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Una rivoluzione sulla memoria in Israele

di Gabriele Nissim

A Ra’anana, a venti chilometri da Tel Aviv, c’è un’università all’avanguardia: è la Open University di Israele. Migliaia di giovani nei Kibbutz e nei sobborghi arabi israeliani seguono le lezioni online sui computer, sui tablet e con i cellulari. Da qualche mese un corso sui genocidi del 900 è diventato un esempio unico non solo in Israele, ma in tutto il Medio Oriente.

Da questa università è partita, per merito del Prof Yair Auron - autore di libri sul genocidio armeno, sulla Shoah e sul dialogo israeliano palestinese - una vera e propria rivoluzione culturale che vuole ribaltare il rapporto che l’israeliano ha nei confronti della Shoah.

Il professore ha infatti riunito, al convegno internazionale del 4 e 5 novembre, alcuni tra i più noti studiosi della Shoah e del genocidio in Ruanda, non solo per comparare i due genocidi, ma per lanciare un vero e proprio dibattito sulle distorsioni della memoria che avvengono in Israele.

Quando Yair Auron ha aperto i lavori ha subito manifestato la sua emozione: “È la prima volta in settant’anni che in Israele discutiamo degli altri genocidi e che guardiamo alla Shoah con occhi diversi.”

È proprio questo il punto storico di una conferenza che lascerà tracce profonde nel dibattito dei prossimi anni. Fino agli anni Sessanta in Israele si parlava poco della Shoah, si consideravano le vittime ebraiche con una certa sufficienza e si esaltavano come eroi soltanto i sionisti che avevano abbandonato l’Europa per trasferirsi in Palestina.

Poi con il processo Eichmann, per merito di Ben Gurion, la memoria della Shoah è diventata centrale nell’identità di Israele. Il genocidio degli ebrei è stato presentato come un genocidio unico nella storia, da cui far discendere l’importanza dell’esistenza di Israele. Su questo elemento di unicità si è costruita però una vera e propria ideologia. Agli studenti nelle scuole si è insegnato che soltanto gli ebrei sono stati vittime di un genocidio. Non è stata mai raccontata la tragedia dei Rom durante l’Olocausto, mai si è spiegato che i crimini che avevano decimato gli ebrei avevano colpito anche altri popoli come gli armeni, i ruandesi, i cambogiani o gli ucraini durante la grande carestia provocata da Stalin.

Così per anni un giovane israeliano è stato educato a una visione vittimistica della sua esistenza, ovvero come se l’ebreo fosse stato l’unica vittima della storia.

Ricordare la memoria della Shoah doveva servire soltanto a resistere contro l’antisemitismo, ma non si spiegava ai giovani che i genocidi fanno parte della storia umana e che la catastrofe che aveva colpito gli ebrei si poteva ripetere nei confronti di altri popoli.

Le conseguenze nel campo dell’educazione sono state deleterie. Un giovane, pur conoscendo le dinamiche della Shoah, non era così in grado di comprendere i crimini di massa e le persecuzioni che colpivano il resto del mondo.

L’unilateralità della memoria ha reso le nuove generazioni meno sensibili alle sofferenze altrui.

“Ho dovuto superare un muro di incomprensione, quando mi sono avvicinato alla tragedia ruandese”, ha spiegato la giovane ricercatrice Noam Shouster. “Era come se stessi mettendo in discussione il primato della sofferenza ebraica.”

Il convegno ha quindi lanciato messaggi rivoluzionari alla società israeliana. È partita una campagna per il riconoscimento pubblico del genocidio armeno: una petizione con migliaia di firme gira per tutto il Paese, e Reuven Rivlin, il nuovo presidente della Repubblica israeliano, sì è detto ufficiosamente disponibile a sostenerla. Auron ha inoltre esortato ad allargare l’insegnamento della Shoah alla memoria e allo studio di tutti i genocidi. Nel corso del 2015 la stessa università di Ra’anana organizzerà un grande convegno internazionale per ricordare il centenario del genocidio armeno. Tutti i partecipanti al convegno si sono presi poi l’impegno di aderire alla Giornata europea dei Giusti, che fino a oggi era stata accolta in modo tiepido da Yad Vashem, con una logica che metteva in secondo piano i soccorritori degli altri genocidi.

Il grande punto di svolta di tutta la conferenza è stato tuttavia l’intervento del professore Yehuda Bauer, che per anni è stato riferimento di Yad Vashem e che per certi versi può essere considerato il grande teorico dell’unicità della Shoah, con tutte le sue distorsioni.

Il professore non ha ancora fatto autocritica, come Yair Auron ha osservato con arguzia polemica, ma ha ribaltato, in un intervento appassionato, tutta la retorica della Shoah, che inquina il dibattito pubblico israeliano. “Non dobbiamo diventare schiavi di una definizione concettuale sulla Shoah come abbiamo fatto fino ad ora - ha infatti spiegato Bauer - ma porci il problema della prevenzione di tutte le atrocità di massa che colpiscono il pianeta. I genocidi fanno parte della storia e noi, se vogliamo ricordare la memoria della Shoah, dobbiamo impegnarci per trovare gli strumenti politici e culturali per prevenirli. Tutto il resto sono solo parole vuote.”

Nel box approfondimenti qui sotto è disponibile l'intervento integrale (in italiano) di Yehuda Bauer alla conferenza organizzata dalla Open University of Israel.


Gabriele Nissim

Analisi di Gabriele Nissim, Presidente Fondazione Gariwo

10 novembre 2014

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