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Un punto di vista sull'educazione

dal Seminario insegnanti alla quinta edizione di GariwoNetwork

Innanzitutto mi preme comunicarvi che condivido la vostra forte preoccupazione per il momento storico che stiamo attraversando. É necessario “presentare sempre le forze della notte”, perché la notte esiste, convive con noi e per questo è urgente scalfire l’indifferenza, batterla in breccia con azioni di solidarietà. Esse possono impedire che si consolidi il pensiero che quello che accade non ci riguardi. Inoltre ho una profonda stima per il lavoro che anni svolgete, che in passato ho anche condiviso direttamente.

Premetto che a causa della pandemia ho dovuto cessare qualsiasi attività nella mia scuola (ho coordinato due progetti di Asl dopo il pensionamento), che non verranno più riprese. In seguito a questi progetti e per motivi personali la mia attenzione si è focalizzata sulla situazione dei rifugiati e richiedenti asilo, sulle problematiche connesse all’integrazione, sulle discriminazioni e sulle tematiche interculturali. Il mio impegno non è più nella scuola ma in questo settore.

Vi scrivo perché ho pensato fosse utile sottoporre alla vostra attenzione alcune osservazioni in relazione a delle criticità che mi sembra di aver individuato.

L’obiettivo da raggiungere nell’ambito della formazione non è appena la sensibilizzazione ma dei risultati durevoli. Servono quindi dei percorsi formativi che abbiamo delle chances di successo.

Educazione e percorsi didattici

C’è uno spessore umano immediatamente intuibile quando ci si imbatte in percorsi di studio che sono stati dei percorsi educativi in senso forte, quando cioè si può constatare una crescita di maturità e consapevolezza in tutti gli attori coinvolti. Questo è dovuto ad alcuni fattori essenziali che generalmente nei progetti sono dati come presupposti: la relazione educativa e l’ambiente educativo. Sono presenti in primo luogo per la capacità dell’educatore di instaurare una relazione valorizzante la personalità dell’allievo e di costruire con i propri allievi un contesto significativo.

Non mi posso soffermare ora su questo aspetto, ma se è questa la preoccupazione fondamentale, ne consegue un certo modo di intendere e strutture i percorsi disciplinari. Si tratta di pensare percorsi disciplinari curricolari, in cui i progetti siano inseriti e a cui siano finalizzati. Ogni disciplina ha il suo statuto, i suoi contenuti e una propria metodologia. Il progetto, se vuole contribuire alla formazione e quindi essere incisivo, deve essere, a mio parere, funzionale alla disciplina a cui afferisce, cioè servire ad approfondire alcuni suoi contenuti, sperimentarne il metodo, sviluppanrne le competenze specifiche e costituire, in questo modo e per questo motivo, il “focus” di tutto il programma. Va da sé, che si tratta di percorsi annuali o su più anni.

I progetti che ho trovato sul sito di Gariwo mi sembrano più che dei progetti veri e propri delle idee progettuali da sviluppare in modo diversificato a seconda delle discipline di riferimento e del tipo di scuola.
Non ce la caviamo con dei Kit Didattici, con una manciata di ore da ritagliare per confezionare un lavoro da mandare ad un concorso.
C’è un problema educativo enorme a cui far fronte. Che cosa è che sollecita alla responsabilità? Cosa pone le domande vere cioè effettive per rispondere alla quali nasce il desiderio di intraprendere un cammino? Cosa può far uscire dal soggettivismo esasperato del “ciò che mi piace” e del “ciò che sento”?

Solo una cosa: l’incontro con la realtà, con un dato. E chi introduce a questo incontro, favorendolo e dandone un senso e una direzione, è l’insegnante, l’educatore. I percorsi di storia sono particolarmente utili a questo scopo. Ma per guadagnare quell’atteggiamento del cuore e quell’apertura della mente così necessari c’è un percorso di avvicinamento all’oggetto (tema – problematica) che consiste principalmente nello sgomberare dei detriti, fare spazio, per riuscire finalmente a stare davanti a quel dato, ad incontrarlo. Ci tengo a sottolineare che l’incontro non è principalmente una attività di immedesimazione emotiva. Questa è solo all’inizio. Il lavoro critico che segue, e reso possibile dal fatto di aver “agganciato” il dato, nelle discipline storiche è un lavoro di indagine e di ricostruzione. Si capiscono così dall’interno i processi, tutti i processi: sociali, economici, militari, politici… Il dato riguadagnato (compreso) entra in questo modo nel nostro orizzonte cognitivo, grazie al quale pensiamo a noi stessi e valutiamo gli avvenimenti che ci accadono o a cui assistiamo.
Più il dato è ricco di rimandi valoriali ed ha ripercussioni esistenziali, più questo lavoro ha delle ricadute interessanti. É sicuramente il caso delle figure e delle azioni degli uomini “giusti”, ma su questo occorre fare delle precisazioni.


