In condizioni disumane, senza cibo e acqua, molti prigionieri morirebbero prima ancora di poter arrivare all'esecuzione della sentenza penale di condanna. Nella cella numero 511 del carcere di Santo Stefano, Gaetano Bresci, l’anarchico che uccise il re d'Italia Umberto I nel 1900, doveva scontare l'ergastolo. Quando è arrivato si azzardò a chiedere se potesse avere qualche libro. In quel momento, nella biblioteca del carcere si trovavano solamente tre libri: le Vite dei Santi, una Bibbia, e un vecchio dizionario di francese. Bresci scelse il dizionario e gli venne concesso.
Qualche giorno dopo fu trovato impiccato nella sua cella.
I prigionieri erano costantemente sorvegliati. Le catene con cui gli erano stati legati mani e piedi consentivano movimenti minimi e, quindi, era quasi impossibile che Bresci si fosse impiccato usando un asciugamano legato alle sbarre della porta. “Nessuno sapeva neanche da dove avesse preso l'asciugamano, perché i prigionieri non potevano avere nulla nelle celle, tranne i loro vestiti”, scrive così Giuseppe Mariani nel suo libro “Ricordi di un ex terrorista”, analizzando il presunto suicidio di Bresci. Anche lui, comunista e antifascista, trascorse più di vent'anni in questo carcere, dal 1921 al 1946, per l'assassinio all'Hotel Diana a Milano. In quel periodo aveva intenzione di uccidere il capo della polizia di Milano, Giovanni Gasti, che in quell'albergo incontrava spesso Benito Mussolini.
Mariani è stato scarcerato dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Fu anche il leader della più grande rivolta dei prigionieri nel 1943, quando si ribellarono a causa delle condizioni carcerarie. Più di venti persone morirono in quella circostanza.
Il carcere di Santo Stefano, situato nell'omonima isola deserta, si trova di fronte all’altra isola, Ventotene. È uno dei primissimi edifici carcerari al mondo ad essere costruiti secondo i principi del Panopticon, enunciati dal filosofo inglese Jeremy Bentham. Il concetto dell'edificio era tale che tutte le celle potevano essere osservate da una sola guardia. Avrebbe risieduto nella sua torre di guardia, situata nella parte centrale del complesso della prigione, e quindi non si sarebbe saputo chi stesse guardando.
Novantanove celle avevano una capacità di circa trecento persone, distribuite su tre piani. Molto spesso le persone presenti erano il doppio. Le celle della prigione erano larghe solo un metro e lunghe due. La maggior parte non aveva finestre. I prigionieri ricevevano solo pane e acqua, e non tutti i giorni, considerando che veniva raccolta l'acqua piovana, poiché sull'isola non c'era quella potabile.
Durante il periodo fascista, sull'isola di Ventotene furono confinati numerosi antifascisti, nonché persone considerate non gradite dal regime. In esilio vi fu mandato l'ex presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Vi si trovò anche Umberto Terracini, poi diventato il presidente dell'Assemblea Costituente della Repubblica Italiana.
Sandro Pertini fu incarcerato per un anno anche a Santo Stefano, nella cella numero 36, dal dicembre 1929 al dicembre 1930. Questa cella era famosa perché vi aveva vissuto per otto anni il poeta e scrittore Luigi Settembrini. Insieme a loro, furono imprigionati lì molti altri comunisti e antifascisti, come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, autori del Manifesto di Ventotene, il documento politico a favore dell'unificazione degli stati europei in un'unica federazione sovranazionale. Questo documento è considerato oggi uno dei testi fondativi dell'Unione Europea.
Pochi anni prima della sua chiusura, nel 1965, subentrò alla direzione Eugenio Perucatti, l’uomo che ha lottato per condizioni migliori e vita più dignitosa per i detenuti. Venne ad abitare a Santo Stefano con la moglie e i loro dieci figli. Nel suo diario, scrisse delle condizioni che vi trovò, descrivendo i prigionieri come morti viventi. Fu lui ad aprire le celle della prigione. I detenuti iniziarono a lavorare, studiare, avevano anche un cinema. Come baby sitter dei suoi figli, Perucatti scelse un ergastolano.
Dopo la definitiva chiusura del carcere l'intera isola è stata dichiarata bene nazionale e culturale. Tuttavia, per molto tempo il carcere è rimasto in stato d’abbandono.
Le due isole, Santo Stefano e Ventotene, sono il luogo in cui nasce l’idea di un'Europa unita e federale. Nel 2020 si è pensato di fare del carcere un campus per sostenere gli studi dei valori europei, la promozione dei diritti e mitigazione della pena. Inoltre, il patrimonio paesaggistico e ambientale è altrettanto merito di riconoscimento.
L’isola diventerà anche un Polo museale che sarà ospitato sia nei locali del carcere che attraverso percorsi esterni sull’isola. La struttura espositiva racconterà le diverse dimensioni che costituiscono l’identità delle isole di Ventotene e del suo isolotto di Santo Stefano: quella ambientale, storica, antropologica e giuridica.
Come dice Silvia Costa, il progetto di recupero intitolato a David Sassoli è rivolto soprattutto alle nuove generazioni che hanno bisogno di un luogo come questo dove incontrarsi e rigenerarsi.
"È lì che abbiamo avuto uomini e donne che hanno immaginato per noi un futuro diverso", David Sassoli
L'ex ministro della cultura, Dario Franceschini, avviando il progetto due anni fa, ha dichiarato che Il recupero del carcere avverrà all’insegna del sentimento pro-europeo e diverrà una scuola di “Alti pensieri”, come diceva il direttore illuminato del carcere Eugenio Perucatti. Mentre il Polo museale servirà a trasmettere ai futuri allievi e ai visitatori il senso profondo dei diritti umani e della libertà politica. Anche se oggi sembra un cantiere infinito, il completamento di tutti i lavori è previsto per il 2026.
Tatjana Dordevic, giornalista