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Uiguri

In breve

Gli uiguri sono una minoranza turcofona musulmana che vive nel nord-ovest della Cina, soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang, insieme ai cinesi han. Un rapporto delle Nazioni Unite del 2018 stima che più di un milione di uiguri si trovino attualmente rinchiusi in quelli che il governo cinese definisce “centri di formazione professionale”, che in realtà sono dei luoghi di detenzione, repressione e lavoro forzato, volti a snaturare l’identità religiosa e culturale della minoranza islamica, con il pretesto della lotta al terrorismo e alla violenza estremista.
La popolazione uigura è inoltre sottoposta a un sistema di controllo delle nascite e di facilitazione della sostituzione demografica attuato attraverso controlli di gravidanza, obbligo d’interruzione della stessa, uso forzato di contraccettivi intrauterini e severe sanzioni per chi non rispetta le norme sul numero di figli concessi (i tassi di natalità nella regione dello Xinjiang sono diminuiti di oltre il 60% tra il 2015 e il 2018). Il Parlamento europeo, che già aveva condannato l’internamento di massa degli uiguri, ha dichiarato a giugno 2020 che “potremmo essere di fronte a un genocidio”.

Contesto storico e distribuzione etnica

Secondo la tradizione, non tutti i cittadini della Cina si possono definire propriamente cinesi, ma solo quelli di etnia han, che corrispondono a circa il 92% della popolazione totale del Paese. In Cina sono presenti cinquantasei gruppi etnici riconosciuti dal Partito Comunista Cinese e le etnie più numerose, oltre a quella han, sono zhuang, manciù, hui, miao, tujia, yi, mongoli, tibetani e appunto gli uiguri dello Xinjiang. In considerazione di queste specificità, alcune delle aree di stanziamento delle minoranze hanno ricevuto statuti di autonomia: Mongolia Interna, Ningxia Hui, Xinjiang Uygur, Tibet, Guangxi Zhuang.

Lo Xinjiang Uygur, una delle più grandi regioni autonome della Cina, si trova tra Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan, India, la regione autonoma del Tibet e le province del Qinghai e del Gansu. Passato dal Guomindang alle forze comuniste durante la guerra civile del 1949, ha acquisito nel 1955 lo status di regione autonoma - che garantisce un proprio governo locale e una maggiore autonomia legislativa rispetto alle province cinesi - proprio per la presenza sul territorio della minoranza uigura.
Il gruppo uiguro ha quindi assunto lo status ufficiale di “minoranza regionale all’interno di uno stato multiculturale” e le sue specificità, quali soprattutto i tratti antropometrici simili a quelli delle popolazioni dell’Asia Centrale, la cultura e la religione musulmana sunnita, lo rendono uno dei maggiormente distinti rispetto all’etnia maggioritaria del Paese, quella han.

Gli uiguri, che vivono principalmente di pastorizia e commercio, sono stati oggetto, a partire soprattuto dalla Rivoluzione Cinese, di soprusi e repressioni identitarie di lingua e cultura, oltre che persecuzioni a sfondo religioso, privazioni sistematiche di libertà, mascherate da assistenza economica e lotta al separatismo, all’intero processo di sinizzazione del Paese (processo propagandistico, militare o culturale attraverso il quale diventano cinesi territori di cultura, tradizione, lingua e origine diverse).

Studenti di una scuola media bilingue per studenti uiguri e han a Hotan, 13 ottobre 2006.

Studenti di una scuola media bilingue per studenti uiguri e han a Hotan, 13 ottobre 2006.

Lavoratrici uigure della Taekwang Shoe Manufacturing sventolano la bandiera cinese, ottobre 2019.

Lavoratrici uigure della Taekwang Shoe Manufacturing sventolano la bandiera cinese, ottobre 2019.

Come nasce la questione degli uiguri e perché sono una “minaccia” per Pechino

La situazione attuale della cosiddetta questione uigura nasce per molti versi dalla paura del governo cinese rispetto al riaccendersi dei sentimenti secessionisti della minoranza uigura dopo il crollo dell’Unione Sovietica e l’istituzione delle repubbliche indipendenti di Kazakistan, Kirghizistan e Tajikistan in Asia Centrale. Gli uiguri dello Xinjiang cominciarono in quel periodo scambi, soprattutto commerciali, con altri uiguri abitanti Stati come Kazakistan e Kirghizistan. L’ideale panturco prese quindi nuova linfa da questi contatti dando il via a un nuovo ciclo di moti separatisti nella regione.

