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Ulianova Radice, la bellezza delle persone buone

di Gabriele Nissim

Chi è la persona buona, si chiede Agnes Heller, la grande filosofa ungherese?
È la persona che sceglie di essere giusta e retta.
È la persona che accetta il suo destino, la sua nascita, la sua origine, il suo corpo, il suo ambiente. Non dice di essere condizionata da altri, ma sceglie di essere quella che è. Accetta con un atto di libertà il suo a priori genetico e sociale. Non lo considera un peso, un macigno, ma una opportunità da sviluppare per tutta la vita.

È la persona che non dirà mai che non si sente responsabile perché non è stata amata da piccola o che è stata costretta dall’ambiente a fare certe cose, ma si assumerà una responsabilità per ogni sua azione perché ha scelto tutte le sue inclinazioni e gli aspetti del suo carattere.
È la persona che non mente a se stessa e agli altri ed è capace di mantenere delle promesse. È la persona che scrive l’indirizzo sulla busta che le è stata recapitata quando è stata gettata nel mondo. La nascita non è dipesa da lei, ma il fine della sua vita dipende dalla sua responsabilità. È lei che sceglie verso dove andare.

È la persona che scegliendo di essere giusta nella vita, prima di intraprendere qualsiasi azione si domanderà se quello che sta per fare sia giusto o sbagliato e se possa fare male a delle altre persone. Forse dirà, come Socrate, che è sempre meglio subire un torto, piuttosto che fare un’ingiustizia. E se non è riuscita a realizzare le sue promesse o ha commesso degli errori, sarà la prima ad ammetterlo e a dirlo a se stessa e agli altri in tutta onestà.

È la persona che segue la sua vocazione, ma non crede di essere una santa e di poter prendere in mano le sorti del mondo. Si sentirà responsabile prima di tutto per le persone che le sono vicine e nello spazio di sovranità dove può fare sentire la sua voce. Occuparsi del mondo in astratto non solo è impossibile, ma è un modo di sottrarsi a una responsabilità concreta.

È la persona che ha scelto di diventare un centro morale, pur sapendo che commetterà degli errori, che non sempre vedrà le cose nel mondo giusto e che dovrà molte volte chiedere perdono.

È la persona che sceglie di percorrere fino in fondo la sua vocazione professionale, ma che come Marco Aurelio decide di fare ogni mattina il suo mestiere di uomo, pur sapendo che qualche volta le due identità possono entrare in conflitto.
È la persona che sa che la responsabilità verso se stessi può entrare in conflitto con gli altri e che spesso accade che, quando si vuole aiutare qualcuno, si rischia di diventare indifferenti o persino fare del male a qualcun altro. Non esiste responsabilità che non produca conflitti. Ecco allora perché la parte più difficile è quella di fare dei compromessi morali che tengano insieme in qualche modo i bisogni di tutti. Non esiste mai la possibilità di esercitare un imperativo categorico kantiano assoluto. Esiste dunque l’arte del bene umanamente possibile.
La persona che decide di comportarsi in modo retto sarà sempre fragile e parziale. 

Come si può sapere se una persona ha scelto di essere una persona buona? Possiamo forse carpire il suo segreto? Kant sostiene che non lo si può mai sapere per certo, anche se qualcuno in una narrazione potesse rievocare la sua esperienza.

L’unico criterio di riconoscimento possibile di una persona buona è il suo carattere. E il carattere di una persona non solo mostra pubblicamente la sua determinazione, la sua forza di contrasto e di resistenza, ma trasmette alla società una bellezza particolare. 
È un tipo di bellezza che ci dà piacere ed emozione come se fosse un’opera d’arte vivente. Ci trasmette gioia, fiducia, serenità. Conoscere una persona che si muove in modo disinteressato, che è pronta ad aiutare gli altri, a riconoscere i propri errori, ci dà allegria e ha la forza magica di cambiare la nostra percezione del mondo e di illuminare la natura circostante.

