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Dodici anni schiavo

di Steve McQueen USA-UK, 2013

SINOSSI:

Anno 1841, Saratoga Springs, stato di New York. Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) è uno stimato violinista che vive con la moglie e i due figli da uomo libero e rispettato. Un giorno l'incontro che cambierà la sua vita: avvicinato da due presunti impresari che gli promettono una tournée musicale a Washington, Solomon si farà convincere a seguirli. Verrà rapito, picchiato e privato dei documenti comprovanti il suo status di uomo libero, quindi portato clandestinamente in Lousiana dove ancora vigeva la schiavitù. Inizieranno per Solomon dodici anni terribili vissuti come schiavo nelle piantagioni di cotone, cambierà diversi padroni sino a ritrovarsi sotto le grinfie del terribile Edwin Ebbs (Michael Fassbender) spietato latifondista sadico e senza scrupoli. Quando anche la sua ferrea fiducia e convinzione di poter, un giorno, riabbracciare i propri cari sta per tramontare, avverà l'incontro che riaprirà per Solomon la porta della speranza.

È un personaggio interessante e da seguire questo Steve McQueen, solo omonimo del grande attore americano; il nostro Steve, questo Steve, è un regista e scultore inlgese, londinese per la precisione, con l'abitudine di fare le cose fatte bene, insomma di avere successo in ogni impresa in cui si cimenta. Già vincitore del Turner Prize, un importante riconoscimento riguardante l'arte figurativa, McQueen si avvicina al cinema prima con una serie di documentari e di corti, quindi avventurandosi con il suo primo lungometraggio, Hunger, nel 2008. Questo toccante quanto crudo racconto riguardante la disperata lotta di Bobby Sands dal carcere di Long Kash contro le durissime leggi carcerarie della signora Thatcher, verrà presentato a Cannes nella sezione Certain Reguard, ottenendo l'importante premio della Caméra d'or. Sarà il primo dei tre film ad oggi diretti da questo regista. Tre anni dopo uscirà il suo Shame, per poi arrivare a Dodici anni schiavo. Seppur molto apprezzati anche i primi due, è la sua terza fatica che gli porterà le più grandi e forse inaspettate soddisfazioni con tre incredibili statuette: film, sceneggiatura non originale e miglior attrice protagonista (Lupita Nyong'o). Un regista, McQueen, abituato a trattare solo temi molto forti, sceneggiature molto impegnative e una carica drammatica non sempre facile da affrontare. Se pensiamo al primo bellissimo film da lui diretto, Hunger, e quest'ultimo di cui vogliamo parlare, Dodici anni schiavo, non possiamo che cogliere un sottile fil rouge che li lega e li accomuna, un'unica e basilare tematica di fondo: la lotta per la propria libertà, soprattutto la libertà di uomo, una libertà spirituale che nemmeno i peggiori carcerieri possono sopraffare.

Dodici anni schiavo è un film tratto dalla storia vera di Solomon Northup, che l'uomo scrisse in un celebre libro pubblicato pochi anni dopo questa sua terribile avventura. Dopo la sua liberazione, Solonon continuò a lottare per ricevere giustizia contro i suoi rapitori e per coloro, tanti, che avevano o stavano vivendo la sua stessa terrificante esperienza. 

Dodici anni schiavo è un film che si regge su una sceneggiatura semplice, molto lineare, povera di colpi di scena o strappi narrativi; l'intento del film è quello di raccontare e mostrare, nel modo più particolareggiato e intenso possibile, la terribile condizione degli schiavi di colore che nelle piantagioni del sud vivevano a piena e completa disposizione del padrone bianco. Uomini trattati peggio di animali, considerati cose da sfruttare e usare a proprio piacimento senza la benchè minima umanità, e qualora fossero stati visti come qualcosa di più, come nel caso della povera Patsey, forse il destino era ancora peggiore.
Sequenze di grande durezza, McQueen non concede molti sconti verso quella che potrebbe essere la sensibilità dello spettatore, ma chi già lo conosceva dai tempi di Hunger non ne sarà rimasto stupito. Il bravissimo protagonista, Chiwetel Ejiofor, interpreta un uomo dall'animo forte e fiero, il quale pur nelle condizioni peggiori e più disperate non rinuncia mai a lottare per la propria dignità, coltivando sempre e comunque la speranza che tutto possa sistemarsi. Il messaggio che lancia è proprio questo: anche quando tutto sembra perduto e attorno a te non c'è che violenza e dolore, non smettere mai di lottare e di credere in un domani migliore.

La grandezza del film è garantita, oltre che dalle ottime ambientazioni, scenografie e costumi, anche e soprattutto da un cast di attori straordinario di cui fatichiamo a trovare il migliore. Ma se la bravura e l'intensità con cui la giovane Lupita Nyong'o veste i panni della povera Patsey, la “preferita” del padrone, è certificata dall'Oscar di cui si è già parlato prima, non possiamo dimenticare lo stesso Chiwetel Ejiofor, bravissimo interprete del protagonista del film. Una nota a parte dev'essere concessa per il cattivo, Edwin Ebbs, interpretato da un sontuoso Michael Fassbender. La grandezza di McQueen si intuisce già dalla passione per questo attore eccezionale, senza il quale, sembra, non riesca nemmeno a sedersi dietro alla macchina da presa. Fassbender infatti è lo strepitoso protagonista di Hunger e Shame, qui invece nella parte dell'antagonista, del sadico quanto tormentato schiavista. Combattuto tra il suo razzismo endemico e viscerale e la passione incontrollabile per Patsey, Ebbs/Fassbender è un uomo dagli scatti emotivi incontenibili quanto furiosi, sempre poi seguiti dal tormento di una passione travolgente e incontrollabile. Attore meraviglioso, Fassbender non delude e si fa apprezzare per l'ennesima incredibile interpretazione che lo inserisce, di diritto, tra i migliori se non il migliore del momento.

Dodici anni schiavo è un film intenso e toccante, crudo quanto istruttivo, un film che rimane nello stomaco e nel cuore, e che meritatamente ha ricevuto i risconoscimenti più importanti. È un film che parla di razzismo, di una storia non troppa lontana in fondo, di un problema sociale che ancora oggi esiste, vive, brucia sotto un'apparente coltre di civiltà e tolleranza. Il problema del razzismo è ancora ben presente sia nella società americana che in quella europea oggi, chiamata alla difficilissima sfida dell'accoglienza e dell'integrazione delle centinaia di migliaia di disperati che quotidianamente giungono al confine dell'Unione chiedendo aiuto e umanità.

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