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Cannes, uno sguardo sulla Guerra

il documentario sulla Siria di Ossama Mohamed

La violenza, le guerre e l'insopportabile consapevolezza della loro esistenza irrompono al Festival del Cinema di Cannes, entrando dalla porta principale. Quello che è uno degli eventi cinematografici più famosi e seguiti al mondo è diventato, in questa edizione, un veicolo di immagini e testimonianze delle guerre e delle atrocità che, dalla Siria all'Ucraina, ancora si compiono. 
Ossama Mohamed è un regista siriano che nel 2011, proprio a Cannes, aveva denunciato la tragica situazione del popolo siriano- denuncia per la quale ora vive esule a Parigi, dopo essere stato condannato a morte. Wiam Simav Bedirxan è una videomaker siriana di origine curda che un giorno ha contattato Mohamed con una semplice domanda: "Ho preso una telecamera, il regime la considera l'arma più pericolosa. Se tu fossi qui ad Homs che cosa filmeresti?".

Le riprese sono amatoriali, cruenti e tremendamente vere, sono state inviate via Skype da Homs a Parigi e montate insieme ad immagini di repertorio e video postati su Youtube. In questo documentario, L'eau argentée, Syrie autoportrait, che prende il titolo dal significato del nome della videomaker, ci sono gli occhi, i cellulari e le videocamere di chi queste scene le vive e le vede sul serio, tutti i giorni. 

La coraggiosa Simav appare una sola volta, mentre viene medicata e qualcun altro le tiene la macchina da presa. Il resto del film è un susseguirsi di cadaveri, di cecchini, di bombe che scoppiano, di umiliazioni e sangue che scorre; la disperazione di un genitore che cerca il proprio figlio e si sente dire "ne faccia un altro". Alcuni dei protagonisti di queste sequenze sono morti, ma la loro testimonianza si diffonde nella rete, è arrivata a Cannes e potrebbe arrivare ovunque. Anche se purtroppo non sempre un messaggio genera una risposta.

La grandezza di questo documentario sta nella sua realizzazione, nel coraggio di chi ha rischiato la propria vita, o l'ha persa, pur di raccontare ciò che sta succedendo in Siria. Non si parla di un cinema fine a se stesso, ma di un fenomeno che caratterizza questi tempi, in cui le rivoluzioni si filmano in diretta, si postano, si twittano, si condividono e si raccontano, con più punti vista. In questo caso una vera e propria esperienza collettiva, legata da un sentimento comune di sofferenza e ribellione, si è trasformata in un documentario applaudito a Cannes.

L'eau argentée non è l'unico film-denuncia del Festival, che quest'anno da voce anche al Mali raccontato dal mauritiano Abderrahmane Sissako, all'Iraq di Laurent Bécue-Renard, all'Ucraina di Seguei Loznista e all'attesissimo The Search di Michael Hazanavicious ambientato in Cecenia.

16 maggio 2014

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