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Migrazioni

In breve

Fin dall’antichità, la storia umana è stata caratterizzata da picchi di grande migrazione di massa. Secondo l’UNHCR, oggi nel mondo c’è il più alto numero di persone in fuga dai conflitti mai registrato dopo la Seconda guerra mondiale. Si stima che gli sfollati, all’interno del loro Paese o all’estero, siano in totale 68,5 milioni, l’1% della popolazione mondiale. Di questi, la maggior parte (86%) continua a vivere in Paesi in via di sviluppo o in zone diverse dall’Europa, nazioni “shock absorbers” come Pakistan, Uganda, Turchia, Libano, Giordania.

Le più grandi migrazioni nella Storia

Le migrazioni umane sono un fenomeno attestato fin dalle epoche più antiche. Nella storia moderna, è soprattutto a partire dal Cinquecento che si verificano i più grandi spostamenti, con la scoperta del continente americano. Prima la Spagna e il Portogallo, poi la Francia, l'Inghilterra e l'Olanda videro nel Nuovo Mondo una terra di approdo per milioni di persone. Questo trend continuò con la colonizzazione di altre terre del globo, come l’Australia e la Nuova Zelanda.
Se in un primo momento a lasciare il Vecchio Continente furono soprattutto avventurieri e conquistatori, ad essi si aggiunsero presto mercanti, missionari, condannati, esiliati e oppositori politici, che pian piano si sostituirono alle popolazioni indigene, combattute, sterminate o deportate.

Le migrazioni nel mondo contemporaneo non sono invece più di popoli guerrieri, e assumono inoltre una caratteristica particolare, quella massiva, come è accaduto per i grandi gruppi che si sono spostati dall’Europa - specialmente verso le Americhe e il Canada - tra il 1820 e il 1940 o per le migrazioni durante e dopo la Seconda guerra mondiale.

È con il boom economico degli anni Sessanta del Novecento che il Vecchio Continente diventa invece meta, e non punto di partenza, dei grandi flussi migratori. A questo si aggiunge, a partire dagli anni Ottanta con la caduta del Muro di Berlino e dei regimi comunisti, un nuovo asse migratorio, quello est-ovest Europa.
Nel frattempo, flussi sempre più consistenti di migranti arrivano da Paesi extra-europei (in particolare da Africa, Asia e Sud America), andando a comporre il quadro che conosciamo oggi.

L’attuale crisi dei rifugiati ha avuto il suo apice nel periodo 2014-2016, con un forte aumento del numero dei richiedenti asilo in Europa: 625.000 migranti nel 2014 e 1.2 milioni nel 2015. Da allora gli arrivi sono diminuiti, ma migliaia di persone sono ancora bloccate nei centri di accoglienza dell’Europa meridionale, spesso a causa di lungaggini e procedure burocratiche.

Hernán Cortés alle porte della capitale dell'Impero azteco, 1521.Immigrati nel centro di accoglienza di Ellis Island (New York City), 1902.
Cittadini della Germania Orientale - arrivati passando per la Cecoslovacchia - attraversano il confine tra Ungheria e Austria durante il picnic paneuropeo, 19 agosto 1989.

Migranti oggi: da dove vengono?

Dei 25,4 milioni di profughi oggi presenti nel mondo, la metà dei profughi proviene solo da tre Paesi. Si tratta della Siria, dove a causa della guerra civile 6.3 milioni di persone hanno lasciato le proprie case, e di Afghanistan e Sud Sudan, abbandonati rispettivamente da 2.6 e 2.4 milioni di abitanti.

