In breve
In un Paese sotto il controllo del Partito comunista dal 1949, il 23 ottobre 1956 migliaia di studenti e operai scesero in piazza nel centro di Budapest per una manifestazione pacifica che si trasformò in una rivolta contro la dittatura e contro la presenza sovietica in Ungheria. Il nuovo governo di Imre Nagy, che concesse gran parte di quanto richiesto dai manifestanti, venne deposto in seguito all’arrivo dei carri armati sovietici. Dopo il ritorno alla democrazia, nel 1990, il Paese ha conosciuto inizialmente una fase di sviluppo economico e vivacità culturale ma, dopo la crisi del 2009, ha visto prevalere tendenze populiste, autoritarie e antieuropee.
Sotto il controllo sovietico dal 1947
Alla fine della Seconda guerra mondiale l’Ungheria si era ritrovata sotto il controllo delle truppe sovietiche. I comunisti riuscirono progressivamente a ridurre al silenzio le altre forze politiche: circa 160.000 cittadini di origine tedesca furono costretti a lasciare le loro abitazioni, molti funzionari pubblici furono licenziati e a molti altri fu tolto il diritto di voto, mentre gran parte dell’economia fu nazionalizzata. Le elezioni del 1947 videro la vittoria del Partito comunista. Il 23 dicembre 1948 venne arrestato il primate d’Ungheria, cardinale Jozszef Mindszenty, condannato all’ergastolo qualche mese più tardi. Dal 1949 il Partito comunista acquisì il controllo totale del Paese.
A causa della forzata industrializzazione, della collettivizzazione delle campagne, del soffocamento di qualsiasi iniziativa privata e dei debiti di guerra verso l’URSS, il Paese subì un progressivo impoverimento, che fece crescere un forte malcontento sociale.
La rivoluzione del ‘56
Il 23 ottobre 1956 migliaia di studenti e operai scesero in piazza nel centro di Budapest per una manifestazione pacifica di solidarietà con gli operai e gli studenti polacchi di Poznań, vittime della repressione a seguito degli scioperi di giugno.
Ben presto gli abitanti della città andarono ad ingrossare le fila dei manifestanti, in una rivolta contro la dittatura e la presenza sovietica in Ungheria. Il discorso alla radio del Primo ministro e Segretario del Partito, Ernő Gerő, in cui si condannavano duramente i dimostranti, esacerbò la situazione: la folla raccolta sotto l’edificio della radio attaccò i soldati e la polizia giungendo allo scontro armato. Il giorno dopo, le truppe sovietiche entrarono in città su richiesta del governo.
Gerő fu sostituito alla guida del Partito da János Kádár, mentre la rivoluzione si estese ad altre città: furono istituiti comitati rivoluzionari e consigli operai, ripristinati molti partiti.
Il governo di Imre Nagy
Il 25 ottobre Imre Nagy divenne il nuovo premier e riconobbe subito che l’insurrezione aveva il carattere di una rivoluzione nazionale: concesse gran parte di quanto richiesto dai manifestanti in un programma in sedici punti che prevedeva, tra l’altro, il ritiro delle truppe sovietiche e la democratizzazione della vita politica. Il 30 ottobre fu deciso il ritiro delle truppe da Budapest, e fu dichiarato sciolto il Partito Ungherese del Lavoratori, sostituito dal Partito Socialista Operaio Ungherese guidato dai sostenitori delle riforme.
Lo stesso giorno fu scarcerato il cardinal Mindszenty, che rientrò a Budapest e tenne un discorso alla radio di sostegno al nuovo governo. Il 1° novembre l’Ungheria uscì dal Patto di Varsavia e dichiarò la propria neutralità.

