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Una comune umanità tra noi e loro

di Sante Maletta

Fernando Savater è un filosofo e scrittore spagnolo, noto in tutto il mondo per il suo libro "Etica per un figlio" ("Ética para Amador"). È stato docente di Filosofia per più di trent'anni nei Paesi Baschi e presso l'Universidad Complutense di Madrid.

A partire da una sua riflessione, comparsa su El Pais del 29 aprile 2014, sul Male e sui valori che qualificano il termine “umano”, abbiamo chiesto a Sante Maletta, docente di Filosofia politica all’Università della Calabria, un breve intervento su questi temi.


A quasi settant'anni dalla fine del secondo conflitto mondiale e del più grande crimine della storia dell'umanità, la Shoah, non sembra perdere di vigore la domanda com'è stato possibile?

Già il fatto di porsi tale questione è segno di onestà intellettuale poiché è indice della consapevolezza, recentemente ribadita da Fernando Savater, che esiste una connessione tra "noi", esseri umani dell'inizio del terzo millennio, e "loro", i criminali, in nome di una comune umanità che non è possibile denegare.

Uno degli aspetti più inquietanti è che la maggior parte di coloro che collaborarono, a vario titolo, allo sterminio degli ebrei in Europa non lo fece in nome di un interesse materiale e nemmeno per procurare a sé stessi un particolare godimento. Il male venne realizzato anche nei frangenti in cui esso risultava socialmente antieconomico e psicologicamente pesante da compiersi. Il carattere inquietante della Shoah sta cioè nel fatto che in essa vengono parzialmente messi fuori gioco i fattori attraverso cui solitamente comprendiamo gli atti degli esseri umani, vale a dire il piacere e l'interesse materiale. Un male apparentemente senza senso in quanto compiuto da agenti disinteressati.

Certo, non bisogna dimenticare che tra i moventi umani esiste anche la volontà di evitare le noie e le seccature che sono inevitabili quando si agisce in maniera non conformistica. Ma è sufficiente tale considerazione per spiegare l'intreccio unico tra la radicalità estrema del progetto politico e il coinvolgimento di massa?

Come dicono Renata Badii e Dimitri d'Andrea introducendo una recente raccolta di saggi dedicata a Shoah, modernità e male politico (Mimesis, 2013), ciò che non si può evitare è una riflessione di tipo antropologico, vale a dire una riflessione sulle "forme di soggettività che hanno contribuito a realizzare, condiviso, permesso lo sterminio nazista". Si tratta di proseguire nella direzione tracciata da Hannah Arendt ed esemplificata dal recente bellissimo film dedicato alla filosofa tedesca da Margarete von Trotta.

A tal proposito Badii e D'Andrea giustamente sottolineano che l'indifferenza non è mai assoluta. I peggiori criminali sanno essere buoni padri di famiglia. L'indifferenza presuppone criteri di rilevanza che dipendono da "immagini del mondo", da insiemi di assunti cognitivi che possiedono un'importante funzione di orientamento pratico in quanto veicolano, in modo più o meno consapevole, una certa idea del bene. Queste immagini del mondo lavorano soprattutto attraverso categorizzazioni ideologiche che modificano profondamente il modo di percepire, di sentire e quindi di giudicare la realtà e gli altri esseri umani. Per molti nazisti un ebreo non solo valeva meno di un cane, ma era emotivamente e cognitivamente percepito come tale. L’indifferenza nei confronti della sua sorte o la collaborazione più o meno coinvolgente con la sua eliminazione sono allora atteggiamenti giustificabili sulla base dell’immagine ideologica del bene, anzi sono addirittura doverosi. Come ha efficacemente detto Alain Finkielkraut, siamo di fronte a una sorta di paradossale puritanesimo del male.
In questa prospettiva la domanda da cui siamo partiti (com'è stato possibile?) acquisisce un'attualità insospettata.

Se infatti l'immagine del mondo nazista sembra fortunatamente essere oggi fuori gioco e con essa anche qualsiasi prospettiva di un’ideologia utopistica capace di mobilitare attivamente le masse, ciò non toglie che il nostro immaginario collettivo sia colonizzato da altre prospettive capaci di sviluppare, anche con l'aiuto di protesi tecnologiche sempre più invasive, forme selettive di indifferenza verso la realtà e gli altri esseri umani produttive di un mancato riconoscimento del loro valore. In altri termini, il male commesso con indifferenza o con una bassa intensità di motivazione rimane una possibilità concreta della tarda modernità.

Sante Maletta, docente di Filosofia politica all’Università della Calabria

Analisi di

16 giugno 2014

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