L'intervento di Tetyana Bezruchenko (Forzaucraina.it) in occasione della Giornata per la libertà di stampa al Giardino dei Giusti di Milano "La guerra oltre la propaganda - Il racconto indipendente dei fotoreporter ucraini e dei dissidenti russi".
Essere qui con tante persone straordinarie che lottano per la libertà di stampa, di parola, per me è un grande onore, ma anche un grande dolore, perché significa che siamo lontani dal traguardo.
Spesso cito Liliana Segre. Lei ha il dono di trasformare le cose difficili e complicate in immagini molto lineari e trasparenti. Parlando della sua vita e raccontando il genocidio del popolo ebraico, ha detto una frase che mi colpito molto per la sua immensa semplicità e profondità nello stesso momento. Nonostante abbia i capelli grigi e dei nipoti, Liliana Segre dice: “Sono per sempre rimasta una bambina a cui è stato negato il diritto di andare a scuola”.
Questa frase mi ha fatto riflettere molto. Un diritto negato non ha termini di scadenza. Si possono recuperare gli anni scolastici, ma per riavere i diritti negati bisogna lottare. Bisogna lottare non solo per se stessi, ma affinché i diritti siano rispettati per tutti.
Quando ho ricevuto l’invito per partecipare alla giornata di oggi, ho pensato subito a un libro che avevo letto in formato elettronico poco meno di 18 anni fa. Ero in Messico e leggevo in russo il libro che si intitola “La formica nel barattolo di vetro” di Polina Zherebtsova, un diario tenuto dal 1994 al 2004 da una bambina che ha vissuto a Grozny, in Cecenia. Polina aveva cominciato a scrivere il suo diario nel 1994 quando aveva soltanto 9 anni.
Nelle semplici parole scritte da bambina che affidava al diario i suoi pensieri l’immagine che mi ha colpito di più erano i corpi dei civili uccisi in strada e i cani abbandonati che li depredavano. Lì, in Messico, sotto le palme e a bordo di una piscina, ero immensamente colpita e addolorata per quello che avevo letto, ma non era lontanamente pensabile per me che questa immagine si avverasse anche nella mia città natia, a Mariupol nel 2022.
Le case cieche, sventrate, distrutte non rappresentano soltanto le sedie, tavoli, letti e orologi, rappresentano la vita, i ricordi, i destini di persone che li hanno vissuti. Rappresentano la sicurezza con cui ognuno di noi riempie la parola “casa”.
Spesso sento dire “non è la prima guerra” e io vorrei fare l’eco: “non è la prima guerra”.
L’anno scorso ad aprile sono stata inviata ad un evento sulla pace, nelle Marche, organizzato da alcune persone meravigliose con un cuore grande che aiutano ragazzi e ragazze afgane a fuggire dal regime dei talebani e poter continuare i loro studi in Italia. Queste persone meravigliose ci hanno riuniti sotto la bandiera della pace e noi tutti, afgani, siriani, ucraini volevamo la stessa pace: pace senza un regime, senza una dittatura.
Mentre testimoniavo come i kadyrovtsy, cioè i mercenari ceceni che hanno accettato la pace con Mosca nel 2004, dopo 10 anni di guerra d’indipendenza, massacravano la mia città Mariupol, la mia scuola, la mia casa, dove si nascondeva mia madre...
Asmae Dachan, scrittrice e docente universitaria di origine siriana mi ha sostenuto dicendo: “Mariupol e Aleppo sono le città sorelle. Sono state entrambe distrutte dall’esercito della Federazione Russa".
Ma il problema più grave che oggi c’è in Siria è che dal 2011, da quando è iniziata la guerra contro il regime di Bashar al-Assad, è cresciuta una generazione di bambini che non hanno visto nulla oltre la guerra. Per loro la guerra è la normalità. Oggi questi bambini, che hanno vissuto nelle case distrutte, con il diritto alla pace negata, oggi non hanno lavoro e per guadagnare vanno a combattere in Ucraina da parte del regime di Mosca che aveva distrutto le loro case, i loro destini.
Circa sei mesi più tardi in un altro incontro a cui mi ha invitato Asmae Dachan, ho mostrato il video del mio quartiere, che è stato completamente distrutto durante l’assedio di Mariupol: più di 70 case da 5 a 14 piani, 4 scuole, asili, negozi sono diventati fantasmi. Ma la cosa più insopportabile è che gli occupanti hanno deciso di aprire il cantiere per costruire lì un quartiere di lusso in riva di mare, abbattendo le case, senza liberare corpi di centinaia persone che sono rimasti sotto le macerie.
“Lo stanno facendo anche ad Aleppo” - di nuovo mi ha sorpreso la mia mia amica siriana Asmae Dachan - “Costruiscono gli alberghi di lusso sui cadaveri di persone, che sono rimaste sotto le macerie".
Le case distrutte non solo i muri, i mobili i tappeti, sono i ricordi, sono le tradizioni, sono i destini.
Si può pensare che quelle case riguardano un destino di quei popoli così lontani, così diversi e non ci toccheranno mai! Io però non ho più illusioni...
Queste immagini di case sventrate hanno un messaggio universale: i bambini a cui è stato negato il diritto di andare a scuola in futuro possono avere due strade, lottare per i diritti o diventare uno strumento nelle mani di coloro che quei diritti li hanno loro negati.

Analisi di Tetyana Bezruchenko, responsabile dell'associazione culturale italo-ucraina Maidan di Milano e del progetto forzaucraina.it