Carri armati sovietici entrano nel centro di Budapest vicino alla stazione ferroviaria di Nyugati, 4 novembre 1956.
Kádár primo ministro: inizia la repressione
Il 3 novembre, nel corso di una trattativa per il ritiro delle truppe sovietiche, il KGB arrestò a tradimento il neo ministro della difesa Pál Maléter. Il giorno dopo l’Armata Rossa arrivò alle porte di Budapest e sferrò l’attacco: le colonne di carri armati furono appoggiate da incursioni aeree, bombardamenti di artiglieria ed azioni combinate di carri e fanteria per penetrare nelle aree urbane più difficili. Nagy fece trasmettere alla radio di Stato un messaggio in cui denunciava l’aggressione dell’Armata Rossa e si rifugiò nell’ambasciata jugoslava, mentre il cardinal Mindszenty trovò rifugio nell’Ambasciata Americana, dove rimase per 15 anni. Nagy fu consegnato ai sovietici il 22 novembre e trasferito a Snagov, in Romania.
Il 7 novembre fu restaurato un governo filosovietico guidato da Kádár.
Imre Nagy, Pál Maléter e il giornalista Miklós Gimes vennero processati e giustiziati in gran segreto il 16 giugno 1958, dopo un processo a porte chiuse durato cinque giorni. Jozsef Szilagyi, capo della segreteria di Nagy, era già stato giustiziato due mesi prima.
La rivoluzione ungherese fu repressa in modo particolarmente duro: furono eseguite oltre 500 condanne a morte, decine di migliaia di persone vennero rinchiuse in campi di internamento o in carcere, 200mila lasciarono il Paese. Con il tempo cessarono le repressioni di massa, e, a prezzo di un forte indebitamento estero, lo Stato riuscì a garantire un discreto livello di vita.