Questo separatismo è stato racchiuso dal Partito Comunista Cinese all’interno del concetto generale di “terrorismo” e gli uiguri sono divenuti quindi parte della “minaccia globale terroristica”, facendo confluire l’estremismo religioso, il separatismo e il terrorismo all’interno di un unico grande pericolo per Pechino.
La situazione degli uiguri e della potenziale instabilità da loro creata si è poi complicata ulteriormente, divenendo una delle urgenze della cooperazione in Asia Centrale, con la nascita della Struttura Regionale per l’Antiterrorismo, un’agenzia volta allo scambio di informazioni su gruppi terroristici transnazionali e alla pianificazione di operazioni congiunte di antiterrorismo che fa capo alla SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai che riunisce Cina, Russia, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan, Uzbekistan, India e Pakistan).

La stabilità interna dello Xinjiang è un fattore che coinvolge molte potenze e rappresenta una priorità fondamentale per la sicurezza e la politica estera della Cina, essendo la regione un passaggio obbligato nei progetti della Nuova via della seta, l'iniziativa strategica della Repubblica Popolare Cinese per il miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i paesi nell’Eurasia.
La convergenza di questi interessi economici e politici rende estremamente complessa una esplicita presa di posizione sui diritti violati della minoranza uigura, che la Cina porta avanti nel nome di una teorica prevenzione al terrorismo e di una più reale sicurezza economica nazionale.

Immagine satellitare del “centro di formazione professionale” di Jiashi, gennaio 2018, con infrastruttura di sicurezza aggiunta dal 2017 evidenziata in arancione.Recinzione perimetrale intorno a quello che è ufficialmente un “centro di formazione professionale” a Dabancheng.
Foto pubblicata dall'amministrazione giudiziaria dello Xinjiang sul proprio account WeChat.

La persecuzione degli uiguri

Grazie alle testimonianze di molti uiguri che stanno coraggiosamente raccontando ciò che avviene nei centri di detenzione dello Xinjiang, a rischio della propria incolumità e di quella dei familiari, oggi abbiamo uno spaventoso quadro di quello che la minoranza uigura sta subendo in Cina.
Secondo le stime, più di un milione di uiguri si trovano oggi rinchiusi in “centri di formazione professionale” sorvegliati notte e giorno dove sono obbligati al lavoro forzato a bassissimo costo, subiscono interrogatori, abusi, privazioni di cibo e sonno come trattamento punitivo e indottrinamento volto a farli diventare sostenitori laici e leali del Partito.

Si parla di persone che spariscono nel nulla, moschee rase al suolo e sostituite da edifici turistici, a cui si aggiungono una brutale imposizione della cultura e del patriottismo cinesi - attuata nei centri tramite compulsive lezioni e il costante obbligo di celebrare festività cinesi, di parlare solo in cinese, di cantare canzoni rivoluzionarie.

È trapelato anche un agghiacciante copione-guida che i funzionari devono seguire quando spiegano agli studenti, che rientrano nella regione dai campus scolastici, perché i loro genitori siano scomparsi. Il documento avverte in generale del rischio che gli studenti possano entrare a far parte della “rivolta” dopo aver appreso cosa è successo ai loro genitori, e raccomanda dunque di incontrarli immediatamente al loro rientro. La guida contiene indicazioni precise sulle risposte da dare a domande quali «Dov’è la mia famiglia?». In tal caso la risposta sarà «Si trova in una scuola di formazione istituita dal governo». Ai ragazzi viene anche detto che non c’è alcun motivo di preoccuparsi, che le famiglie stanno bene e che le scuole dove si trovano sono gratuite. Ai funzionari viene poi data l’indicazione di spiegare che i genitori non sono dei criminali, ma che comunque non possono lasciare le “scuole”.

Il "Mandela della Cina" condannato all'ergastolo per la difesa dei diritti degli uiguri, Ilham Tohti, è stato insignito a ottobre 2019 del Premio Sakharov per la libertà di pensiero.

I poliziotti spingono le donne uigure che stanno protestando in strada il 7 luglio 2009 a Urumqi dopo che i loro parenti sono stati arrestati dalle autorità.
Una donna uigura attraversa l'ingresso di un bazar a Hotan, 31 maggio 2019.Paramilitari pattugliano le strade di Urumqi il 13 luglio 2019.

La sorveglianza

La persecuzione oggi è anche automatizzata e capillare: migliaia di uiguri vengono schedati con un sofisticato sistema di riconoscimento facciale su “base etnica”, sfruttando una rete di telecamere di sorveglianza sparse in tutto il territorio cinese. Il software è stato creato usando fotografie di uiguri che hanno permesso di affinare il riconoscimento dei tratti somatici più tipici del gruppo turcofono, diversi da quelli degli han.
In questo modo, gli incontri e gli spostamenti degli uiguri possono essere tracciati e qualsiasi comportamento “sospetto” può costare la segnalazione alle autorità e la reclusione nei centri. Gli atteggiamenti che suscitano preoccupazione nel governo cinese sono anche il semplice viaggio in un Paese straniero, una mancanza di entusiasmo nell’usare il cinese mandarino nei propri dialoghi - controllati attraverso il monitoraggio degli smartphones -, una conversazione a tema religioso.