L’uomo “giusto”, la sua scelta, le sue azioni

Mediante l’accattivante similitudine con l’indagine poliziesca, voi proponete “di ricostruire il più possibile i passaggi che hanno condotto ad un’azione virtuosa o alla scelta di un’esistenza di lotta e testimonianza” (Cataluccio), di scoprire “il segreto personale che ha spinto degli esseri umani a mettersi in gioco per la salvezza dell’altro” (un dettaglio della sua vita privata). Ma anche lo studio del contesto è fondamentale per conoscere “la diversa visione del mondo che diversifica la persona giusta dalle ideologie prevalenti nella società”, perché “ciò che è stimolante nella ricerca è comprendere come un essere umano sia riuscito […] a mettere in discussione pregiudizi e leggi ingiuste approvate e sostenute dalla maggioranza della società” svelandone l’inganno con la sua azione di responsabilità. (Nissim) Un essere umano normale, con difetti e ripensamenti.

Come raggiungere questo risultato attraverso dei progetti di ricerca storica? Non è un compito facile.

Premetto che la mia esperienza in merito è attinente solo a quella che io ho chiamato “la prospettiva storiografica delle azioni di salvataggio, dei salvatori e dei salvati e” in riferimento alla storia della Shoah.

I suggerimenti e le annotazioni che sto per scrivervi hanno lo scopo di proporre la possibilità di una pluralità di approcci all’oggetto in questione. Scrivere la storia di una comunità, ad esempio, rispetto alla biografia adotta un altro punto di vista. Ogni punto di vista mette in risalto un aspetto particolare della medesima storia e insieme ne rendono la complessità.

La ricerca storica e l’indagine poliziesca richiedono lo stesso habitus mentale. Marc Bloc usava in riferimento al lavoro dello storico l’immagine del segugio che insegue le orme del passato. Entrambi devono dare un ordine agli elementi che hanno individuato e questo avviene a posteriori, trovato l’assassino e il suo movente oppure una linea interpretativa che attraverso ragionamenti di tipo inferenziale consenta la ricostruzione di un quadro storico il più possibile veritiero.

Uno di questi elementi è rappresentato dalle azioni dei “giusti”. L’apparire sulla scena storica dei salvatori e delle loro azioni rappresenta qualcosa di non previsto. Essi agiscono in controtendenza. Parlerei di loro come di variabili indipendenti. In un contesto storico, nelle comunità in cui agiscono, il fattore da loro rappresentato “fa la differenza” in ogni caso, anche se i risultati delle loro azioni possono essere modesti.

I salvataggi poi presuppongono una rete, magari solo di vicinanza o parentale. Non dobbiamo dare l’idea dei giusti come di individui isolati nella loro realtà. Così non è stato, poi il bisogno del nostro tempo è quello di fare comunità, di uscire dall’individualismo.

Io credo che il lavoro dello storico non debba consistere solo nel cercare il movente, ossia il fatto particolare che ha mosso la coscienza (che c’è stato, ma il più delle volte non è dato a noi di conoscerlo) ma debba soprattutto cercare di cogliere “il peso specifico” della loro azione in quel dato contesto. Perché quell’azione ha prodotto un cambiamento: nella vita personale di chi è stato coinvolto, nelle loro famiglie, nella piccola comunità locale (comune, parrocchia) nell’immediato e nel lungo periodo. E questo può essere documentato ed è un dato.

Le motivazioni religiose, culturali e politiche delle azioni dei giusti fanno parte del contesto da analizzare. E sono molto importanti per capirne le scelte. Odoardo Focherini dirigente di Azione Cattolica, amministratore dell’Avvenire d’Italia aveva un chiaro retroterra cattolico che non è insignificante. Le sue numerose lettere documentano l’esistenza di un dialogo interiore che non è appena il dialogo del pensiero con sé stesso.

L’indagine sulla natura e le dinamiche della coscienza umana afferiscono ad un campo diverso da quello storico, cioè a quello filosofico. La coscienza umana resta un mistero insondabile. Meglio arrestarsi sulla soglia. O affidare ad altre discipline il compito di avanzare delle ipotesi.

Se è vero che ci può essere un m.c.d. nelle figure dei resistenti morali di ogni tempo e di ogni contesto, questo non è di natura storica, ma etica e se vogliamo antropologica. Ed è naturale ed è importante rilevarlo, attraverso una comparazione, soprattutto ai fini di una educazione alla cittadinanza. Ma non è l’oggetto di una ricerca storica, che comunque porta a dei risultati importanti nel modo che ho descritto.

L’incidenza storica, tangibile, dell’azione di un giusto, ritrovata perché ricostruita storicamente, è un richiamo molto efficace. Se poi a questo si aggiunge che essa è stata “scoperta” attraverso un lavoro di ricerca effettivo, cioè di ipotesi confermate o smentite dal procedere di uno studio che ha cercato di analizzare tutti i fattori in gioco, si comprende la possibilità che ha questo lavoro di fornire agli studenti gli strumenti per comprendere anche la complessità dell’oggi e di produrre dei cambiamenti nella loro mentalità.

