In breve
La pulizia etnica nei Balcani venne attuata durante la guerra scoppiata tra i Paesi che componevano la Jugoslavia federale (Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia). Violenze e tensioni politiche insanguinarono l’area tra il 1990 e il 1999. In questo quadro si sviluppò anche il genocidio di Srebrenica, città della Bosnia-Erzegovina, l’11 luglio 1995.
Pianificazione e inizio delle violenze
Già nel 1937 gli estremisti nazionalisti serbi avevano preparato un programma genocidario per il Kosovo, con l'obiettivo di ripulire la Serbia degli elementi stranieri, deportando la popolazione kosovara verso l'Albania e la Turchia. Nel corso della Seconda guerra mondiale, peraltro, gli ustascia (“insorti”, movimento fascista fondato nel 1928 da Ante Pavelic, con lo scopo di combattere per l'indipendenza della Croazia) usano in Croazia il metodo della pulizia etnica nei confronti dei Serbi, compiendo un vero e proprio massacro genocidario (300.000 vittime serbe). Su queste vicende storiche si costituisce la certezza serba di rappresentare il "bene", mentre i croati vengono giudicati “il popolo che ha il genocidio nel sangue”.
L’occasione storica per realizzare il progetto di una Grande Serbia giunse con la disgregazione della ex Jugoslavia, con una crisi nata dopo la morte del maresciallo Tito nel 1980 e precipitata nel 1990-91, con la proclamazione di indipendenza delle repubbliche di Slovenia e Croazia. In risposta all’autonomismo croato, i vertici militari serbi, guidati da Slobodan Milosevic, mobilitarono forze armate e milizie irregolari, dando vita a una vera e propria guerra.
Il caso della Bosnia
Nel 1992 il centro del conflitto si spostò in Bosnia, anch’essa proclamatasi indipendente. Il Paese, abitato da una popolazione mista, con una maggioranza musulmana e una minoranza composta da serbi ortodossi e croati cattolici, divenne teatro di una guerra crudelissima, condotta all’insegna della pulizia etnica. Protagonisti di questo massacro furono soprattutto il presidente dell’enclave serbo bosniaca - la Repubblica Srpska - Radovan Karadzic e il comandante dell’esercito serbo bosniaco Ratko Mladic.
Due gli episodi più noti del conflitto: l’assedio della capitale Sarajevo, il più lungo della storia contemporanea (dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996), durante il quale vennero presi di mira i civili anche con l’impiego di cecchini, e il genocidio di Srebrenica, in cui le truppe del generale Mladic entrarono nella cittadina e uccisero 8372 uomini e ragazzi musulmani, gettandoli poi in fosse comuni.
Il tutto avvenne nonostante la presenza sul territorio di un contingente di caschi blu ONU olandesi. Per giungere alla tregua furono necessari bombardamenti NATO tra maggio e settembre 1995. Il 21 novembre 1995 fu poi firmato l’accordo di pace di Dayton, negli USA, che pose fine ai combattimenti ma divise la Bosnia in una Repubblica serba e una Federazione croato-musulmana.
I responsabili, serbi e croati, dei massacri sono stati giudicati dal Tribunale internazionale dell’Aja.
Il caso del Kosovo
Nel 1998 si ripropose in termini drammatici il problema del Kosovo. In risposta alla protesta autonomista della popolazione di origine albanese, i serbi scatenarono una durissima repressione che colpì, come d'abitudine, soprattutto i civili.
Ancora una volta furono i Paesi NATO a intervenire, e ancora una volta la reazione si concretizzò in una serie di bombardamenti. I serbi risposero intensificando la pulizia etnica in Kosovo, che portò a un drammatico esodo dei kosovari albanesi nelle vicine Albania e Macedonia.
Dopo lunghe mediazioni, che videro protagonista anche la Russia, storico alleato della Serbia di Milosevic, il conflitto terminò. Nel 2000 Milosevic venne sconfitto alle elezioni da Vojislav Kostunica: cercò di contestare il risultato, ma fu costretto ad abbandonare il potere da una grande e pacifica rivolta popolare. Fu successivamente arrestato e consegnato al Tribunale internazionale dell’Aja, dove verrà trovato morto nel marzo del 2006.