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Romania

In breve

Nel 1967 divenne Presidente Nicolae Ceaușescu, il cui governo divenne presto sempre più autoritario. Negli anni ‘70, la “Piccola rivoluzione culturale” scatenò le prime espressioni di dissenso organizzato, che portarono poi alle proteste del 1989 - stroncate dai carri armati.
Il 21 dicembre 1989 un comizio di Ceaușescu a Bucarest finì tra i fischi, e il dittatore si rifugiò nella sede del Comitato centrale. Il 25 dicembre Ceaușescu e sua moglie furono uccisi nel bunker di Targoviste, dopo un processo sommario.

Il dopoguerra

In Romania i comunisti ottennero un ruolo significativo nella vita politica dall’agosto 1944, quando, a fianco dei raggruppamenti democratici e del re Michele, fecero crollare il governo filo nazista del maresciallo Ion Antonescu. Una settimana dopo l’Armata Rossa attraversò il confine: l’esercito sovietico rimase nel Paese per 14 anni.
Nelle elezioni del 9 novembre 1946, i comunisti ottennero l'80% dei voti. Tra il 1946 e il 1947 centinaia di funzionari pubblici, militari e civili, vennero processati con l’accusa di aver sostenuto il regime del generale Antonescu, e molti furono condannati a morte per crimini di guerra. Nel dicembre 1947 re Michele si ritirò in esilio dopo essere stato costretto ad abdicare, il 13 aprile 1948 fu emanata la Costituzione della Repubblica Popolare Rumena che proibiva e puniva ogni associazione di natura fascista o anti democratica e garantiva la libertà di stampa, di parola e di assemblea solo a chi era autorizzato dal Governo.

Nei primi anni del dopoguerra gli accordi “SovRom” fecero nascere molte imprese sovietico-rumene, consentendo l’esportazione in Urss dei prodotti rumeni a prezzo politico. Nel 1948 fu introdotta la collettivizzazione delle terre, delle banche e delle imprese.
All’interno del partito si giunse ad uno scontro tra diverse anime: i “Moscoviti” (tra loro Ana Pauker e Vasile Luca, che avevano trascorso gli anni di guerra nella capitale sovietica), i “Comunisti Prigionieri” di Gheorghe Gheorghiu-Dej, che erano stati nelle carceri rumene durante la guerra, e gli stalinisti “Comunisti del Segretariato”, tra cui Lucretiu Patrascanu, che si erano nascosti durante gli anni di Antonescu e avevano partecipato al Governo del 1944.

Dopo la morte di Stalin, e probabilmente anche a causa delle politiche antisemite del tardo stalinismo (la Pauker era ebrea), Gheorghiu-Dej e i "Comunisti Prigionieri" ebbero la meglio. La Pauker fu espulsa dal partito (insieme ad altri 192.000 membri); Patrascanu fu torturato con l’amputazione di una gamba, accusato di revisionismo e giustiziato.

Da sinistra Gheorghiu-Dej, Ana Pauker, Vasile Luca durante un evento del Fronte Nazionale Democratico in Transilvania, 14 marzo 1945.
Gheorghiu-Dej (a sinistra) con Nikita Khrushchev (a destra) alla chiusura del 7° Congresso del Partito dei Lavoratori Rumeni, giugno 1960. In seconda fila (secondo da sinistra) Nicolae Ceauşescu.Interno di una cella nella prigione di Pitesti.

Il regime di Gheorghiu-Dej e gli anni ‘50

Gheorghiu-Dej non gradì le riforme introdotte in Unione Sovietica da Chruscev dopo la morte di Stalin nel 1953. Inoltre, non condivise l'obiettivo del Comecon (Consiglio di mutua assistenza economica) di portare la Romania nel Blocco Orientale attraverso un programma di sviluppo dell'industria pesante. Chiuse i maggiori campi di lavoro, abbandonò il progetto del Canale Danubio-Mar Nero, pose fine al razionamento e aumentò i salari dei lavoratori. Tutto questo, insieme al risentimento dovuto al fatto che i territori storici della Romania erano rimasti nei confini dell’Urss, portò la Romania su una via relativamente indipendente e nazionalista - anche se il Paese aderì al Patto di Varsavia nel 1955.

Quando il regime comunista raggiunse la stabilità, aumentarono gli arresti soprattutto tra le élite pre-belliche: gli intellettuali, gli uomini di chiesa, gli insegnanti, gli ex politici. Nacque un sistema di campi e prigioni per i lavori forzati sul modello sovietico dei Gulag.
La tristemente famosa prigione di Pitesti divenne l'epicentro di un particolare "esperimento" comunista, con torture psicologiche e fisiche che portavano al crollo totale dell'individuo e trasformavano le vittime in carnefici. Durante la rivoluzione di Budapest, il governo rumeno offrì il proprio sostegno all’Urss, e in cambio l’Unione Sovietica nel 1958 ritirò le proprie truppe dal Paese. Dopo la rivoluzione del 1956, Gheorghiu-Dej lavorò a stretto contatto con il nuovo leader ungherese, János Kádár, che in cambio rinunciò alle pretese sulla Transilvania.

