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“Signore e signori, il 4 giugno 1989 in Polonia è finito il comunismo”

editoriale di Annalia Guglielmi

Le immagini della caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989, e della folla festante che correva lungo il viale degli Under Linden, che tutti abbiamo seguito con emozione alla televisione, sono rimaste nella memoria europea come l’immagine-simbolo della caduta del comunismo nei paesi dell’Europa Centro Orientale. Quello, però, fu il momento finale di un processo di democratizzazione iniziato parecchi mesi prima. In pochi, forse, ricordano che in realtà il “Muro” aveva cominciato a cadere in Polonia con le elezioni del 4 e del 18 giugno dello stesso anno. In occasione del ventesimo anniversario di quegli eventi forse vale la pena ricordare i fatti più importanti che hanno portato al cambiamento radicale della vita di una buona metà del nostro continente.

Dopo l’epopea di Solidarność del 1980, dopo l’introduzione dello Stato di Guerra voluto dal generale Jaruzelski il 13 dicembre 1981, e la detenzione di quasi tutti i capi storici del sindacato, l’opposizione democratica al regime ha continuato a vivere ed operare in clandestinità: sono cresciute le pubblicazioni della stampa libera clandestina e le strutture portanti del sindacato hanno continuato a svolgere la loro opera di aggregazione e solidarietà fra i lavoratori, supportate in questo dalla presenza e dal consiglio dei più eminenti intellettuali polacchi, da Jacek Kuron ad Adam Michnik, a Bronisław Geremek a Tadeusz Mazowiecki, solo per citarne alcuni, e da buona parte degli ambienti legati alla Chiesa. Gli anni che vanno dal 1982 al 1989 sono stati anni di grande fervore intellettuale e sociale e di forti tensioni sociali, che hanno provocato tensioni anche all’interno dell’apparato del partito. Sono stati anche anni in cui è ripresa con maggiore virulenza la repressione del regime: migliaia di esponenti di Solidarność o dell’opposizione sono stati condannati al carcere, o ai campi di internamento o hanno perso il lavoro, e ci sono stati anche alcuni casi di omicidi ad opera dei servizi di sicurezza, basti ricordare che nel maggio del 1983 la polizia uccise a colpi di manganello il diciottenne Grzegorz Przemyk, figlio della poetessa Barbara Sadowska, legata agli ambienti dell’opposizione, e che il 19 ottobre fu rapito e ucciso padre Jerzy Popiełuszko di Varsavia, cappellano di Solidarność fra gli operai dell’acciaieria Huta Warszawa e “ideatore” delle Messe per la Patria, a cui partecipavano ogni mese migliaia di persone insieme ad artisti ed esponenti del mondo della cultura.

È bene ricordare qui le parole con cui Adam Michnik rispose all’”invito” delle autorità a lasciare la Polonia ed emigrare all’estero: “Per me il valore della nostra lotta non sta nelle possibilità di successo e di vittoria, ma nella causa stessa per la quale abbiamo intrapreso la lotta. Che questo mio rifiuto sia un piccolo mattoncino per la costruzione dell’onore e della dignità di questo paese che voi ogni giorno rendete infelice”. Mentre Władysław Frasyniuk scrisse in una lettera aperta ai membri e ai simpatizzanti di Sollidarność: “Dobbiamo essere consapevoli... che ci aspettano anni di lavoro duro e oscuro, tanto da sembrare inutile. Noi dobbiamo diventare speranza a noi stessi, perché a noi spetta oggi il compito di costruire la nostra soggettività”, e Jacek Kuron disse: “Stiamo costruendo oggi la Polonia dei nostri nipoti”. Lo spirito di quegli anni è ben descritto in queste parole: la costruzione nell’oggi di ambiti in cui poter vivere con onore e dignità, in cui la speranza non coincida con calcoli politici o illusioni sull’esito di un cambiamento di sistema, che in quel momento sembrava impossibile.

 
Il 1988 si aprì all’insegna di gravissime tensioni sociali, favorite anche dai cambiamenti in corso Unione Sovietica dopo l’avvento di Gorbatchev. In gran parte del paese si moltiplicarono gli scioperi nelle fabbriche e nelle università: oltre ad un aumento dei salari, la principale richiesta degli scioperanti era il ritorno alla legalità di Solidarność e il 31 agosto si giunse ad un primo incontro tra Lech Wałęsa e il generale Kiszczak, al termine del quale Wałęsa chiese la sospensione degli scioperi, dopo di che ci furono altri incontri con le autorità. Nonostante un’impasse delle trattative, il 18 dicembre fu creato un Comitato Civico presieduto da Lech Wałęsa, la cui popolarità era in costante ascesa.

Tra il dicembre 1988 e il gennaio 1989 si svolse il X Plenum del Comitato Centrale del Partito Unificato Operaio Polacco (POUP) durante il quale il partito prese la decisione di cercare un accordo con Solidarność, anche perché l’ondata di scioperi iniziata nel 1988, nonostante gli appelli di Wałęsa, si era andata via via intensificando: nel solo gennaio 1989 il Ministero degli Interni registrò 49 scioperi cui avevano partecipato almeno 15.000 persone e 2200 altre forme di protesta: cortei, manifestazioni, affissione di bandiere nelle fabbriche, petizioni. Fu in questo clima che si giunse all’apertura dei lavori della Tavola Rotonda, che iniziarono il 6 febbraio e si conclusero il 5 aprile del 1989.