L’altra metà dei profughi proviene soprattutto dal Corno d’Africa.
I somali fuggono da uno Stato caduto in pezzi, devastato da una guerra civile che dura da oltre vent’anni, in preda dei criminali dal 1992. Eritrei ed etiopi fuggono dalla dittatura di Isaias Afewerki e dalla guerra. Gli eritrei scappano perché il Paese, che non si è mai ripreso dal conflitto con l’Etiopia del 1998-2000, è alla fame e in mano a un regime sempre più autoritario. Oltre alla fame e alla necessità di cercare una via d’uscita a una situazione così pesante, il motivo fondamentale che spinge molte persone a fuggire è il servizio militare obbligatorio per tutti, uomini e donne, che di fatto si traduce in una sorta di leva a tempo indeterminato.
Le rotte delle migrazioni prevedono spesso la fuga verso il Sudan e la Libia, dove spesso finiscono in carcere perché considerati clandestini, o cadono nella rete dei trafficanti di esseri umani. Sempre guardando all’Africa, vi sono fughe dovute alla povertà o alle violazioni dei diritti umani, come in Nigeria, Senegal, Ghana, Guinea.

Altri flussi sono legati a situazioni contingenti o a conflitti che si verificano nell’attualità, come testimonia l'intrico di popoli e sofferenze del Medio Oriente: Iraq, Afghanistan, Siria, Gaza, Pakistan. Recentemente, un flusso importante di migranti ha interessato il popolo dei Rohingya, oggetto di violenze e discriminazioni in Myanmar soprattutto dal 2012.

Lo Stato con il maggior numero di rifugiati in proporzione ai propri abitanti è il Libano, dove i profughi raggiungono il 25% della popolazione, soglia che rappresenta il “punto di rottura” per la stabilità di un Paese.

Migranti, rifugiati, richiedenti asilo

L’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo afferma il diritto di ciascun individuo di chiedere e beneficiare dell’asilo.
Nonostante nel linguaggio comune sia sempre più diffuso l’utilizzo dei termini “rifugiato” e “migrante” in modo intercambiabile, vi è tra i due una differenza dal punto di vista legale.
Il termine migrante viene oggi utilizzato in maniera generica per indicare il flusso di persone che si spostano dalla propria nazione. Un migrante decide di lasciare volontariamente il Paese d’origine per cercare un lavoro e condizioni di vita migliori. A differenza del rifugiato, non è un perseguitato.

Il regime giuridico specifico che tutela invece i diritti dei rifugiati si basa sulla la definizione della Convenzione di Ginevra del 1951, che identifica il rifugiato come colui "che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra”.
Alla Convenzione del 1951 si è poi aggiunto il relativo Protocollo del 1967, a completare le fondamenta del moderno regime di protezione dei rifugiati.

Figura “intermedia” è il richiedente asilo, colui che, avendo lasciato il proprio Paese, chiede il riconoscimento dello status di rifugiato o altre forme di protezione internazionale ed è in attesa di una decisione da parte delle autorità competenti. Vi è poi chi beneficia della protezione umanitaria, che non è riconosciuto come rifugiato perché non è vittima di persecuzione individuale nel suo Paese, ma ha comunque bisogno di protezione e/o assistenza perché particolarmente vulnerabile sotto il profilo medico, psichico o sociale o perché se fosse rimpatriato potrebbe subire violenze o maltrattamenti.

Rifugiati siriani in Libano.
La motonave Vlora attracca a Bari l'8 agosto 1991 con 20.000 migranti albanesi.

Il caso Lampedusa

La notte del 3 ottobre 2013, un’imbarcazione si rovesciò al largo dell’Isola dei Conigli, a Lampedusa. A bordo c’erano circa 600 persone, quasi tutte di origine eritrea. Solo 155 di loro si salvarono: i cadaveri recuperati furono 368, i dispersi 20.
Non è la prima, ma è una delle tragedie più gravi della storia moderna nel Mediterraneo. Il numero delle vittime, la risonanza internazionale dell’accaduto e l’impegno del Comitato 3 ottobre hanno fatto sì che tale data diventasse il simbolo della tragedia dei migranti, tanto da spingere il Parlamento italiano, nel 2015, a istituire per il 3 ottobre una Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione.