Dopo il 1956, in Romania iniziarono le purghe politiche e si diffuse il terrore: ogni iniziativa di opposizione fu duramente sanzionata, crebbe il numero dei campi di lavoro. Si spensero nel sangue le proteste contro la nazionalizzazione e la collettivizzazione: chi si opponeva era perseguitato, torturato, ucciso o deportato. Anche a seguito di queste repressioni, presero vigore alcuni gruppi di resistenza armata.

La Casa del Popolo, oggi sede del Parlamento.

La Casa del Popolo, oggi sede del Parlamento.

Nicolae Ceausescu e il “comunismo nazionale”

Nicolae Ceaușescu fece del comunismo nazionale la linea guida del governo rumeno. Divenuto Capo del Partito Comunista nel 1965, dopo la morte in circostanze non chiare di Dej a Mosca, e Capo dello Stato nel 1967, fin dai primi anni del suo governo seppe sfruttare il nazionalismo nel gioco politico: appellandosi ai sentimenti antisovietici della gente si conquistò la simpatia della società.
Al comunismo nazionale si accompagnò una certa liberalizzazione dell’economia. Vennero rilasciati i prigionieri politici, per dare l’impressione che il terrore fosse una conseguenza della politica sovietica e che la Romania si stesse invece incamminando verso un sistema liberale. Ceaușescu sfruttò il processo di liberalizzazione per eliminare tutti gli oppositori, accusandoli di essere responsabili del terrore degli anni ’50.
La grande popolarità che Ceaușescu si guadagnò grazie a questa politica a poco a poco divenne un culto della personalità, mentre il suo governo diventava sempre più autoritario e i rigidi controlli della polizia soffocavano sul nascere qualsiasi critica al regime.

Dopo la visita del 1971 nella Corea del Nord, Ceaușescu sviluppò una visione di completa ristrutturazione della nazione, la cosiddetta “sistematizzazione” o “Piccola Rivoluzione Culturale”. Per far posto al gigantesco complesso della Casa del Popolo e all’annesso Centro Civico fu rasa al suolo una grande parte di Bucarest, cancellando un intero quartiere di 40mila edifici.
Negli anni ’80, per ripagare i prestiti stranieri e terminare la costruzione del Palazzo del Popolo, si razionarono i beni di prima necessità in modo sempre più drastico. Dal 1985 questo provvedimento si estese anche al petrolio, all’energia elettrica, al gas e al riscaldamento. Nacque il mercato nero e le sigarette divennero la “seconda valuta” del Paese, utilizzate per comprare qualsiasi cosa. Contemporaneamente, il controllo sulla società si fece sempre più rigido: le conversazioni telefoniche erano spiate, la Securitate arruolò molti nuovi agenti, la censura divenne più ferrea. Secondo alcuni rapporti, nel 1989 un rumeno su tre era un informatore.

Time, 18 marzo 1966

Time, 18 marzo 1966

Newsweek, 21 agosto 1989

Newsweek, 21 agosto 1989

Paris Match, 4 gennaio 1990

Paris Match, 4 gennaio 1990

Le forme del dissenso negli anni settanta e ottanta

Le prime espressioni significative di un movimento dissidente comparvero all’inizio degli anni ’70, in seguito alla “Piccola Rivoluzione Culturale”: nel 1970 il poeta Anatol E. Baconski pubblicò su una rivista letteraria austriaca un articolo in cui protestava contro la censura in Romania, l’anno successivo il poeta Dan Desliu si espresse pubblicamente contro la politica del governo.
Nel 1977 scoppiò una protesta nelle miniere di Lupeni, che si diffuse in tutta la pianura dello Jiu. Gli scioperi furono soffocati con la violenza e le deportazioni di centinaia di operai. Nel febbraio 1979 Ionel Cana e Gheroghe Brasoveanu fondarono il Sindacato Libero dei Lavoratori Rumeni.

Nel 1972 la minoranza tedesca creò a Timisoara il “Gruppo Operativo Banat”, costituito da scrittori francofoni del Banato, che intendeva proporre iniziative culturali indipendenti. I partecipanti subirono dure repressioni: il fondatore William Totoka fu incarcerato, mentre altri, tra cui il premio Nobel Herta Müller, andarono in esilio. Diversa la sorte della minoranza ungherese, vittima di un programma di assimilazione totale.

