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Stereotipi che non tramontano

di Viviana Kasam

Ho recentemente scovato tra i ritagli di archivio un articolo apparso nel 1896 su The Journal, autorevole quotidiano newyorchese di William Randolph Hearst, in cui, con dovizia di dati “scientifici” e arbitrari disegni “prima e dopo”, si spiegava come la cultura imbruttisce le donne e quindi è giusto scoraggiarle dallo studio, in quanto l’uomo ha bisogno della loro bellezza.

Sembra una teoria preistorica, nella nostra epoca di #metoo, eppure gli stereotipi sono ancora ben radicati, e in ambenti apparentemente insospettabili.

È uscita ieri sul Corriere della Sera, e pag. 7, una pubblicità della Pfeizer, il colosso farmaceutico americanoche mostra un giovane uomo attraente intento a studiare al microscopio, con sopra la scritta “NOI DICIAMO SCIENZA”. E vis-a-vis, sull’altra metà della pagina, una biondina con sorriso ebete e sguardo rivolto al cielo, e sopra la scritta “TU DICI INDOSSARE” , corredata da una lunga spiegazione: “da qualche tempo Lucia non riusciva più a guardarsi allo specchio. Non si piaceva, non vedeva più il suo corpo, ma solo la sua malattia. La vita di Lucia è però cambiata grazie ai progressi scientifici (n.r. fatti solo da uomini, si suppone). Oggi è tornata alle sue passioni (n.r. la moda, perché che altre passioni potrebbe avere una giovane donna?), a prendersi cura si sé, a indossare il suo vestito preferito”. Segue il pay off dell’azienda: “traduciamo la scienza in vita”.

Ovvero gli uomini studiano, fanno ricerca, con la loro dedizione promuovono il progresso scientifico, che si traduce, per l’altra metà del cielo, nella possibilità di indossare toilettes, si suppone griffate e anche un po’ sexy. Impossibile immaginare che una donna malata sogni di tornare al lavoro, allo studio, ad accudire i figli, a utilizzare il cervello.

Ai creativi che hanno creato questa pubblicità forse sfugge che nelle università le donne spesso superano in percentuale gli uomini, che negli Stati Uniti hanno conseguito il 50% dei dottorati, che tra il 1901 e il 2010 quarantacinque donne hanno ricevuto il Nobel, di cui 17 in discipline scientifiche, nonostante le difficoltà che ancora le donne incontrano dovuto a sessismo e discriminazioni implicite o esplicite.

Purtroppo sono conquiste minacciate dal suprematismo maschile che sta tornando ad affermarsi. Basta guardare quello che succede in America, solo poche ore dopo la scomparsa della giudice della Corte Suprema, Ruth Bader Ginsberg, che tutta la vita lottò per garantire pari dignità e pari opportunità per le donne. Al suo posto Trump sta cercando di nominare una cattolica superconservatrice, convinta antiabortista, madre di sette figli, di cui due adottivi, affiliata a un gruppo di oltranzisti cristiani radicali, People of Praise, che si giurano aiuto reciproco e sono sottoposti a una guida spirituale con la quale devono confrontarsi prima di prendere decisioni. Se riuscisse a passare il vaglio del Senato, a maggioranza repubblicano, la Barrett, per la giovane età, 48 anni, potrebbe influenzare negativamente per qualche decennio la politica statunitense nei confronti delle donne.

Non sembra meglio la situazione in Cina, dove la popolazione femminile è in subbuglio per uno sceneggiato televisivo dedicato all’eroica battaglia per combattere il Covid, in cui l’uomo incaricato di radunare autisti per una serie di «viaggi possibilmente senza ritorno», osservando che si sono fatti avanti solo uomini chiede: «C’è almeno una compagna disposta a rischiare? Tu, là seduta: ti offri volontaria?». La donna però declina l’invito, sostenendo che deve occuparsi «dei familiari arrivati a festeggiare il Nuovo Anno». In realtà, secondo il Quotidiano del Popolo, come spiega Paolo Salom nella newsletter America-Cina del Corriere della Sera, dei 40 mila medici e paramedici confluiti nell’epicentro della pandemia, i due terzi erano donne. E l’agenzia di Stato Xinhua (Nuova Cina), conferma che più della metà dei medici partiti da Shanghai per Wuhan erano donne; così come il 90 per cento (!) dei paramedici. Ma nonostante i progressi e i cambiamenti, spesso pubblicità e sceneggiati sono realizzati da uomini, vittime consenzienti di stereotipi tradizionali. Così diffusi che una pubblicità senza ombra di dubbio sessista, può essere stampata su uno dei più autorevoli quotidiani italiani senza che nessuno la blocchi o protesti. Nel 2020, non nel 1896.

Viviana Kasam

Analisi di Viviana Kasam, giornalista e presidente Brain Circle Italia

22 settembre 2020

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