Dal 2013, altri barconi sono arrivati a Lampedusa carichi di rifugiati. Al fallimento delle politiche e delle leggi, gli abitanti dell’isola hanno sempre risposto mettendo in moto una straordinaria catena di solidarietà. Tanti sono stati i soccorritori che hanno lottato contro l’indifferenza strappando dal mare, accogliendo nelle proprie case e nutrendo i migranti, con un impegno lontano dall’odio e dalle polemiche.

Negli anni, Gariwo ha ricordato e onorato chi, come Vito Fiorino, Costantino Baratta, Alganesh Fessaha, le donne e gli uomini della Guardia Costiera, si è assunto una responsabilità e ha scelto di aiutare chi fuggiva da guerre e persecuzioni.

Dal 3 ottobre 2019, grazie all’impegno di Vito Fiorino e al sostegno di Gariwo, a Lampedusa un monumento ricorda le vittime del mare e questi Giusti del nostro tempo, con una frase che recita: “Ricordiamo le persone che a Lampedusa non sono state indifferenti e si sono assunte una responsabilità di fronte a chi moriva nel Mediterraneo”.

Le bare senza nome a Lampedusa, 5 ottobre 2013

Il caso Lesbo

Tra il 2015 e del 2016, sull’isola greca di Lesbo sono arrivate via mare dalla Turchia 600mila persone, un numero più di sette volte superiore agli 80mila isolani. Sono arrivate soprattutto dalla Siria, fuggendo dalla guerra civile, dall’Isis e dai bombardamenti sulle città.
Lesbo per loro rappresentava il primo passo di un lungo viaggio verso il Nord Europa, che avrebbero proseguito attraverso quella “rotta balcanica” successivamente chiusa dai governi europei.

Lungo le spiagge di Lesbo, a dare loro un primo soccorso e un sorriso capace di ridare dignità e speranza per il futuro, in quei tragici momenti non c’erano le autorità, ma normali cittadini, abitanti dell’isola e persone accorse da altri Paesi per offrire aiuto.

Lesbo, come Lampedusa negli anni precedenti, è diventata simbolo di accoglienza. Con il diminuire degli sbarchi, tuttavia, nell’isola sono aumentati i campi profughi. Il più grande, il campo di Moria, è divenuto tristemente famoso per le migliaia di tende bianche ammassate sui vari terrazzamenti, il filo spinato, le centinaia di donne, uomini, giovani, anziani, bambini che vagavano sotto un sole cocente. Diecimila persone in uno spazio che poteva contenerne duemila.

Uno sbarco a Lesbo.
Volontari prestano i primi aiuti ai migranti.Il campo di Moria.

Migrazioni climatiche

Le persone si spostano, e si sono sempre spostate, per molti motivi. È difficile associare in maniera univoca clima e migrazioni, ma per capire questo legame è facile immaginare come, in luoghi già difficili del mondo, una diminuzione delle aree con risorse idriche e alimentari costringa la popolazione a dividersi una fetta più piccola delle stesse, causando nuovi conflitti o acuendone di preesistenti. Se tutto ciò si combina con l’instabilità politica del Paese interessato dai mutamenti fisici e sociali e con un governo autoritario che sottrae agli abitanti territori e acqua per realizzare dighe e coltivazioni redditizie, non è difficile immaginare conseguenze devastanti.

Il rischio di spostamenti forzati in contesto di climate change è particolarmente grave nella regione del Corno d’Africa, in presenza di un quadro socio-politico instabile e di conflitti armati prolungati. Inoltre, in contesti fragili come quelli presenti nella regione dei Grandi Laghi, la scarsità idrica indotta da condizioni di siccità e i fenomeni di mobilità a essa associati aumentano la probabilità di conflitti tra agricoltori e allevatori per l’accesso alle risorse.

Le Nazioni Unite stimano che entro il 2050 ci saranno da 80 a 200 milioni di persone che migreranno in modo forzato a causa dei cambiamenti climatici; 143 milioni potranno migrare internamente ai propri Paesi in tre regioni (Africa sub sahariana, America Latina e Asia).

Migrazione interna in Somalia.
I sopravvissuti alle inondazioni pakistane evacuano un'area allagata.

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