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​Shero Hammo, curdo yazida, giusto per gli armeni

di Pietro Kuciukian

Gli armeni non dimenticano. Né il male subito, né il bene ricevuto.
Il Jebel Sindjār è una catena montuosa che si eleva nell’attuale Iraq, al di sopra della pianura della Jazīra, tra i fiumi Tigri ed Eufrate. All’inizio del XX secolo apparteneva al kaza di Mossul, ed è stato il solo luogo in tutto l’Impero ottomano dove gli armeni sono stati accolti e protetti. Più della metà dei suoi abitanti, circa 20.000, erano curdi yazidi, fieri montanari, strenui difensori della loro autonomia. All’epoca del genocidio, tra il 1915 e il 1916, molte tribù curde hanno partecipato alla jihad contro gli armeni, ma altre li hanno protetti o soccorsi, cercando di ostacolare il progetto di sterminio totale messo in atto dal Governo dei Giovani Turchi. Fra queste, i curdi Yyzidi, che oggi vengono conquistati, uccisi, violentati e resi schiavi dai jihadisti dell’Isis in Iraq e in Siria.

Yves Ternon ha approfondito le vicende degli armeni del Sindjār e ha dato rilievo alla figura del curdo Shero, della tribù Hammo, capo incontrastato del Sindjār, un giusto che accolse e protesse migliaia di fuggiaschi cristiani, nella quasi totalità armeni. Diede loro case e campi, e la speranza di un futuro. Molti disertori armeni, destinati a morire sulla ferrovia Berlino-Baghdad, raggiunsero la montagna e il flusso dei rifugiati non si arrestò mai. I “passatori” erano arabi, circassi, ceceni; riscuotevano denaro, ma onoravano i loro impegni, pagavano i gendarmi turchi e traghettavano i deportati fino al Sindjār. Hammo Shero li accolse dando loro terre e lavoro. “Gli armeni”, scrive Ternon, “bravi artigiani, inviavano lettere a Mardin per procurarsi aghi, zucchero e denaro che scambiavano con farina, lenticchie e orzo”. Quando scoppiò un’epidemia e molti sceicchi volevano sbarazzarsi dei rifugiati per paura della “malattia armena” e del contagio, Hammo Shero propose di isolare parte dei villaggi e di metterli in quarantena fino alla guarigione. 

Claire Andrieu, negli atti del convegno del 2008 La resistence aux génocides, sottolinea che il comportamento degli yazidi verso gli armeni costituisce un’eccezione fra i curdi, che generalmente hanno collaborato allo sterminio; alla stessa maniera, durante l’occupazione nazista, alcuni tatari di Bielorussia hanno protetto gli ebrei, anche se la maggioranza era collaborazionista. 

Il capo curdo Hammo Shero era una “figura patriarcale”, con una lunga barba bianca, e soleva passare fra gli accampamenti degli armeni rifugiati nel suo territorio per consolarli. Aveva una rete di informatori che percorrevano i dintorni del massiccio montagnoso per avere notizie sull’andamento della guerra e per salvare i sopravvissuti armeni. Quando il kaimakam turco di Balad chiese ad Hammo Shero di consegnargli alcuni fuggitivi, l’agha rispose che per lui sarebbe stata una vergogna consegnare un ospite della montagna, poiché l’ospite è sacro.
Rachel Yussufian, un’armena scampata alla deportazione di Mardin, testimonia che fu accolta sul Sindjār e che, avendo con sé due bambini, le fu data una casa separata dagli altri armeni.

Nel 1918, quando un corpo d’armata ottomano cercò di distruggere questo luogo di ribelli, Hammo Shero convocò gli sceicchi e attaccò gli ottomani, che abbandonarono il Sindjār.
Nel 1919 si contavano ancora 500 armeni gregoriani, 160 armeni cattolici, un centianio di giacobiti e siriaci ospitati sulla montagna del Sindjār.
Lo storico Yves Ternon conclude il suo intervento nel N°177-178 della Revue d’Histoire de la Shoah, dedicato al genocidio armeno, con queste parole: “Questa è la straordinaria storia di Hammo Shero, il capo del Sinjar, un giusto per gli armeni”.
Dopo la proclamazione della repubblica turca kemalista, le autorità turche spogliano gli ultimi armeni del Sindjār dei loro beni, esigono tasse arretrate, fanno pagare loro un passaporto, infine li espellono in Siria. Sui passaporti c’è stampato: “Sans retour possible”.

Gli armeni non dimenticano il bene ricevuto.
L’Armenia è tra i pochi Paesi che nel corso del Novecento ha riconosciuto e dato ospitalità agli yazidi , impropriamente chiamati “adoratori del diavolo”, in realtà una setta esoterica che ha avuto origine nel mondo islamico, caratterizzata dal sincretismo religioso, con elementi di paganesimo, zoroastrismo, nestorianesimo, sufismo. Abitano nella valle dell’Ararat e a nord del paese di Aparan. Prevalentemente agricoltori e allevatori, parlano il kurmanji, un dialetto curdo; hanno un movimento nazionale, l’Unione degli Yazidi d’Armenia; stampano un loro giornale, lo Yazdi Khana, hanno una radio pubblica e scuole dove si insegna la lingua che usa caratteri cirillici e latini. Gli Yazidi d’Armenia sono circa 50.000, e costituiscono un gruppo religioso importante nell’ Armenia abitata al 97 % da armeni. Osservano una stretta endogamia, sono divisi in caste, una laica e le altre religiose, parlano e scrivono in armeno e sono perfettamente integrati.
Da qualche mese gli Yazidi d’Armenia sono in agitazione, preoccupati per i loro fratelli di Siria e di Iraq perseguitati dall’Isis, l’auto-proclamato califfato islamico jihadista. In migliaia hanno manifestato a Dzizernagapert, la Collina delle Rondini di Yerevan, che custodisce il Memoriale e il Museo del genocidio. Su centinaia di cartelli la scritta: “La Turchia non ha riconosciuto il genocidio armeno, ora dobbiamo subire il genocidio yazida”.
Il governo armeno ha inviato agli yazidi aiuti tramite l’Alto Commissariato dell’ ONU per i rifugiati e ha aperto le frontiere per ospitarli sia in Armenia che nel Karabagh. I rifugiati yazidi dei campi in Turchia non possono raggiungere l’Armenia, perché le frontiere sono chiuse, la cortina di ferro ancora attiva, e i curdi dei villaggi non possono andare in aiuto dei loro fratelli.
Gli yazidi oggi trovano ancora rifugio sul Jebel Sindjār, la montagna dove cento anni fa hanno trovato rifugio gli armeni, accolti dal curdo yazida Shero, della tribù degli Hammo, “un giusto per gli armeni”.


Note bibliografiche:

- Yves Ternon, “Le Sindjār:un refuge dans le montagne”, in Revue d’histoire de la Shoah, Ailleurs, hier, autrement:connaissance et reconnaissance du génocide des Arméniens, Centre de Documentation Juive Contemporaine, Paris 2003, N° 177-178

- J.Sémelin, C.Andrieu, S.Gensburger, Le résistance aux genocide. De la pluralité des actes de sauvetage, SciensesPo. Les Presses, Paris 2008

Pietro Kuciukian

Analisi di Pietro Kuciukian, Console onorario d'Armenia in Italia e cofondatore di Gariwo

16 ottobre 2014

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