Sul fronte ecclesiastico, benché la Chiesa Ortodossa Rumena collaborasse con lo Stato, molti religiosi presero posizione contro le limitazioni alla libertà di fede. Uno di loro, Gheorghe Calciu-Dumitreasa, fu arrestato nel 1979 e rilasciato solo nel 1984, a seguito di proteste internazionali. Alcuni membri dell’Associazione degli Scrittori, benché aderenti a un’organizzazione di partito, rivendicarono il diritto alla libertà di pensiero, diventando così il simbolo del rifiuto dell’ideologia, anche a prezzo della propria carriera. Una delle rappresentanti più significative di questo gruppo fu la poetessa Ana Blandiana, i cui versi erano un’aperta critica al regime.

Le figure di dissidenti più importanti di questo periodo sono Doina Maria Cornea, docente di Romanistica all’università di Cluj, che nonostante le persecuzioni di cui fu incessantemente oggetto, espresse sempre con coerenza la propria opposizione al regime e Paul Goma, l’unico oppositore rumeno a scrivere una lettera pubblica di solidarietà a “Charta 77”, arrestato e torturato con l’accusa di alto tradimento per le sue critiche al regime.

Gli anni ’80 si caratterizzarono per una grave crisi economica e per il progressivo peggioramento delle condizioni di vita. Alla notizia di una nuova diminuzione dei salari, il 15 novembre 1987 migliaia di lavoratori scesero per strada a Brasov protestando contro Ceaușescu. La repressione fu immediata.

Militari sorvegliano l'ingresso della Prefettura di Timişoara mentre i rivoluzionari gridano “Niente proiettili” e “Niente violenza”, 20 dicembre 1989.Il momento in cui Ceaușescu viene fischiato e la trasmissione televisiva sta per essere interrotta, 21 dicembre 1989.
Un uomo regge la bandiera rumena con il simbolo comunista strappato dal centro su un balcone che domina Piazza del Palazzo, dicembre 1989.

1989, il crollo

Nel marzo 1989 la BBC diffuse la cosiddetta “Lettera dei sei”, in cui sei ex leader comunisti criticavano la politica interna di Ceaușescu: la collettivizzazione delle campagne, il folle piano di distruzione di Bucarest, lo strapotere delle Securitate, la censura e le intercettazioni telefoniche.

Il 17 marzo il quotidiano francese Liberation pubblicò un pamphlet di Mircea Dinescu che descriveva la situazione del Paese. In maggio, durante l’incontro a Parigi della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, Gabriel Andreescu fece uno sciopero della fame di due settimane per protestare contro il regime.
Due mesi dopo fu presentato alla Commissione per la Difesa contro la Discriminazione e la Difesa delle Minoranze il rapporto sulle violazioni dei diritti umani di Dumitri Mazilu. Con questo gesto eclatante, Mazilu, ex diplomatico e ufficiale della Securitate, iniziò a combattere contro il regime. Nell’ottobre 1989 Doina Maria Cornea insieme a un folto gruppo di dissidenti spedì in Occidente una lettera aperta contro la rielezione di Ceaușescu a segretario del partito. Nel frattempo nel Paese si scatenò una violenta ondata di arresti.

Il 17 dicembre un gruppo di Ungheresi transilvani, a cui si unirono anche numerosi Rumeni, si raccolse a Timisoara davanti alla casa del pastore protestante Laszlo Tokes, condannato all’esilio. Il governo rispose con i carri armati, uccidendo 100 persone. Il 20 dicembre il dittatore condannò gli eventi di Timisoara con un discorso alla radio. Il giorno seguente un comizio di Ceaușescu davanti alla sede del Comitato Centrale di Bucarest finì nel caos: il leader fu costretto a rifugiarsi all’interno dell’edificio. La popolazione prese d’assedio il palazzo dove erano rinchiusi Nicolae ed Elena Ceaușescu, che fuggirono in elicottero dal tetto. Contemporaneamente furono occupate la radio e la televisione, che cominciarono a trasmettere in diretta la cronaca degli eventi. A sera si costituirono i primi reparti armati di rivoltosi, ai quali si unì l’esercito, che invase la sede della Securitate.
Il 25 dicembre, Nicolae ed Elena Ceaușescu furono condannati a morte al termine di un processo sommario nel bunker di Targoviste dove si erano rifugiati. La sentenza fu eseguita immediatamente.

Rispetto agli altri Paesi del blocco sovietico, in Romania il dissenso non ha avuto parte nella caduta del regime. Il suo minore grado di attività rispetto a quello di altri Paesi ha piuttosto contribuito a far sì che, dopo il 1989, a Bucarest si siano installati al potere i rappresentanti di seconda linea del Partito comunista e non gli oppositori al partito. I cambiamenti che ci si doveva aspettare dopo la caduta del regime sono stati perciò molto più dilazionati, esitanti e parziali.

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