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Antropocene. L'epoca umana

di Jennifer Baichwal, Edward Burtynsky, Nicholas de Pencier Canada, 2018

Il rogo di 100 t di zanne d'elefante in Kenya per combattere i traffico illegale di avorio

Il rogo di 100 t di zanne d'elefante in Kenya per combattere i traffico illegale di avorio (© Edward Burtynsky)

Il film si apre su grandi fiamme che ardono per minuti senza che niente intervenga a spegnerle. Poi la scena si allarga mostrando una serie di pire di legno che bruciano oltre 100 tonnellate di zanne d'elefante sequestrate e distrutte nel 2016 in Kenya per stroncare il traffico clandestino di avorio. Per appropriarsi di quelle zanne i bracconieri avevano ucciso 6.700 elefanti.

Così inizia “Antropocene - L’epoca umana”, film che mostra con grande efficacia l’impatto delle attività umane sul nostro pianeta attraverso immagini riprese viaggiando per quattro anni in cinque continenti e visitando 20 Paesi.

Il titolo del documentario (durata 87 minuti, distribuito in Italia dal 19 settembre 2019) fa riferimento alle ricerche condotte dagli scienziati dell'Anthropocene Working Group per verificare se i mutamenti subiti negli ultimi cento anni dalla Terra rappresentino l'inizio di una nuova era geologica, l’Antropocene, chiaramente dominata dall'azione umana, e la fine dell'era geologica precedente chiamata Olocene, durata circa 11.700 anni.
Un cambiamento epocale che il film racconta con la voce narrante di Alicia Vikander nella versione originale (e dell'attrice Alba Rohrwacher in quella italiana) a commento di immagini di altissima qualità girate in oltre 40 diversi ambienti.

Il rogo delle zanne d’avorio sequestrate in Kenya (valore di mercato 100 milioni di dollari) è una delle iniziative del Giants Club (organizzazione di tutela della natura costituita da governi africani, ONG e altri partner), che con queste azioni spettacolari cerca di combattere il bracconaggio, uno dei fattori che stanno portando all’estinzione diverse specie animali. Una battaglia impari a giudicare dal lungo elenco delle specie già estinte in natura e di quelle a grave rischio di scomparsa, che sopravvivono nei parchi protetti assediati dai bracconieri, o negli zoo, come il maestoso esemplare di tigre di Sumatra, che nel film vediamo aggirarsi in un’area riservata dello Zoo di Londra.

Dagli animali alle foreste severamente minacciate dall’industria del legname, mostrata nel film in due versioni opposte: in Canada, nell’area di Vancouver, il taglio degli alberi è rapido e automatizzato quasi senza fatica da parte di pochi addetti; in Africa le piante sono abbattute con la scure e i tronchi spinti a mano fino al fiume da uomini scalzi, senza alcuna protezione. In entrambi casi la deforestazione procede comunque veloce.

Il viaggio nell’Antropocene prosegue poi con le attività industriali che sfruttano le risorse minerarie, come il gigantesco sito di Norilsk (Siberia), la città del nichel, uno dei luoghi più inquinati al mondo per le emissioni di gas e la dispersione di metalli pesanti derivanti dalla lavorazione del metallo.

In Italia le cave di marmo di Carrara, con le altissime pareti della montagna scavate implacabilmente da macchine ad elevata produttività, capaci di strappare alla montagna in un giorno la quantità di materiale che un tempo avrebbe richiesto almeno quindici giorni di lavoro.

“Ogni anno gli uomini estraggono tra i 60 e 100 miliardi di tonnellate dalla Terra. E spostano più sedimenti di quanti ne spostino tutti i fiumi del mondo”, dice la voce narrante.

In Germania la terraformazione, con l’intervento della macchina movimento terra più grande del mondo per eliminare le colture e consentire al gruppo tedesco RWE di ampliare la propria miniera a cielo aperto di carbon fossile. Nel film si assiste all’abbattimento di una piccola chiesa del XIX secolo nel villaggio di Immerath (Renania Settentrionale-Vestfalia), mentre una residente racconta la sconfitta subita dai coltivatori locali, espropriati e spostati in un nuovo insediamento, perché l’area, dove prima vivevano e lavoravano, sarà trasformata in un lago una volta esaurite le riserve della miniera.

Dal paesaggio vuoto e rarefatto della miniera di lignite tedesca si passa alla discarica di Dandora in Kenya, la più grande dell’Africa, brulicante di migliaia di uomini, donne, bambini che ogni giorno frugano nei rifiuti alla ricerca di qualcosa di ancora utile da consumare o rivendere.

Nel capitolo mare” vediamo i danni già causati e quelli prevedibili: l’acqua che invade Venezia con l’alta marea, le barriere posizionate in Cina su gran parte delle corse per difenderle dall’innalzamento del mare, la barriera corallina minacciata dell’inquinamento e dal riscaldamento delle acque.
Nel finale il documentario ritorna sul falò dell’avorio simbolo della distruzione causata dall’uomo nella natura.

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