Sappiamo tutti che una fotografia di un panorama dove nello sfondo c’è una persona che amiamo rende più ricco e più bello l’ambiente naturale.
La persona buona che ci sta attorno soddisfa il nostro gusto estetico.

Ecco perché sbagliano i Vangeli quando dicono che chi compie del Bene deve rimanere anonimo e nascosto. È come se si nascondesse in un caveau sottratto alla vista delle persone la Venere di Botticelli o la Gioconda di Leonardo.
Le persone belle devono essere conosciute e fatte conoscere perché ci rendono una vita migliore.
È probabilmente indice di una decadenza quando la società non è in grado di riconoscerle e premia invece gli arrivisti che cercano la fama, il potere, il successo mediatico senza mai prendersi cura degli altri.

Ho rivisitato alcune riflessioni di Agnes Heller, pensando alla mia cara amica Ulia che ci ha lasciati. Aveva un carattere duro e ostinato che a prima vista sembrava persino intransigente, ma dietro a tutto questo c’era una storia magnifica di responsabilità verso gli altri e il mondo circostante.

Non amava l’approssimazione di quanti si muovono con una presunzione di superiorità morale e sono solo capaci di cercare gloria e applausi e non si preoccupano di costruire. Se oggi Gariwo è una struttura efficiente di persone che lavorano con passione e con professionalità, lo dobbiamo a lei. Ci ha lasciato un’eredità vivente nel modo di lavorare delle persone che tengono in mano tutta la struttura della nostra associazione e di quanti ci seguono in tutto il Paese.

Aveva accettato il suo destino personale e la provenienza da una famiglia difficile che credeva nell’Unione Sovietica di Stalin, ma da questa esperienza ne aveva tratto la forza per diventare non solo protagonista del ‘68, ma per fare anche nella sua tesi una riflessione critica sul totalitarismo. Aveva studiato il politologo israeliano Jacob Talmon, il grande critico della volontà popolare di Rousseau, che metteva in guardia da chi, professandosi rappresentante unico del popolo (ieri i soviet e oggi la rete), voleva scardinare la democrazia politica. Così era poi diventata sostenitrice attiva dei movimenti democratici dell’Est europeo.

Aveva tenuto sempre fede alla promessa che si era fatta fin da giovane: operare per il bene, mettendo sempre in discussione tutti i pregiudizi. Non le interessavano le etichette politiche, ma il valore delle persone. Infatti le piaceva molto l’espressione “buone pratiche”, perché per lei contavano i fatti e i comportamenti, e non le dichiarazioni di intenti, buone o mediocri che fossero.

Amava molto battersi contro l’ingratitudine, e per questo negli anni Ottanta con grande intuito aveva dato valore ai combattenti isolati contro la mafia e oggi con lo stesso spirito aveva visto nei Giardini dei Giusti il luogo più adatto per riconoscere gli uomini che avevano lottato contro i genocidi e i totalitarismi.

Al suo sostegno devo molto dell’avventura della mia vita. Ha creduto in me, quando nessuno ci credeva. Mi ha aiutato e incoraggiato nella scrittura dei miei primi libri e mi ha sostenuto nella realizzazione dei documentari clandestini nell’Europa comunista.
Ha creduto in Gariwo e l’ha costruita con me, quando tutti ci consideravano dei pazzi. Ha tenuto in mano le redini del Giardino dei Giusti di Milano, resistendo a gelosie e incomprensioni e supplendo con il suo lavoro silenzioso alla lentezza della burocrazia.
Mi mancherà molto il confronto quotidiano con lei, dove ci spendevamo in animate discussioni prima di trovare un accordo.

Il migliore amico non è solo chi ti vuole bene, ma, come scriveva Cicerone, è quello che ti sollecita a seguire la strada migliore. Ecco perché quel tipo di bellezza di una persona buona di cui parla la Heller non solo mancherà a me, ma a tutta Gariwo. Ora abbiamo un compito inaspettato che non mi sarei mai immaginato: raccontare la sua bellezza morale con la continuazione del nostro lavoro.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

18 ottobre 2018

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