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Una nuova guerra tra Armeni e Azeri

di Pietro Kuciukian

In merito al riaccendersi della guerra tra Armeni e Azeri nel Caucaso, propongo alcune riflessioni.
La primogenitura dell’attacco è questione non affrontata in modo realistico dai media.
Si può tuttavia sottolineare il fatto che un popolo di 140.000 abitanti, insediato da secoli nell’area, che ha voluto porre fine con costi altissimi “all’azerificazione voluta da Stalin” e che vive da quasi trent’anni una fragile tregua, difficilmente può decidere di attaccare, all’alba di una domenica, un Paese di 10 milioni di abitanti con un apparato militare di gran lunga superiore e con un’alleanza solidissima con la Turchia di Erdogan, il presidente turco che considera azeri e turchi due popoli fratelli, non due Stati, ma “una nazione”.

È necessario anche considerare la situazione di debolezza attuale dell’Armenia, con le frontiere chiuse per via del Covid-19. Infondata la possibilità che Yerevan richiami armeni volontari della diaspora. Armeni siriani e armeni libanesi sono già presenti sul territorio, sia in Armenia che in Nagorno Karabagh, fuggiti dalla guerra e da condizioni di vita insostenibili. Assurda la gravissima ipotesi che l’Armenia recluti i curdi del PKK. Fondata invece la notizia che 4000 mercenari siriani jihadisti siano presenti nell’area, inviati da Erdogan. Il premier Pashinian, protagonista della “rivoluzione di velluto” che ha mostrato al mondo la qualità di una società civile capace di una rivoluzione pacifica diretta a lottare contro la corruzione e l’ingiustizia sociale, non può che sostenere lo sforzo degli uomini al fronte e nello stesso tempo invocare la ripresa delle trattative di pace, fallite non per sua colpa, ma per la reiterata volontà della controparte di esigere l’esclusione ai colloqui di pace dei rappresentanti dell’autoproclamata repubblica del Nagorno Karabagh.

Una pace duratura va costruita. Se non si manifesta la volontà di ripartire da ciò che è stato lacerato con la determinazione di rigenerare il dialogo, senza precondizioni, non si prospetteranno soluzioni possibili.

Ad ogni violazione della tregua, gli azeri erodono piccole porzioni di territorio e usano la conquista per alimentare il nazionalismo interno, per deviare l’attenzione dell’ opinione pubblica su un nemico esterno, per evitare “rivoluzioni di velluto”. D’altra parte gli armeni subiscono la perdita proprio perché è ancora una perdita contenuta. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan in un’intervista alla TV pubblica armena è intervenuto su quanto diffuso dai media azeri, vale a dire sul fatto che Aliyev, il presidente azero, avrebbe concesso del tempo al governo post-rivoluzionario armeno su richiesta di Yerevan. “In realtà non fui io a chiedere un favore al presidente azero, ma lui a me”, dichiarò Pashinyan. “In quel periodo ero impegnato in conferenze cercando il dialogo con la gente dell’Azerbaigian, criticando la loro condizione. Ilham Aliyev mi chiese di evitare di parlare dell’Azerbaigian. Perché? Per la semplice ragione che, essendo la rivoluzione appena accaduta in Armenia, le forze di tutta la regione erano in subbuglio e il presidente azero aveva paura che i miei discorsi potessero provocare simili eventi nel suo paese. Aliyev non era interessato al problema del Karabagh e a nessun' altra questione, era solamente preoccupato che l’onda rivoluzionaria potesse raggiungere l’Azerbaigian”.

Oggi il quadro internazionale, infine, non è apparso mai tanto complesso, con la Russia che protegge l’Armenia e la Turchia che parla all’unisono con l’Azerbaigian. Le aspirazioni espansionistiche delle due potenze e le gravi crisi non risolte dentro il sistema delle alleanze in Medio Oriente e sulle sponde del Mediterraneo (Siria, Libia, Grecia, Cipro) sembrano ridurre le possibilità di una soluzione di una crisi che oggi si manifesta con una gravità senza precedenti.

Pietro Kuciukian

Analisi di Pietro Kuciukian, Console onorario d'Armenia in Italia e cofondatore di Gariwo

29 settembre 2020

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