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Trovare la parola giusta

di Gabriele Nissim

Bisogna dare un nome preciso a quanto accade oggi nel mondo arabo islamico, con l’avanzata dell’Isis e gli attentati che si susseguono in quei Paesi e colpiscono anche i cittadini europei.

Se non si fa chiarezza, si rischia di cadere in due errori di tipo opposto: farsi prendere da un sentimento di paura e di angoscia, come se fosse ineluttabile che la religione islamica produca automaticamente un certo tipo di mostri - come scriveva anni fa Oriana Fallaci - e ipotizzare quindi la costruzione di muri tra noi e loro, venendo meno qualsiasi ipotesi di cambiamento; oppure lasciarsi andare a un sentimento di rassegnazione e impotenza, come se la situazione di quei Paesi non ci riguardasse da vicino e non rappresentasse una sfida che tutti noi siamo chiamati ad affrontare. Molto spesso questa abdicazione della nostra responsabilità viene paradossalmente giustificata con gli errori dell’Occidente. 

Tutto quando accade sarebbe, come scrive Massimo Fini, una conseguenza delle frustrazioni arabe a seguito delle sciagurate guerre americane in Afghanistan e in Iraq, o della miope politica israeliana nei confronti dei palestinesi. Dunque quei mostri che oggi abitano quel mondo li abbiamo generati noi stessi, e quindi non possiamo avere una legittimità morale per fare sentire la nostra voce.

Questo tipo di ragionamento, apparentemente lucido dopo i gravi errori della politica americana, non tiene conto che ogni regime violento nella storia si è sempre giustificato facendo del vittimismo il fondamento delle sue azioni. Hitler ha usato ad arte l’umiliazione del suo Paese per la pace di Versailles, e ha cominciato la persecuzione degli ebrei, facendo della Germania la vittima fantasiosa della cospirazione ebraica; i Giovani Turchi hanno giustificato il genocidio degli armeni con la simpatia che questa minoranza aveva espresso per la Russia durante la prima guerra mondiale; gli hutu hanno massacrato i tutsi ricordando i precedenti conflitti etnici. Non esiste Paese che non erediti delle ingiustizie, come del resto capita ad ogni essere umano, ma se si considera il nuovo male come un risultato del passato, si toglie agli uomini lo spazio della libertà e della responsabilità. A questo punto chi è stato umiliato può avere il diritto di fare ciò che vuole, fino alla violenza estrema in una catena senza fine. Ecco il grave errore di chi considera la genesi del male come un effetto indotto da cause precedenti.

La mia proposta è che si usi il temine di integralismo islamista omicida per definire la nuova corrente politica che attraversa il mondo arabo e musulmano. Non si tratta infatti di un fondamentalismo assimilabile a quelli che governano l’Iran o l’Arabia Saudita, ma di un fondamentalismo che teorizza e predica l’eliminazione dei cristiani, degli ebrei e di tutti coloro che sono indicati come nemici dell’Islam. La grande novità è che presenta ai suoi adepti l’omicidio e l’assassinio dei cosiddetti infedeli come una virtù morale da premiare con grandi onori, dalla distribuzione delle donne come preda di guerra, alla gratificazione politica in terra e al miraggio del paradiso assicurato. Ciò che colpisce dai video che vengono postati sul web è la passione che i carnefici mostrano nell’esibire le proprie vittime, quando nella storia i regimi genocidari hanno sempre cercato di nascondere le prove dei loro misfatti. Una delle caratteristiche di questo integralismo omicida è la sua vocazione universalistica, in quanto si presenta non solo come una proposta unificante per tutto il mondo musulmano, ma anche come ipotesi di redenzione di tutto l’Occidente. Ecco perché i suoi militanti sono chiamati ad agire in Europa come nei suoi fronti di battaglia - dall’Iraq, alla Siria, alla Libia.

Oggi la sua forza non risiede solo nelle regioni che i guerriglieri dell’Isis occupano nell’area mediorientale, ma nella capacità di attrazione che esercita sul web e che fa sognare molti giovani musulmani che immaginano così di partecipare a un movimento di emancipazione, come del resto è già capitato in Europa con i giovani che nel '68 aderivano alle pratiche terroristiche delle Brigate Rosse o della Baader Meinhof.

Qualcuno potrebbe obiettare che questo integralismo omicida sia cresciuto all’ombra dell’ideologia dei Fratelli musulmani o di regimi fondamentalisti come l’Iran e l’Arabia Saudita, dove certamente le donne soffrono una condizione di inferiorità e dove sono promosse delle leggi che limitano le libertà e colpiscono le diversità. Certamente un’influenza c’è stata e dobbiamo guardare con occhio critico a questi regimi, ma è necessario cogliere la novità ideologica di questi gruppi politici.

Per intenderci, la differenza tra l’Isis e gli altri regimi fondamentalisti ricorda, con tutte le proporzioni del caso, quanto avveniva nei confronti degli ebrei tra le due guerre mondiali. Erano deprecabili i regimi come la Polonia, l’Ungheria, l’Italia di Mussolini, che proponevano e votavano leggi antisemite per colpire nelle professioni la minoranza ebraica, ma ben altra cosa era il nazismo che agitando la bandiera dell’antisemitismo mirava alla soluzione finale. Chi allora non colse questa differenza non fu poi capace di cogliere la genesi di quella barbarie che avrebbe insanguinato l’Europa.

Se si fa chiarezza su questo integralismo omicida, un fenomeno completamente nuovo, c’è allora la possibilità di creare un fronte ampio di resistenza in tutto il mondo arabo.

Ci vorranno certamente anni per superare le concezioni diverse sulla donna e sulla laicità nel mondo arabo, ma si può subito trovare un’ampia convergenza per lottare contro chi propone l’eliminazione degli esseri umani. Europei e musulmani possono marciare insieme contro questo nemico. La mobilitazione nelle piazze di Tunisi contro il terrorismo integralista è un grande esempio che ci fa ben sperare.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

27 marzo 2015

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