Paris Match, 3 novembre 1956

Epoca, 11 novembre 1956

Time, 7 gennaio 1957
La nascita del dissenso: il samizdat e la critica dei circoli intellettuali
I primi segni di ripresa del dissenso si videro soltanto a metà degli anni Settanta, negli ambienti dell’intellighenzia di Budapest legati al filosofo György Lukács: la cosiddetta “Scuola di Budapest” di Ágnes Heller, Ferenc Fehér, György Markus, Mihály Vajda. Sono di quegli anni alcune fondamentali opere di critica filosofica al marxismo pubblicate in forma clandestina, che diedero il via alla nascita di un samizdat ungherese. Particolarmente significativa fu Profil, l’opera di oltre mille pagine del critico cinematografico e letterario János Kenedi pubblicata nel marzo 1971, che conteneva opere rifiutate negli anni precedenti dalle redazioni ufficiali con il pretesto che non corrispondevano ai criteri delle case editrici.
La prima opera politica del samizdat fu l’antologia del 1977 Marx nel quarto decennio, che segnò il definitivo abbandono del marxismo da parte dei suoi vecchi sostenitori. Nell’autunno dello stesso anno Miklós Szabó cominciò a organizzare seminari e conferenze denominati Università Libera del Lunedì.
Accanto al circolo di Lukács un altro ambiente dell’opposizione particolarmente importante fu quello sorto attorno al sociologo István Kemény, incarcerato per aver partecipato all’insurrezione del 1956 e che, solo dieci anni dopo essere uscito dal carcere, poté svolgere delle ricerche sugli strati più poveri della popolazione: zingari e operai delle grandi fabbriche statali. I suoi discepoli organizzarono raccolte di abiti e di denaro e fornirono sostegno legale a chi subiva abusi sul lavoro, e allo stesso tempo denunciarono il fatto che il socialismo non aveva eliminato la povertà. Per questo nel 1977 Kemény fu costretto all’esilio. In seguito, nel 1979, dalla sua opera nacque il Fondo di Aiuto ai Poveri, la prima organizzazione sociale ungherese di aperta opposizione al regime.
Il “dissenso” attivo e la dura reazione repressiva del regime
Quando nell’ottobre del 1977 i rappresentanti di Charta ’77 furono condannati al carcere, in Ungheria vennero diffuse due lettere di solidarietà con i dissidenti cecoslovacchi. Il regime reagì duramente: una parte dei firmatari perse il lavoro, mentre altri furono messi in carcere.
Un momento fondamentale per la crescita del movimento di opposizione fu la pubblicazione nel 1980 del Libro in memoria di Bibó. Lo storico e politologo István Bibó fu fautore della cosiddetta “terza via”, ministro del governo Nagy durante la rivoluzione del ’56 e riconosciuto negli ambienti della cultura clandestina come modello di moralità e capacità culturale.
Fra gli autori del libro troviamo i nomi più importanti del mondo intellettuale ungherese. La pubblicazione dell’opera provocò la reazione del regime, che nel dicembre creò un gruppo speciale all’interno del Ministero degli Interni per combattere i dissidenti.
I funerali di Nagy e il referendum del 1989
Nel 1983 una nuova legge elettorale permise la candidatura al parlamento di alcuni esponenti dell’opposizione. Negli anni successivi, in seguito ai mutamenti in Unione Sovietica, l’opposizione democratica ebbe la possibilità di influire in modo sempre più diretto sulla politica nazionale e sul Partito, tanto che nel 1987 ai suoi vertici troviamo alcuni nomi da sempre ritenuti avversari di János Kádár. Nel 1988 nacquero gruppi indipendenti, organizzazioni civili e sociali, mentre molti dei circoli fino ad allora clandestini uscirono allo scoperto e le manifestazioni pubbliche, che il regime cercava di proibire senza successo, divennero sempre più frequenti.
Consapevoli che il processo di democratizzazione non poteva essere più fermato, il 22 marzo 1989 le otto organizzazioni di opposizione più importanti diedero il via a una Tavola Rotonda dell’Opposizione per mettere a punto la propria strategia. Il 2 maggio 1989 l’Ungheria iniziò, sotto lo sguardo delle telecamere di tutto il mondo, lo smantellamento della Cortina di ferro che correva lungo i 345 chilometri della frontiera con l’Austria.
Il 13 giugno 1989 il partito di governo accettò le condizioni poste dall’opposizione e si sedette al tavolo delle trattative. Nel frattempo, il 16 giugno 1989, si svolsero i funerali simbolici di Imre Nagy e degli altri caduti della rivoluzione del ’56 cui partecipò una folla immensa.
Le trattative tra l’opposizione e il governo si chiusero il 18 settembre 1989, lasciando aperte molte questioni, che spinsero “l'Alleanza dei giovani democratici” (Fiatal Demokraták Szövetsége), che si sarebbe poi tramutata nel partito Fidesz, guidata da Viktor Mihály Orbán, a non firmare l’accordo e a chiedere un referendum su quattro questioni: la soppressione della polizia di partito, la liquidazione dei beni del partito, lo scioglimento delle organizzazioni di partito all’interno delle fabbriche, le elezioni parlamentari e presidenziali. Il referendum si svolse il 26 novembre 1989 con la vittoria dell’opposizione.
L’apertura dei confini e la democratizzazione del Paese
In agosto un simbolico “picnic paneuropeo”, organizzato dagli oppositori presso il varco di confine a Sopron, si trasformò nell’occasione per passare a Ovest: migliaia di cittadini di tutti i Paesi del blocco sovietico, e in particolare i tedeschi della DDR, riuscirono a fuggire, ponendo fine all’isolamento cui erano stati costretti per mezzo secolo. Il 25 marzo 1990 si tennero le elezioni per il Parlamento e in maggio nacque il primo governo di coalizione, che diede il via alla democratizzazione del Paese.
Il partito Fidesz, guidato da Orbán, da un orientamento ideologico fondato sul liberalismo e sull'integrazione europea, si è progressivamente trasformato in una partito di destra, nazionalista e autoritario. Avendo raggiunto un considerevole numero di seggi alle elezioni del 1998 Orbán venne nominato primo ministro. Ma perse, seppur di misura, le elezioni del 2002 e del 2006 contro il Partito Socialista Ungherese.

Viktor Orbán con il ministro degli interni Matteo Salvini in visita al muro di filo spinato costruito per bloccare i migranti in arrivo dalla rotta balcanica, 2 maggio 2019.
L’Ungheria populista e antieuropea di Orbán
Nelle elezioni del 2010, Orbán, sempre più populista e spregiudicato, ottenne una vittoria schiacciante. Il suo partito in coalizione con il Partito Popolare Cristiano Democratico, avendo la maggioranza nell’Assemblea nazionale, ha potuto introdurre controverse riforme costituzionali e legislative e limitare la libertà dei media e dell’istruzione. Fidesz ha però mantenuto la maggioranza nelle elezioni parlamentari del 2014 e del 2018.
In Ungheria, come in altri Paesi ex comunisti, la spaccatura sociale tra città e provincia, centro e periferie, si è andata accentuando. L’opposizione democratica ha ripreso campo. Nell’ottobre 2019 è diventato sindaco di Budapest l’ecologista e filoeuropeo Gergely Karácsony, fermo oppositore della politica di Orbán.