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Dissenso nell’Europa dell’Est

In breve

Il dissenso nei regimi dell’Est europeo non è riducibile alla semplice connotazione di “opposizione”, ma deve essere considerato innanzitutto come il tentativo di costruire una polis parallela basata sulla responsabilità di ogni cittadino e volta a occupare gli spazi di libertà culturale, sociale e umana strappati al regime totalitario. Da queste posizioni è nato un ampio movimento in grado di influire sui comportamenti e sulla mentalità dell’opinione pubblica, al punto che - a parte la Romania – il sistema totalitario è stato rovesciato in modo pacifico, con una nuova classe dirigente riconosciuta dalla maggioranza della popolazione.

La verità contro la menzogna del totalitarismo

I regimi totalitari proibiscono e reprimono qualsiasi forma di pensiero diverso e organizzazione da loro non controllata, provocando in questo modo l'insorgere di varie forme di opposizione. Il termine “dissenso” è sempre stato usato per definire i fenomeni di opposizione nell’URSS, nell’Est europeo, in Cina e in tutti i Paesi con regimi socialisti. In occidente, e in America Latina, si è parlato invece di “oppositori”. In questi contesti le persone che non si adeguavano o non sostenevano le politiche dello Stato sono state definite dissidenti, o, anche, “nemici dello Stato”.

Come sostenne nel 1977 lo storico russo, il novantacinquenne Roj Aleksandrovič Medvedev (1925): il dissidente non è semplicemente colui che la pensa diversamente, bensì colui che esprime esplicitamente tale disaccordo e lo manifesta in qualche modo ai suoi concittadini e allo Stato”.

Questo vuol dire che i “pensatori del dissenso” sono stati anche degli organizzatori e dei militanti che diffondevano e praticavano idee antitotalitarie e una critica profonda dei regimi al potere. Il dissenso è stato un fenomeno pacifico (sia nelle sue teorizzazioni che nella pratica) che è costato prigione, torture, perdita del lavoro, emarginazione e isolamento sociale.

Nell’Unione Sovietica e nei Paesi socialisti i dissidenti erano intellettuali, che spesso avevano militato nel Partito al potere e ne erano rimasti delusi o espulsi; membri della società civile perseguitati per i più svariati motivi, che spesso avevano addirittura conosciuto la prigione o il campo di lavoro; scrittori e artisti in contrasto con l’estetica ufficiale e insofferenti alle gabbie della Censura; studenti; operai entrati in urto con la dirigenza della propria fabbrica; anziani legati ai partiti politici di prima della guerra; religiosi messi nell’impossibilità di praticare la propria fede.

L’alleanza tra intellettuali, organizzazioni clandestine e mondo del lavoro, ha accelerato l’implosione dell’impero, delegittimandolo di fronte al resto del mondo e dando coraggio e voce alla società civile. Anche se poi le cause del crollo sono state di natura più disparata: i regimi totalitari socialisti (che poco avevano a che fare con il Socialismo!) sono crollati a causa della crisi economica, del collasso delle loro strutture produttive, della sfavorevole contingenza internazionale. Ma che sarebbero crollati, i dissidenti lo hanno sempre creduto e detto, e si sono organizzati perché questo avvenisse non appena la situazione lo avesse reso possibile.

Dopo il 1989, esclusa la Russia e alcune delle nazioni che ne facevano parte, i dissidenti hanno costituito (senza voler sottovalutare le molte figure di trasformisti) le nuove classi dirigenti. Purtroppo, non sempre si sono dimostrati capaci di interpretare il nuovo ruolo che si assumevano e hanno aperto così la strada al nazionalismo e al populismo.
Il dissenso non è quindi terminato: le donne, gli omosessuali, i giovani istruiti e disoccupati, gli operai sindacalizzati, i giornalisti coraggiosi, gli scienziati che hanno contatti con tutto il mondo, sono i nuovi dissidenti a Varsavia come a Minsk, a Mosca come a Hong Kong.

Di seguito elenchiamo diversi contesti del dissenso, con schede di approfondimento sulle esperienze di Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania e Germania Est.

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