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Squadre italiane, fate come i calciatori iraniani: sostenete la libertà delle donne

di Gabriele Nissim, presidente di Gariwo

Amo il calcio. Sono un tifoso del Milan. Ma lo sarei potuto essere per qualunque altra squadra. Lo sono diventato per caso, perché mio padre mi portò allo stadio quando avevo cinque anni. Se avesse giocato quel giorno l’Inter, o il Napoli, o la Juve avrei tifato diversamente. Così per caso, come scriveva Salvatore Veca, si nasce donna, uomo, omosessuale, e ci capita di essere ebreo, musulmano, cattolico, e poi italiano, russo o cinese. Se al nostro inizio siamo in un posto, invece che in un altro e abbiamo un certo corpo e una identità di genere non dipende da una scelta. Per la consapevolezza di questa casualità che caratterizza tutti gli esseri umani, dovremmo essere empatici per ogni destino del singolo, in ogni angolo del mondo. Suggerisco sempre un gioco, che propongo poi a me stesso. Cosa sarei stato se fossi nato donna in Iran, arabo in Israele, gay in Arabia Saudita, uiguro o tibetano in Cina, armeno o curdo in Turchia?

Quando sono allo stadio amo tifare, immedesimarmi nella squadra, gioire per un gol, gufare contro la squadra avversaria. Ma cerco, anche se ci riesco poche volte, di farlo con ironia, perché la mia gioia o tristezza non corrisponde a quella del tifoso dell’altro campo. Ibrahimovic, giocatore del Milan, ha detto con grande sincerità che non capisce come un giocatore, quando realizza un calcio di rigore ringrazi Dio, quando nello stesso momento quello stesso Dio non ha aiutato il portiere.

Che quel Dio non sia proprio uguale per tutti e sia usato per umiliare le donne ce lo hanno ricordato i giocatori della nazionale iraniana, che con un gesto clamoroso hanno indossato un giaccone nero sulla loro maglia al momento della presentazione della loro squadra sul campo, prima della partita con il Senegal.

Hanno voluto così protestare per la sottomissione forzata delle donne nel loro paese. Hanno tifato per le donne offese, umiliate e costrette dalla polizia morale ad indossare il velo, forse immaginando che anche loro avrebbero potuto vivere in quella condizione. È questa l’empatia alla sorte degli altri che tutti dovremmo avere.

Mi piacerebbe che quel gesto clamoroso venisse riproposto in tutti gli stadi italiani perché l’offesa delle donne iraniane ci riguarda tutti.

Non so se in un paese che spesso non riesce più a comprendere la gerarchia dei valori una simile protesta sia realizzabile. Ma forse chi ama come me il calcio lo può comprendere meglio, perché i messaggi dei calciatori qualche volta possono avere effetto.

Ad ogni modo, domenica andrò allo stadio con una maglia nera ed inviterò tutti i miei amici a fare lo stesso. Andrò a tifare per le donne iraniane e guferò con forza contro i tiranni di Teheran.

E questo non è più un gioco.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

30 settembre 2022

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