Inoltre, la polizia cinese ha amministrato quello che viene chiamato "controllo sanitario", che comporta la raccolta di vari dati biometrici, tra cui DNA, gruppo sanguigno, impronte digitali, registrazioni vocali e scansioni del viso - un processo a cui andranno incontro tutti gli adulti dello Xinjiang.

Libération, 6 settembre 2019

Libération, 6 settembre 2019

The Times Literary Supplement, 25 settembre 2020

The Times Literary Supplement, 25 settembre 2020

The Economist, 17 ottobre 2020

The Economist, 17 ottobre 2020

L’inchiesta del New York Times e la posizione dell’UE

Il New York Times ha ottenuto a fine 2019 più di 400 pagine di documenti riservati che raccontano come il regime comunista cinese organizzi le detenzioni di massa e la repressione della minoranza musulmane degli uiguri nella provincia occidentale dello Xinjiang. Si è trattato di una delle fughe di notizie più significative di sempre all’interno del Partito comunista cinese.
Le carte trapelate sono costituite da 24 documenti: comprendono quasi 200 pagine di discorsi interni del Presidente cinese e di altri leader, più di 150 pagine di direttive e relazioni sulla sorveglianza e il controllo della popolazione uigura nello Xinjiang, e quasi 50 pagine di materiale su indagini interne riguardanti funzionari locali. Vi sono anche riferimenti ai programmi di indottrinamento nelle carceri dello Xinjiang e ai piani per estendere le restrizioni sull'Islam ad altre parti della Cina.

Tra le principali informazioni contenute nelle pagine, c’è il ruolo svolto nella repressione dal presidente della Cina. Xi Jinping, in una serie di discorsi privati ai funzionari, chiede che gli estremisti religiosi siano trattati «senza alcuna pietà», al fine di portare avanti una lotta più coordinata e radicale «contro il terrorismo e il separatismo». Il presidente invita il partito a usare tutti gli strumenti a sua disposizione per sradicare l’Islam nello Xinjiang. Paragona l’estremismo islamico al contagio di un virus o a una droga che crea dipendenza, e aggiunge che «l’impatto psicologico del pensiero religioso estremista sulle persone non deve mai essere sottovalutato».

A giugno 2020, è arrivata finalmente dal Parlamento europeo, che già aveva condannato l’internamento di massa degli uiguri, una forte presa di posizione: “potremmo essere di fronte a un genocidio”, hanno dichiarato Reinhard Buetikofer ed Evelyne Gebhardt, presidente e primo vicepresidente della delegazione del Parlamento europeo per le relazioni con la Repubblica Popolare Cinese. A dicembre 2020 il Parlamento Europeo ha detto che le azioni contro gli uiguri “potrebbero soddisfare i criteri internazionalmente riconosciuti di genocidio”.
L’affermazione è motivata in particolare dall’emergere di nuove notizie sulla sterilizzazione forzata a cui sono costrette molte donne uigure per accelerare la sostituzione demografica.
"Siamo profondamente scioccati dalle ultime rivelazioni sulla massiccia campagna del Partito Comunista Cinese per schiacciare il tasso di natalità degli uiguri nello Xinjiang - hanno dichiarato Buetikofer e Gebhardt - le notizie sulla sterilizzazione forzata e sugli aborti, come pure sulle severe sanzioni che vengono inflitte per le violazioni alle norme sul controllo delle nascite, sono di un'atrocità senza precedenti e corroborano ulteriormente la valutazione che potremmo essere di fronte a un crimine di genocidio”.

Durante il Covid-19 la condizione degli uiguri peggiora

Durante la grande ondata della pandemia di Covid-19 in Cina, si è verificato un vuoto di notizie per quello che riguarda la regione dello Xinjiang, i dati erano fermi e pochissimo si è saputo sulla condizione in cui si trovano gli uiguri richiusi nei centri.

I rapporti degli esuli uiguri hanno però descritto come il blocco dovuto al Covid abbia messo la minoranza musulmana nello Xinjiang ulteriormente a rischio, non solo sanitario ma anche legato alla mancanza di cibo. I documenti interni cinesi trapelati sul New York Times e l'International Consortium of Investigative Journalists hanno elencato inoltre i pericoli delle malattie infettive nel programma di indottrinamento.
Sayragul Sauytbay, una donna kazaka di origine cinese che è stata costretta per qualche mese a lavorare come insegnante di lingua cinese in un campo fino all'inizio del 2018, ha dichiarato: "Secondo la mia esperienza personale nel campo, non hanno mai aiutato nessuno o fornito alcun supporto medico per qualsiasi tipo di malattia o condizione di salute”.

