"È la storia - tratta dalle memorie di Sergio Bitar, già ministro delle miniere del governo Allende - di un gruppo di prigionieri, tutti ex esponenti di spicco della classe dirigente cilena, e della loro esperienza nel durissimo campo di concentramento allestito dai golpisti di Pinochet. L'isola, situata nello stretto di Magellano, è inospitale, il clima rigido, tracce di vita zero. [...] Littin, pur non dimenticando gli oppressori e le ferite della storia (come attesta il frequente ricorso ai documenti di repertorio, alla verità diventata immagine), preferisce inquadrare altro e raccontare quello che è sfuggito pure ai segretissimi archivi: la decenza di un gruppo di uomini che seppero non perdersi di fronte a una pena più grande di loro. Il punto di vista si frantuma nella molteplicità dei loro gesti, nei piccoli atti d'amore a cui si piegano a poco a poco persino i carnefici per ricomporsi nel finale in un' immagine ideale della "dignità", che abbraccia realtà e invenzione, passato e futuro, la storia - il sacrificio di Allende - e il privato - il toccante passaggio di testimone da padre in figlio del finale."