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Gariwo Magazine

Una ricerca scientifica sul bene

editoriale di Liliana Picciotto

L’iniziativa lanciata dall’Associazone Gariwo, nella persona del suo Presidente Gabriele Nissim, è una legittima estensione internazionale della qualifica di “Giusto tra le Nazioni”, alto riconoscimento ufficiale con cui l’istituto Yad Vashem di Gerusalemme premia uomini e donne che, durante l’ultima guerra, abbiano soccorso, con consapevole generosità, cittadini ebrei in pericolo. Gariwo rintraccia e premia coloro che, nei conflitti internazionali o sotto regimi liberticidi, si prodigano per salvare vite altrui a rischio della propria. È un lavoro che addita al pubblico riconoscimento azioni di per sé straordinarie, perché si estendano e diventino un po’ più ordinarie. Parlare di atti di giustizia, farli conoscere al grande pubblico, divulgarne la conoscenza è un mezzo educativo per contagiare la società, soprattutto quella dei giovani.
In realtà, contrariamente a ciò che si pensa e per quanto ho potuto constatare nel mio lavoro di storica, molti giovani cercano di sottrarsi al cinismo che inaridisce gli animi, e cercano esempi alti da ascoltare e persone dotate di senso etico da imitare. Quando parlo dei Giusti salvatori di ebrei, vedo solo espressioni attente e sguardi interessati, sembra che non ce ne sia mai abbastanza, il racconto fila ininterrotto. Sono gratificata dalla sensazione di colpire nel segno, di interessare, di coinvolgere, di indurre il giovane uditorio a identificarsi nelle tragiche, e talvolta eroiche vicende del nostro recente passato...
Finora sono stati rintracciati e premiati in Italia da Yad Vashem circa 500 Giusti fra le Nazioni il cui atteggiamento solidale ha permesso a molte famiglie ebree di sopravvivere durante la persecuzione nazista e fascista. Quei Giusti sono solo una piccola parte di tutto un mondo di solidarietà tuttora da scoprire e valorizzare. La Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC Onlus) sta conducendo una ricerca storica estensiva che arrivi a determinare, per ciascuna famiglia ebrea presente in Italia tra il 1943 e il 1945, la sorte, di vittima o di salvato, nonché l’identità del salvatore.
Ogni ebreo, nessuno escluso, giovane o vecchio, adulto o bambino, ha dovuto subire traumi grandi e piccoli: la fuga, la ricerca affannosa di una soluzione per la salvezza, il mutamento d’identità, il cambio di residenza o di città, le marce forzate attraverso le montagne. È stato un movimento collettivo di grandissima portata, che ha inciso enormemente sull’animo degli ebrei ma anche su tutti coloro che vennero a contatto con loro: chi assistendo impassibile alla loro disperazione, chi adoperandosi per aiutarli, chi offrendo consigli utili, prestiti in denaro, propositi di difenderne i beni in loro assenza, trovando per loro soluzioni abitative, anche talvolta rischiando in prima persona. Per riscrivere questa storia complessiva, vengono sondate centinaia di testimonianze scritte pervenute negli archivi del CDEC durante i più di 55 anni della sua esistenza, vengono analizzati centinaia di libri di memorie, ma soprattutto vengono contattate persone anziane in grado di raccontare la loro esperienza. Il complesso di conoscenze che emerge da questo impegnativo studio viene poi reso coerente mediante una severa e metodica critica scientifica, e trasformato in dati. I dati così ottenuti, vengono in seguito caricati in un data base, in modo da permettere l’interrogazione quantitativa. Sarà possibile ad esempio chiedere al computer: quanti soccorsi sono stati dispiegati in quella data cittadina? Quanti medici hanno occultato ebrei nelle loro strutture? Quanti parroci hanno trovato soluzioni per la salvezza? Quante case religiose hanno accolto rifugiati? Quanti impiegati comunali hanno fornito provvidenziali carte d’identità intestate a nomi falsi?
Il progetto, intitolato Memoria della salvezza, vuole analizzare l’attitudine della società ebraica davanti all’emergenza Shoah e, in parallelo, l’attitudine della società civile toccata in qualche modo dalla medesima emergenza.
È molto importante che enti nazionali e internazionali, pubblici o privati, come la Fondazione CDEC, come Gariwo, si dedichino al lavoro di ricerca dei Giusti, in una prospettiva di visione positiva della vita e dei rapporti umani. Come dice bene il grande sociologo Erich Fromm: “Qualsiasi uomo, che viva in una società ove la necessità di mantenersi in vita non sia assillante, deve necessariamente avere una visione del mondo ‘religiosa’ nel senso che ha obiettivi ‘trascendenti’, concezioni e passioni che lo inducono a creare qualcosa che va al di là del puro essere una macchina che mangia, dorme, fa all’amore: gli ideali sono connaturati all’uomo”. A noi, dunque, educatori e uomini di cultura, tocca il debito di far entrare negli orizzonti comuni il senso di responsabilità, il rispetto e la comprensione per il prossimo e la conoscenza dell’opera coraggiosa dei Giusti.

Liliana Picciotto, storica e responsabile di ricerca presso la Fondazione CDEC

Analisi di

22 ottobre 2010

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