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Su Marek Edelman

di Paula Sawicka

1.01.1922, Varsavia – 2.10.2009, Varsavia

"L'odio è facile,

l'amore richiede

sforzo e sacrificio ".

Nel maggio del 1943, con pochi superstiti e passando dalle fogne Edelman lascia il Ghetto di Varsavia e consegna una relazione ai suoi superiori. Nel 1945 pubblica il report "Il ghetto sta combattendo" (Getto walczy) ma per i successivi trent’anni non ci sono sue dichiarazioni pubbliche. Di conseguenza, pochissimi partecipanti alle celebrazioni ufficiali nelle successive commemorazioni (Rivolte di Varsavia - 1943 e 1944) avrebbero saputo dell'esistenza del commilitone, membro dello Stato Maggiore dell’Organizzazione ebraica di combattimento (Żydowska Organizacja Bojowa), e nemmeno dell'unico comandante dell’insurrezione nel ghetto a vivere in Polonia. La sua voce non è in linea con la politica della Repubblica Popolare Polacca che non ne riconosce i meriti. Solo Hanna Krall riesce a farci conoscere il suo pensiero che scaturisce dalle sue esperienze belliche. Tuttavia la sua non è la testimonianza di un veterano e nemmeno una pagina di diario o di memorie; quella di Edelman è la voce di chi insegna e mette in guardia. "Fondamentalmente, la vita stessa è la cosa più importante. E quando c’è la vita, la cosa più importante è la libertà. Dopo di che si sacrifica la vita per la libertà. E allora non si sa più qual è la cosa più importante." "Indipendentemente da chi è la vittima oppressa, bisogna stare dalla sua parte. Bisogna darle una casa, nasconderla nel seminterrato, senza paura e sempre opponendosi a coloro che vogliono opprimere". "Non si deve essere passivi di fronte al male. Anche il testimone indifferente che ha voltato la testa dall’altra parte è responsabile; per tutta la vita sarà contaminato dal male che ha cercato di non vedere ". "Coraggio? Non so cosa significhi. Non esiste una cosa del genere. Nella tua mentalità è che, stai facendo qualcosa che ritieni necessario, che devi farlo. Non per coprire il tombino con il tuo corpo. Ma perché ci sono compagni e devi aiutarli - non è una questione di coraggio, è un’espressione di amicizia, solidarietà, fiducia e amore." "Il patriottismo è estremamente simpatico, il nazionalismo è estremamente disgustoso". Marek Edelman viene spesso menzionato a proposito della rivolta nel ghetto, momento fondamentale nella sua adolescenza. Comunque nella sua biografia, contraddistinta da grande coerenza, troviamo sia l’opposizione al regime, che l'attivismo sociale e l’introduzione d’innovativi trattamenti chirurgici per malattie cardiache. Vive novant'anni, fedele ai valori appresi durante la sua attività giovanile nell’Unione Generale dei Lavoratori Ebrei (Bund), interessato alla politica e alla quotidianità degli individui. Si batte per i meno fortunati e il suo lavoro è così imponente che non sembra fatto da una persona sola.

Cofondatore della resistenza civile nel ghetto di Varsavia e dell’Organizzazione ebraica di combattimento (ŻOB), nel dopoguerra costantemente rifiuta di appoggiare il nuovo regime dal quale viene continuamente perseguitato. Medico eccezionale, con grande abnegazione agisce per il bene dei propri pazienti. Dagli anni Settanta è attivista dell'opposizione democratica e del movimento da cui nacque Solidarność. Il 13 dicembre 1981 Marek Edelman viene internato e poi immediatamente liberato grazie alla pressione dell'opinione pubblica mondiale, divenendo una figura di spicco del clandestino Solidarność. Nel 1983 agisce per il boicottaggio mondiale dell'anniversario della rivolta nel ghetto organizzato dai generali della legge marziale, in quanto privi del diritto morale a tali celebrazioni. Ne conseguono cerimonie indipendenti, che cinque anni dopo si trasformano in una gigantesca manifestazione antigovernativa. Diventa allora membro del Comitato dei Cittadini istituito da Lech Wałęsa nel 1988 e - in qualità di entusiasta portavoce dei cambiamenti nel Paese - partecipa alle storiche trattative della Tavola Rotonda. La sua voce non si fa sentire solo in Polonia e negli anni Novanta intraprende azioni a difesa di Sarajevo e del Kosovo, partecipando a pubblici dibattiti e guidando un convoglio umanitario e indirizzando lettere aperte ai leader mondiali. Le sue parole sono citate anche dal presidente Clinton in Ruanda e Zaire contro le crudeltà perpetrate in Sudafrica, Israele e verso i Rom polacchi e della Repubblica Ceca. Contribuisce al rilascio della poetessa e dottoressa albanese Flora Brovina e successivamente si impegna perché i bambini dell'ex Jugoslavia, colpita dalla guerra, possano usufruire delle cure in Polonia. Nonostante richieda l'intervento militare in Kosovo, ritenendo che la dittatura si potesse sconfiggere solo con la forza, diventa membro del comitato a sostegno del movimento delle donne contro la guerra. Il premio in memoria di Anna Politkovskaja riconosce il valore alle donne impegnate per i diritti umani nei conflitti.

(Committee of Supporters RAW in WAR – Reach All Women in War).

"Noi sopravvissuti Ve lo lasciamo, in modo che il loro ricordo non scompaia" - con queste parole Marek Edelman conclude il racconto "Il ghetto sta combattendo", dove emerge il suo impegno a ricordo delle persone e dei loro ideali.

Purtroppo Edelman è consapevole che i crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale non sarebbero stati un monito per le generazioni futuro: "La democrazia e la libertà non sono date una volta per tutte, devi lottare per queste ogni giorno".

Trentadue anni fa sono stata fortunata a incontrare Marek Edelman, meritare la sua amicizia e fiducia, inseparabili dalla responsabilità, affinché le generazioni future conservino questa memoria e professino tali valori. 

Paula Sawicka

Analisi di

Traduzione di Bernadeta Grochowska

21 aprile 2020

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