezruchenko scrive che "per lottare per i propri diritti non bisogna essere 'buoni', bisogna combattere! [...] Bisogna essere decisi e coraggiosi quando si tratta del futuro che cerchiamo di lasciare in eredità ai nostri figli".
Quindi c’è la lingua: prima dell’Euromaidan del 2014, l'80% dei libri venduti in Ucraina veniva importato dalla Russia. Nel giugno 2022, la quota di libri russi era solo del 45%. La Folio, una casa editrice di Charkiv - che prima della guerra poteva essere definita una città a maggioranza russofona - dal febbraio 2022 non pubblica più autori russi in lingua russa, né classici né contemporanei. E c’è il caso particolare dello scrittore di Kyiv Mikhail Bulgakov, che Folio pubblica solo in una versione tradotta in ucraino. Sul “nuovo” rapporto con la lingua russa, Bezruchenko scrive: “A molti dà fastidio che in Ucraina - stando a quanto riferisce la narrazione di alcuni media - dal 2014 è perseguitata la lingua russa. Ciò provoca nelle persone sensibili un grande desiderio di proteggerla. Il dovere dei giornalisti, in questo caso, dovrebbe essere quello di approfondire i documenti storici, scavare negli archivi, trovare esperti che sappiano spiegare in che modo in Ucraina è stato creato il bilinguismo artificiale russo e perché la lingua nativa sia stata respinta e considerata di seconda scelta”.
Infine arriviamo allo spazio dedicato da media e industria culturale ad attivisti ucraini e dissidenti russi. Anche qui, con incredibile onestà intellettuale, Gessen spiega benissimo il punto degli ucraini. “L'aspetto più doloroso è che la guerra è incredibilmente noiosa e ripetitiva. Un ucraino che trascorre ventitré giorni in una cantina, impossibilitato a procurarsi acqua potabile a causa dei bombardamenti russi, sarà molto simile a un altro ucraino che vive la stessa esperienza. Quindi, gradualmente, anche se questa guerra ha avuto una incredibile copertura mediatica, l'attenzione per quel tipo di cose diminuisce. I ‘russi buoni’ che scrivono libri, creano contenuti mediatici, mettono in scena spettacoli, scrivono canzoni su quanto si oppongono alla guerra: sono diversi l'uno dall'altro [...]. C'è una varietà di esperienze dolorose e una varietà di modi in cui gli ucraini possono davvero sperimentare di essere messi in ombra e soffocati dai russi anche mentre questa guerra è in corso”.
Va detto che la difficoltà di confronto tra intellettuali dissidenti provenienti da paesi colonizzatori e intellettuali colonizzati non nasce con l’invasione russa dell’Ucraina. Si verifica o si è verificato tra scrittori israeliani progressisti e attivisti palestinesi, tra intellettuali turchi di sinistra e membri dell’associazionismo curdo. E che dire della lingua e della cultura tedesca dopo la Seconda guerra mondiale? Molte università degli Stati Uniti e d’Europa eliminarono i corsi di tedesco e coloro che avevano una carriera accademica nello studio della letteratura della Germania già avviata venivano invitati a cambiare professione.
Questo sta già accadendo con lo studio del russo e della letteratura russa. In un articolo di Ukraine World intitolato “How Does Russian Cultural Imperialism Manifest” si legge che “per decenni la Russia ha strumentalizzato e abusato della cultura per mascherare le sue politiche aggressive, l'autoritarismo, i crimini di guerra, la disinformazione e le violazioni dei diritti umani. Questo è un abuso della natura stessa del soft power e della diplomazia culturale”.
Tornano in mente gli anni successivi alla Prima guerra mondiale, quando molte accademie scientifiche dei paesi alleati organizzarono un vero e proprio boicottaggio degli scienziati tedeschi e della lingua tedesca. L'obiettivo era impedire il ripristino del predominio prebellico degli scienziati tedeschi, della lingua tedesca e delle pubblicazioni tedesche nell'area della cooperazione scientifica internazionale. Gli scienziati tedeschi venivano esclusi dai congressi ed era difficilissimo trovare pubblicazioni in lingua tedesca.
Per trovare un punto di equilibrio tra dissidenti russi e attivisti ucraini ci vorrà molto tempo. La Vergangenheitsbewältigung - quel concetto traducibile come "superamento del passato" utilizzato per descrivere la riflessione critica su nazismo e Shoah in Germania - è stato un processo lunghissimo, non ancora concluso, che, scrive Andreas Lomberd, “porta ad un’espiazione continua dei propri peccati”.
Nel frattempo, da parte del resto mondo, resta la doppia urgente incombenza di riconoscere il colonialismo culturale russo e al contempo garantire libertà di espressione. Lo si può fare solo cercando di capire profondamente i motivi che portano gli ucraini a dire che nel loro paese c’è il rischio di un genocidio culturale, da un lato, e dall’altro continuando a creare ponti culturali tra dissidenti russi e resistenti ucraini. Consci che sarà un processo faticoso, lungo e impervio.
