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Tutto passerà, è solo un clown

di Gabriele Nissim

Forse la cosa più inquietante di queste elezioni è come l’idea di Europa venga svilita e banalizzata da molti protagonisti della sfida elettorale. Non solo per gli attacchi a Bruxelles, come se i problemi del nostro Paese dipendessero esclusivamente dall’Euro o dalla politica tedesca, ma soprattutto per il linguaggio politico che è stato utilizzato. Per la prima volta dopo tanti anni si sono presentate sulla scena pubblica delle formazioni politiche che hanno messo in discussione alcuni dei valori fondanti della cultura europea.

I padri fondatori dell’Europa avevano fatto propria le lezione dei nazionalismi, dei totalitarismi, delle guerre fratricide del Novecento per costruire una cultura che eliminasse l’idea di nemico, che esaltasse il valore del pluralismo e della tolleranza, che creasse i presupposti del rispetto dell’altro, non solo nei confini nazionali, ma nel contesto internazionale.

Chi, come Armin Wegner, fu uno dei primi oppositori di Hitler ed ebbe il coraggio nel 1933 di prendere posizione contro le leggi antisemite, lo fece in nome dei valori comuni della cultura europea. Era un pacifista che non si arrendeva di fronte a chi voleva istillare l’odio nel suo Paese e si appellava all’idea di una patria comune europea che superasse le divisioni nazionali e riconoscesse i diritti di tutte le minoranze. Chi nel totalitarismo comunista combatteva per la libertà lo faceva in nome della sua appartenenza all’Europa.

Milan Kundera, Václav Havel e Jan Patočka
, protagonisti a Praga della resistenza morale al comunismo, sostenevano che si sentivano europei e non sovietici perché amavano la democrazia, il gusto della discussione, il confronto libero delle opinioni. Parlavano di responsabilità personale, del valore della coscienza, del gusto di costruire assieme il futuro con persone che la pensavano diversamente. Mentre il comunismo divideva il mondo in modo manicheo, definendo di volta in volta i buoni ed i cattivi, gli amici e i nemici, e li additava al pubblico disprezzo, i protagonisti del dissenso esaltavano la pluralità e il gusto della differenza. Amavano confrontarsi secondo il metodo dell’Accademia greca, partendo dal presupposto che non bisognava avere una tesi precostituita, ma che bisognava vivere assieme un percorso dialogico, per avvicinarsi di volta in volta ad una verità che veniva considerata sempre incerta e mai definitiva. C’era sempre qualche cosa di sbagliato, quando c’era qualcuno che si vantava di avere totalmente ragione. Il valore del dubbio, come scrisse Wegner allo scrittore Maxim Gorki in un suo viaggio a Mosca nel 1927, divideva i democratici europei dai comunisti di Lenin e di Stalin.

Immaginiamo allora cosa potrebbe pensare Václav Havel, alla cui leadership la Cekia deve il ritorno alla democrazia, di fronte al Movimento Cinque Stelle che espelle dal proprio gruppo tutti coloro dissentono, che nelle sue pagine web istiga all’odio nei confronti dei politici e giornalisti che divergono dalle loro opinioni, che propone su Internet la creazione di tribunali popolari che mettano alla gogna quanti considerano nemici del bene pubblico. Il defunto presidente ceco probabilmente direbbe che si vuole distruggere ciò che faticosamente il suo Paese ha riconquistato. Si uccide, infatti, l’idea di Europa e si ripropone il linguaggio del totalitarismo, quando in nome di una purificazione della società dalla corruzione si auspica l’eliminazione dei cosiddetti nemici in ogni ambito politico, sociale, produttivo. Qualcuno obbietterà che queste idee sono solo virtuali e che si consumano solo nella rete, ma le parole che diventano senso comune, possono trasformarsi in pietre e diventare un’ideologia pericolosa. Ciò che colpisce è l’assuefazione di così tanta gente a questi messaggi, come se si trattasse di una benefica provocazione che serva  a scuotere le istituzioni. Sono fino ad ora pochi gli intellettuali che prendono sul serio le parole di Grillo.

Armin Wegner
ricorda che davanti ai suoi ragazzi a Berlino nel 1924 faceva la parodia di un uomo che allora gli sembrava un clown. Quel leader che riempiva le piazze in Germania parlava in modo apocalittico e sosteneva la lotta finale tra il bene ed il male. Se vinceva il suo partito tutti sarebbero andati a casa e sarebbe iniziata un nuova era. Bastava purificare la società dai parassiti e dai corrotti: allora erano gli ebrei.

Anche Wegner non dava importanza a quelle parole e scherzava in famiglia, prima di comprendere la deriva della Germania. “Quello è matto, ridiamo di lui. Forse un ebreo gli ha dato un cazzotto da piccolo a Vienna e ancora non ha smaltito la sua rabbia giovanile. Tutto passerà.”

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

22 maggio 2014

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