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Un tribunale internazionale per Assad

editoriale di Gabriele Nissim

Non esiste una bacchetta magica per la prevenzione dei genocidi e dei crimini contro l’umanità. Eppure, come ha ricordato Daniel Goldaghen in Peggio della guerra (Mondadori), un libro passato quasi in silenzio in Italia, la paura di finire sotto il giudizio di un tribunale internazionale può avere un effetto deterrente nei confronti di chi è disponibile a commettere, per uno scopo politico e ideologico, i peggiori crimini contro una popolazione.

Giudicare un criminale politico per un delitto che colpisce tutta l’umanità non significa solo rendere giustizia alle vittime, ma creare un clima internazionale dove nuovi possibili dittatori possono pensarci due volte prima di fare l’irreparabile.

Chi sa cosa lo aspetta, se va oltre un certo limite, probabilmente non cambierà la sua coscienza, ma vivrà comunque con la paura di fare la fine dei vari Milosevic, giudicati al di fuori della sovranità del loro Paese, dove sarebbero rimasti impuniti.

Oggi, dopo la pubblicazione delle prove certe delle responsabilità del regime di Assad nell’uso di armi chimiche - da parte della commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite - diventa fondamentale che tutte le nazioni democratiche chiedano immediatamente la punizione dei colpevoli e l’inizio di un’istruttoria che porti Assad e i vari responsabili militari siriani a rispondere davanti al tribunale dell’Aja.

Certamente non ci sono le condizioni politiche che permettano in questo momento l’arresto dei responsabili, ma un’azione di denuncia internazionale avrebbe comunque due effetti importanti per tutta l’area mediorientale.

In primo luogo sarebbe chiaro a tutti chi copre le responsabilità di Assad. Chi decidesse infatti di tacere e di voltare la testa dall’altra parte si troverebbe in gravi difficoltà di fronte all’evidenza dei fatti. Putin, per esempio, non potrebbe continuare a sostenere che i gas nervini sono stati lanciati dai ribelli, e lo stesso Rohani in Iran avrebbe molte più difficoltà nel proteggere il regime siriano.

Indipendentemente dalle alleanze sarebbe per tutti ostico, per la  reputazione del proprio Paese, coprire le responsabilità di chi ha usato armi di distruzione di massa.

In secondo luogo, la chiamata in giudizio di Assad di fronte a una corte internazionale sarebbe un deterrente importante per chi sogna in Medioriente di usare le armi chimiche o nucleari per cambiare i rapporti di forza nell’area.

Sarebbe un messaggio molto forte per i fondamentalisti iraniani, per gli Hezbollah in Libano, ma anche per chi, nel campo sunnita, continua ad essere affascinato dal terrorismo di Al Qaeda.

Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

18 settembre 2013

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