La sfida è continuare a organizzare festival in cui ci sono persone russe e persone ucraine, dare spazio agli scrittori di Kyiv e Odessa per raccontare la guerra e la resistenza, e a quelli di Mosca e Pietroburgo per raccontare come fanno opposizione. Andando al di là dell’idea di “russi buoni” e del cliché della fratellanza tra popoli. Bisogna essere consapevoli e riconoscere che molti degli intellettuali russi che oggi alzano la voce hanno taciuto nel 2014 quando Putin si prendeva la Crimea, così come non hanno battuto ciglio quando veniva bombardata la Siria.
Ci sarà da dare più spazio alla letteratura ucraina, kazaka, moldava, così come lentamente sta iniziando ad avvenire per quelle africane post-coloniali. Dostoevskij continuerà a essere uno dei giganti della letteratura mondiale, anche se si dovrà contestualizzare il suo pensiero imperialista, come già avviene per Kipling e molti altri scrittori. E andrà aperta una discussione più profonda sull'appropriazione culturale di Mosca, proprio come già avviene in Occidente nei confronti delle culture delle ex colonie.
Anche e proprio per questo i russi impegnati per i diritti umani andranno ancora più incoraggiati, pur sapendo che molti di loro continueranno ad essere permeati da schegge di retaggio coloniale. Del resto non succede anche ai cooperanti occidentali impegnati in Africa o agli attivisti che aiutano i migranti in Europa?
Questo articolo non può essere esaustivo su una questione così complessa e dolorosa. Il suo obiettivo primario è cercare di fornire un po' di contesto per capire perché, oggi, creare un piano condiviso tra dissidenti russi e ucraini è così faticoso, ma non impossibile. Resta la questione della diaspora russa, che secondo molti ucraini ha troppa visibilità, soprattutto a proposito della guerra stessa, rispetto alle vittime ucraine. Scrive sempre Bezruchenko, facendo un paragone con la Shoah: "Mi sembra che sia assolutamente naturale che le testimonianze vengano affidate a Liliana Segre e agli ormai pochi ebrei sopravvissuti che lo hanno vissuto sulla propria pelle". Se effettivamente, in questo momento, emerge come evidente la priorità di preservare la centralità degli ucraini come soggetto dell'invasione, ad un certo punto sarà necessario, in un futuro al momento difficile da tracciare, lavorare a una memoria veramente condivisa, che sia di tutti. Proprio come accade per l'Olocausto.
Un'altra questione aperta è sulla responsabilità o colpevolizzazione (a seconda dell'angolo da cui si guarda la faccenda) dei nuovi "profughi" russi che non rimangono sul suolo della Federazione a fare opposizione. Abbiamo chiesto a russi che vivono in Europa la loro opinione. Per qualcuno spesso lasciare la Russia è un atto di dissidenza in sé, in quanto, in questo modo, il regime ha più difficoltà a disporre di risorse umane nella macchina statale e parastatale.
Forse una soluzione potrebbe essere proprio quella di non considerare i russi da poco in Europa (o in Asia centrale, Medio Oriente e Sud America) come una massa unica. Del resto molti dei siriani in fuga dal regime dopo il 2011 non avevano fatto sentire prima la propria voce, non erano stati dissidenti in patria. Eppure le loro testimonianze sono state fondamentali per tracciare la profondità dell'ingerenza assadiana nella società siriana dopo l'inizio della rivoluzione.
In un articolo pubblicato dal Financial Times il 23 marzo 2022, il regista e produttore ucraino Oleksandr Rodnjansky, per due volte candidato agli Oscar e nemico dichiarato di Mosca, ha scritto che "per quanto strano possa sembrare, il futuro della Russia sembra per molti versi più orribile di quello dell'Ucraina, che credo uscirà vittoriosa dalla guerra. Questa cultura, un tempo grande, sta sprofondando in un abisso di oscurità, aggressività e brutalità", in quanto il regime di Vladimir Putin "è riuscito a creare una realtà fittizia perfettamente funzionante per i suoi elettori". Per questo, per Rodnjansky "bandire gli scienziati russi dalle conferenze internazionali, eliminare Tchaikovsky dai concerti o i film indipendenti russi dai festival sono tutti passi verso l'abisso. La sofferenza ucraina deve essere interrotta ad ogni costo. Ma mentre l'occidente fa la guerra alla tirannia del presente, non deve distruggere la possibilità di un futuro pacifico - mentre prende di mira la nave da guerra, deve fare attenzione a non affondare le metaforiche navi dei filosofi dei nostri tempi".
Mentre continuiamo questo fondamentale dibattito, non dobbiamo abituarci alla “noiosità” della guerra, come scrive giustamente Gessen. Ma allo stesso tempo non possiamo permetterci di abbandonare a loro stessi i dissidenti rimasti in Russia che rischiano la loro vita per combattere la propaganda. Una nuova Russia – e quindi la fine definitiva dell’imperialismo russo – non può che passare da loro.
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1 Masha Gessen si considera non binaria e chiede di usare, nei suoi confronti, il pronome they. Per comodità, abbiamo deciso di utilizzare, in questo testo, l'asterisco (*) dove necessario.
Nella foto di copertina: fotogramma di un servizio della Bbc su una statua sull'amicizia tra Russia e Ucraina, abbattuta a Kyiv dopo l'inizio dell'invasione.

Analisi di Joshua Evangelista, Comunicazione Gariwo