Ai lavori della Tavola Rotonda parteciparono 452 persone, fra cui è bene ricordare alcune fra le figure più importanti di Solidarność e della cultura indipendente, sia laica che cattolica: Zbigniew Bujak, Władysław Frasyniuk, Konstanty Gebert, Bronisław Geremek, Aleksander Hall, Jacek Kuron, Tadeusz Mazowiecki, Adam Michnik, Stanisław Stomma, Jerzy Turowicz, Andrzej Wielowiejski, e, ovviamente, Lech Wałęsa.

In veste di osservatori e garanti furono invitati alcuni vescovi, fra cui il vescovo di Danzica monsignor Tadeusz Gocłowski e il vescovo della Chiesa Evangelica in Polonia, monsignor Janusz Narzyński.

Furono creati tre gruppi di lavoro che dovevano affrontare:

1. la situazione economica e la politica sociale, presieduto da Władysław Bak per il POUP e Witold Trzeciakowski per Solidarność;
2. le riforme politiche, presieduto da Janusz Reykowski per il POUP e Bronisław Geremek per Solidarność;
3. il pluralismo sindacale, presieduto da Aleksander Kwaśniewski per il POUP, Tadeusz Mazowiecki per Solidarność e Romuald Sosnowski in rappresentanza del sindacato legato al POUP.

Le decisioni finali venivano prese e firmate da Lech Wałęsa e dal generale Jaruzelski.
Per tutta la durata dei lavori gli scioperi furono sospesi, salvo qualche tentativo sporadico.
I risultati più importanti della Tavola Rotonda furono:

1. il ritorno di Solidarność alla legalità, che fu registrata il 17 aprile 1989 dal Tribunale di Danzica,
2. la creazione della carica di Presidente della Repubblica, eletto ogni cinque anni,
3. l’accesso dell’opposizione ai mass media, e la creazione di un quotidiano indipendente: Gazeta Wyborcza diretta da Adam Michnik, che è ancora oggi il più importante quotidiano polacco.

Il risultato più importante, però, fu l’accordo per l’indizione delle prime elezioni politiche con la partecipazione di candidati dell’opposizione: le prime elezioni “semi libere” in un paese del blocco sovietico. L’accordo prevedeva elezioni libere al 100% dei 100 candidati al Senato, mentre al Parlamento il 65% dei seggi (299) doveva essere garantito ad una coalizione composta dal POUP, dall’Unione della Sinistra, dall’Unione Democratica e dalle organizzazioni cattoliche filo comuniste, mentre il restante 35% era destinato ai candidati dell’opposizione. Questo accordo aveva valore solo in quell’occasione: le elezioni successive avrebbero dovuto essere totalmente libere.

La Tavola Rotonda non fu una rivoluzione, fu un compromesso, ma diede inizio ad una rivoluzione pacifica, alla transizione alla libertà e alla democrazia, e alla caduta del sistema comunista non solo in Polonia, ma anche negli altri paesi del blocco. Lech Wałęsa la definì “il minimo indispensabile per intraprendere la strada della transizione democratica”.
Il fatto stesso che le autorità di un governo fino a quel momento totalitario avessero accettato di cedere una parte del potere, di fatto significava che avevano ceduto “tutto” il loro potere. Gli stessi rappresentanti del POUP oggi lo ammettono: cedere una parte dei seggi in Parlamento e al Senato, ammettere un sindacato libero e organi di comunicazione indipendenti, per loro era una sconfitta su tutta la linea. Ammettono anche di aver fatto male i loro conti: pensavano che per creare un nuovo quotidiano indipendente ci volessero almeno sei mesi, non immaginavano che i ragazzi che per anni avevano lavorato nella stampa clandestina insieme ai giornalisti di professione sfuggiti al controllo della censura fossero in grado di stampare il quotidiano in tre settimane, e non pensavano neppure che Solidarność fosse in grado di organizzare in modo così efficace i propri comitati elettorali e la campagna elettorale.

Le elezioni si svolsero in due tornate: il 4 e il 18 giugno. Alla prima tornata la frequenza fu del 62% e i candidati dell’opposizione ottennero 160 dei 161 seggi in Parlamento loro riservati e 92 dei 100 seggi al Senato. Nella seconda tornata la frequenza fu molto più bassa e Solidarność ottenne ancora un seggio al Parlamento e sette al Senato, mentre. Quasi tutti i rappresentanti della coalizione di governo riuscirono ad ottenere i seggi loro riservati solo nella seconda tornata.

Il 18 luglio il generale Jaruzelski fu eletto Presidente della Repubblica Polacca, mentre il 24 agosto Tadeusz Mazowiecki divenne il primo Premier non comunista di un paese dell’Est europeo.

Il 28 ottobre 1989 la giornalista Joanna Szczepkowska durante l’edizione serale del Telegiornale della TV polacca pronunciò la memorabile frase: “Signore e signori, il 4 giugno in Polonia è finito il comunismo”.

Annalia Guglielmi

Analisi di Annalia Guglielmi, esperta di Polonia ed Europa dell'Est

29 maggio 2010

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