Lo studio può avvalersi sia della documentazione diretta come della letteratura sull’argomento (monografie, saggi). Quello che è essenziale è che il lavoro non proceda come una esercitazione, ma come un percorso che utilizza il metodo della ricerca.

Va tenuto presente che i percorsi formativi disciplinari non dovrebbero comprendono solo lo studio, ma anche delle attività da svolgere fuori dalla classe e che nel “fare” si dà il senso di un impegno concreto e globale.


La memoria e la storia

Memoria storica è un’espressione con cui si intende genericamente la conoscenza e la consapevolezza della storia passata necessarie per muoversi nel presente. In realtà tra storia e memoria c’è molta differenza.

La storia è una disciplina scientifica. Il che non significa esente da errori, manipolazioni, ma che ha un suo statuto, una metodologia e una comunità scientifica di riferimento.
La memoria pubblica è invece un fatto culturale, esito di scelte, come è accaduto per la memoria della Shoah.

Agli studenti è necessario parlare della storia della memoria della Shoah e della svolta impressa da Moshe Bejski con la creazione del Giardino dei Giusti a Gerusalemme. Va spiegato che è nella sua storia personale che vanno cercate le ragioni della sua battaglia culturale a favore di un approccio diverso alla memoria della Shoah non più incentrata sulla coppia vittima/carnefice. Il libro “Il tribunale del bene. La storia di Moshe Bejski l’uomo che creò il giardino dei Giusti” di G. Nissim è importante perché le storie raccontate nel libro sono l’esemplificazione di come cambia lo sguardo sui fatti se si adotta il punto di vista di questa nuova memoria della Shoah. Queste storie non sono da intendere come degli apologhi. La loro funzione, come quella di tutte le storie, è quella di aiutare a sviluppare la propria identità narrativa, come ha sottolineato Batini. Offrono cioè “materiali da costruzione” preziosi che, nel confronto con la propria esperienza, producono cambiamenti importanti nel modo di pensare sé stessi e di interagire con quello che succede.

In questi percorsi di storia perciò l’aspetto più propriamente storico è come ispirato da una pregiudiziale di carattere culturale, anche se percorsi di storia devono rimanere, soprattutto nel metodo, per cui la testimonianza che si raccoglie, ad esempio, va considerata come una fonte documentale e così analizzata e il punto di vista delle azioni di salvataggio, dei salvatori e dei salvati è da utilizzare come una prospettiva storiografica con cui leggere gli avvenimenti della storia di una comunità negli anni 1943/45. 


La memoria è viva se genera una storia nuova nel presente.

Il percorso di ricerca dovrebbe avere come orizzonte temporale un arco cronologico più ampio rispetto agli anni in cui l’azione si è svolta, ossia tener presente gli antecedenti e, in una prospettiva di più lungo periodo, la storia seguente. Occorre chiedersi:

L’azione di salvataggio era conosciuta dopo la fine della seconda guerra mondiale al di fuori della cerchia dei più stretti interessati?

Chi ne era a conoscenza ha cercato di far ottenere un riconoscimento?

Si è mantenuto nel tempo il rapporto tra salvatori e salvati?

Nelle rispettive famiglie e nella comunità dove è avvenuto il salvataggio la memoria dell’azione di salvataggio è stata custodita? Ha prodotto dei cambiamenti?

Noi sappiamo che nella maggioranza dei casi le storie di salvataggio non escono “spontaneamente” dall’ambito familiare. Nei casi di riconoscimento del titolo di Giusto il merito è di almeno uno dei salvati. Gli interessati non ne parlano. Se non interviene un fattore esterno, il passare degli anni non ne produce la dimenticanza, ma il loro nascondimento. Al contrario, quando un elemento nuovo si introduce, si rimette in moto la rammemorazione e la memoria diventa pubblica.

I percorsi di storia a scuola sui giusti, cioè sulle azioni di salvataggio, sui salvatori e sui salvati, possono essere qual fattore esterno che aiuta le famiglie del salvatore e dei salvati e la comunità dove è avvenuto il salvataggio a ritrovare il filo interrotto. Essi raccontano la verità di quello che è stato, rimettono in rapporto le persone, favoriscono la comunicazione intergenerazionale. Avviene cioè un cambiamento che riguarda la vita delle persone. Nasce una storia nuova che guarda al futuro, di cui studenti e insegnanti fanno parte.

Ogni percorso è una storia a sé, che esorbita dal puro e semplice percorso didattico. Nessuno di essi può essere considerato un modello da riprodurre, ma solo una storia a cui ispirarsi.

Analisi di

15 dicembre 2021

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