Manifestanti a Londra, 22 aprile 2021.

Manifestanti a Londra, 22 aprile 2021.

Cresce l’attenzione internazionale, accuse di genocidio

Il 22 marzo 2021 Stati Uniti, Unione Europea, Regno Unito e Canada si sono coordinati per sanzionare la Cina per violazione dei diritti umani rispetto alla persecuzione della popolazione uigura. Una settimana più tardi, il 30 marzo, gli Stati Uniti hanno diffuso un rapporto redatto dal dipartimento di Stato americano che accusa ufficialmente la Cina di “genocidio”, dopo che il Paese aveva già utilizzato questo termine in riferimento alla questione degli uiguri il 19 gennaio 2021 nella persona del Segretario di Stato Mike Pompeo. A febbraio 2021, anche il Parlamento canadese ha votato all’unanimità per dichiarare il trattamento riservato dalla Cina ai cittadini di minoranza uigura un “genocidio”. 

In risposta, Pechino ha sanzionato a sua volta Stati Uniti, Canada, Unione Europea e Regno Unito. Ha definito “bugie” le dichiarazioni relative alla persecuzione degli uiguri e invitato l’Alto commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet a visitare la regione dello Xinjiang. Il comitato antidiscriminazione delle Nazioni Unite aveva espresso già nel 2018 preoccupazione per il trattamento riservato dalla Cina alla minoranza musulmana uigura, citando le segnalazioni di detenzioni di massa e violenze. A marzo 2021, sedici esperti indipendenti dell’Onu hanno inoltre rilasciato un rapporto che denuncia gravi violazioni dei diritti umani contro la minoranza musulmana e dice che oltre 150 società cinesi e straniere sarebbero indirettamente coinvolte nel lavoro forzato e lo sfruttamento della comunità uigura detenuta nei campi di internamento.

La condizione degli uiguri nello Xinjiang è stata resa nota a livello internazionale grazie alla denunce dei Paesi e delle organizzazioni, alle inchieste come quella del New York Times nel 2019, della CNN nel 2020 o del Newlines Institute for Strategy and Policy nel 2021, ma soprattutto grazie alle testimonianze degli uiguri stessi, tra cui molti ex detenuti, che con grave rischio personale stanno raccontando ciò che accade in Cina a danno del loro popolo. Tra di loro, il volto più conosciuto è certamente quello di Dolkun Isa, uiguro presidente del Congresso mondiale degli Uiguri e promotore del tribunale londinese che è stato istituito per giudicare i crimini commessi da Pechino nei confronti degli uiguri e che ha audito più di 30 testimoni durante la sua prima serie di udienze a giugno 2021.

Il rapporto di Amnesty International sulle persecuzioni

Sempre a giugno 2021 Amnesty International ha rilasciato uno scioccante rapporto di 160 pagine intitolato Cina: “Come nemici in guerra”. Internamento di massa, tortura e persecuzione contro i musulmani dello Xinjiang. In questo testo, accompagnato da illustrazioni, Amnesty ha denunciato che gli uiguri, i kazachi e altre minoranze etniche prevalentemente musulmane subiscono da parte dello Stato cinese imprigionamenti di massa, torture e persecuzioni che si configurano come crimini contro l’umanità. Il rapporto si basa su interviste a oltre 50 ex detenuti, documenti governativi trapelati al pubblico e una serie di immagini satellitari che indicherebbero la costruzione di nuove prigioni nello Xinjiang a partire dal 2017. Una presa di posizione è arrivata anche dal G7 in Cornovaglia che ha chiesto alla Cina il "rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, soprattutto nello Xinjiang”.

Il rapporto dell’ONU

Nella tarda serata di mercoledì 31 agosto 2022, poco prima della mezzanotte, l’Onu ha rilasciato un atteso rapporto che conferma gravi violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. L’indagine - che si basa su documenti ufficiali e racconti di 40 ex detenuti - segue di quattro mesi la visita in Cina di Michelle Bachelet, la prima di un Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani dal 2005.
Il rapporto dell’Onu, che suggella quattro anni di verifiche, definisce la campagna antiterrorismo del governo cinese “profondamente problematica secondo gli standard internazionali sui diritti umani”. Rileva inoltre la “diffusa privazione arbitraria della libertà“, e accenna al rischio di “crimini contro l’umanità“. Ma non conferma le accuse di “genocidio” supportate da Washington e alcuni parlamenti europei.

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